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«Questa tomba di traditori è sempre stata il tuo luogo preferito dove portare gli alunni, ricordi?» rispose l’elfo.

Per tutti gli dei, era vero. Ben due volte aveva portato Ilimitar al castello dei Dlardrageth, affinché si esercitasse negli incantesimi. Al ricordo le salirono le lacrime agli occhi, e mentre gettava lo scettro e sferrava un incantesimo per farle crollare il soffitto in testa, il Supremo Mago di Corte ringhiò: «Ora ti penti della tua follia, eh? Troppo tardi, vecchia strega! Il tuo tradimento è evidente, e devi morire!»

In risposta l’ultima Signora degli Estelda scosse semplicemente il capo e, con calma, evocò la magia che risvegliava gli antichi incantesimi usati dai Dlardrageth per erigere quelle pareti. E, quando l’incantesimo di Ilimitar frantumò il soffitto, si trasformò subito in fuoco che piovve su di lui.

Il mago barcollò, tossendo e rabbrividendo – il suo mantello doveva essere debole, pensò la Srinshee – poi gridò: «Non cercare di sfuggirmi, Oluevaera! Nessun luogo del regno è ora sicuro per te!»

«Per decreto di chi?», urlò la donna, mentre lacrime calde le solcavano le guance. «Hai ucciso anche Eltargrim?»

«La sua follia non è ancora tradimento aperto per Cormanthor, ma qualcosa che si potrà correggere una volta che l’umano e anche tu, con la tua lingua bugiarda, sarete scomparsi. Ti darò la caccia dovunque fuggirai!» Sulla scia di quel grido mormorò un altro incantesimo.

«Non ho intenzione di fuggire in alcun luogo, Ilimitar!», esclamò rabbiosamente la Srinshee. «Questo regno è casa mia!»

L’aria davanti alla maga prese fuoco. Da ognuna delle sfere fiammeggianti che ne scaturirono fuoriuscì un raggio, che si unì alla sfera vicina, e così di seguito, fino a formare un cerchio. Oluevaera ne scansò una il cui calore minacciava di bruciarle le spalle e sussurrò parole che avrebbero dissolto gli incantesimi e rafforzato il suo mantello protettivo.

«È questa la ragione», sbottò il mago in risposta, «per la quale hai protetto un uomo, tenendolo in vita e consigliandogli di adulare il Coronal, affinché il vecchio pazzo lo nominasse armathor? Se lo lasciamo vivere, egli sarà solo il primo di un’orda macchinatrice e avida di esseri pelosi! Possibile che non riesci a capire?»

«No!», urlò la Srinshee, sovrastando il baccano e il ruggito dell’attacco successivo. «Non capisco perché, Ilimitar, l’amore per Cormanthor e il tentativo di rafforzare il regno debba mettermi nelle condizioni di dover uccidere un uomo onorato – che venne qui per mantenere una promessa a un erede morente e consegnare una kiira a un’antica casata! – o di essere uccisa da te, a meno che non sia io a distruggerti: un mago a cui ho insegnato l’arte della magia, e di cui sono stata fiera in questi ultimi sei secoli!»

«Come sempre cerchi di persuadere la gente con belle parole!», ribatté il mago di corte, mentre si preparava a sferrare l’ennesimo sortilegio.

Oluevaera si ritrovò nuovamente in lacrime. «Perché?» singhiozzò. «Perché mi costringi a fare questa scelta?»

Detto ciò il suo mantello vibrò violentemente quando fulmini purpurei cercarono di succhiarne la vitalità. Nel tumulto, mentre le pietre del pavimento scricchiolavano sotto i loro piedi in un coro stridente e assordante, il nemico le urlò: «La tua ragione è offuscata dall’amore, vecchiaccia, e corrotta dai sogni del Coronal! Non riesci a capire che la sicurezza del regno conta più di tutto il resto?»

La Srinshee digrignò i denti e sferrò i suoi fulmini; il mantello del mago si illuminò brevemente alla collisione, e la donna vide l’elfo barcollare. «E tu non vedi», gli gridò, «che quest’uomo rappresenta la sicurezza del regno, se noi lo proteggiamo e lasciamo che diventi ciò che vuole Eltargrim?»

«Bah!», borbottò ironicamente Ilimitar. «Il Coronal è corrotto quanto te! Entrambi macchiate il buon nome della nostra corte, e la fiducia che la Gente ha riposto in voi!» La stanza tremò attorno a loro quando l’ultimo incantesimo dell’elfo cercò invano di distruggere il mantello della maga.

«Ilimitar», domandò la Srinshee con una nota di tristezza, «sei matto?»

La stanza piombò improvvisamente in un silenzio spettrale. Il fumo vorticava ai loro piedi. A quel punto il mago la osservò con sincero stupore.

«No», esclamò finalmente, in tono quasi allegro, «ma penso di esserlo stato per anni, cieco davanti al gioco che tu e il Coronal avete fatto, avvicinando Cormanthor delicatamente – abilmente, astuti vecchiardi, – al giorno in cui gli uomini dimoreranno tra noi, ci supereranno in numero e alla fine ci seppelliranno, non lasciando nessuna Cormanthor da servire o di cui andare fieri! Quanto vi hanno offerto? Incantesimi che non riuscivate a trovare altrove? Un regno da governare? O lo hai fatto solo per tornare giovane?»

«Limi», affermò seria, «il corpo che vedi non è opera mia, e quando sei entrato qui mi ero appena resa conto della mia condizione. Non so da dove venga – per quanto ne sappia potrebbe essere un vecchio scherzo dei Dlardrageth – e non è certo stato il giovane umano a darmelo, né me l’ha promesso: non ne è nemmeno a conoscenza!»

Ilimitar sollevò una mano per invitarla a tacere. «Parole, solo parole», ringhiò severamente. «Sono sempre state la tua arma più affilata. Ma non funzionano più con me, strega!» Ora però ansimava.

«Sai che cos’è questo?», domandò alla maga, estraendo un piccolo oggetto da una tasca della cintura e sollevandolo per farglielo vedere meglio. «Proviene dalla Volta dei Secoli», aggiunse con tono di scherno. «Dovresti riconoscerlo!»

«È il Coprimantello di Halgondas», rispose tranquillamente la Srinshee, il volto pallido come un lenzuolo.

«Lo temi, non è vero?» ruggì Ilimitar, un guizzo di trionfo negli occhi. «E non puoi far nulla per impedirmi di usarlo! E allora, vecchia strega, sarai mia!»

«In che modo?»

«I nostri mantelli si fonderanno, e diventeranno tutt’uno. Non solo non potrai respingere i miei incantesimi, ma nemmeno scappare; se fuggirai, mi trascinerai con te!» Emise una risata stridula e selvaggia, e Oluevaera seppe allora che era matto, e avrebbe dovuto ucciderlo in quel luogo, o perire.

Ilimitar spezzò il Coprimantello.

La fusione inesorabile dei loro mantelli ebbe inizio, le estremità sbrindellate si attirarono a vicenda. La Srinshee sospirò e iniziò a camminare verso l’allievo. Era ora di usare l’incantesimo che odiava.

«Ti arrendi?», le domandò Ilimitar, con tono quasi allegro. «O sei tanto folle da pensare di poter continuare a combattere, o addirittura di vincere? Io sono un Supremo Mago di Corte, strega, non il giovane a cui insegnasti i tuoi trucchetti! La tua magia è ridicola e i tuoi incantesimi spaventano solo i pivelli!»

Oluevaera fece un respiro profondo, e sollevò il mento. «Bene, dunque, mio grande e potente mago, distruggimi se devi!»

Ilimitar le lanciò uno sguardo incredulo, sollevò le mani e affermò aspro: «Lo farò molto rapidamente».

Un tridente magico la trafisse. La maga rimase immobile, ma roteò gli occhi all’indietro e si morse le labbra. Quando l’incantesimo iniziò a svanire, il suo corpo prese a tremare.

Il mago rimase a osservare. Be’, non era colpa sua se la vecchia aveva tessuto tanti incantesimi, strato dopo strato, per conservarsi e difendersi durante tutti quei secoli. Ora doveva sopportare il dolore, mentre essi la mantenevano in vita più a lungo del necessario.

La Srinshee inclinò la testa in avanti, chiuse gli occhi, e iniziò a respirare affannosamente. Del sangue le scaturì dalle palpebre e prese a colarle lungo la faccia, per poi cadere sulle pietre scheggiate del pavimento. Ilimitar arricciò il naso per il disgusto. Era dunque un martirio? Avrebbe fatto un lavoro rapido.