Il suo incantesimo successivo fu un attacco di energia pura che avrebbe dovuto ridurla in cenere. Quando questo terminò e Ilimitar poté vedere nuovamente, le pietre avevano lasciato il posto a un piccolo cratere, e Oluevaera aveva le caviglie sepolte nelle macerie, era tutta annerita e senza capelli, ma era ancora in piedi, tremava.
Che patto malvagio aveva mai fatto la Srinshee con i maghi umani? Limi allora sferrò l’incantesimo che un tempo lei gli aveva assolutamente proibito di usare: quello che evocava il Verme Affamato.
Il verme si materializzò avvolto intorno al braccio della maga, scivolò dritto verso il suo ventre e iniziò immediatamente a scavare nella carne spaccata e annerita. Ilimitar sospirò e sperò in cuor suo che la bestia agisse rapidamente; doveva assicurarsi che la maga morisse, e in fretta, in modo da poter tornare a corte e denunciare il Coronal prima del tramonto. Ma sarebbe rimasto intrappolato in quel castello con la Srinshee, dentro il comune Coprimantello, finché uno di loro non fosse morto.
Era davvero un peccato. La donna era stata una buona maestra, nonostante fosse stata troppo severa, poco amante delle burle e poco tollerante quando d’estate gli allievi preferivano andare per bacche o a caccia di uova di gufo invece di presentarsi a lezione; ma non avrebbe mai dovuto cadere tanto in basso.
Tuttavia, era già anziana allora, e senza dubbio incline a tentare qualsiasi strada per riacquistare la giovinezza. Ma il fatto che avesse tramato con gli uomini era imperdonabile. Se lo desiderava tanto, perché non aveva semplicemente lasciato Cormanthor? Perché rovinare il regno? Perché…
Il verme aveva ormai ampiamente terminato il suo lavoro. Non intaccava mai le membra o la testa quando aveva un corpo per banchettare, un corpo che ora era ridotto a poco più che un ammasso di pelle sopra ossa scavate, vuote. Com’era possibile che Oluevaera fosse ancora in piedi?
Ilimitar corrugò la fronte, le scagliò contro un quartetto di piccoli lampi d’energia, quelli che si usano per abbattere gli alberi o per cacciare i conigli, ma il suo corpo devastato non accennò ad accasciarsi.
Non gli rimanevano che pochi incantesimi utili. Stringendosi nelle spalle, sollevò lo scettro caduto e la colpì con un fuoco verde smeraldo finché lo scettro non borbottò e si spense, i suoi poteri ormai esauriti.
Il Supremo Mago di Corte l’osservò preoccupato. Non si era accorto, quando l’aveva preso con sé quel giorno, di quanta poca magia fosse rimasta in esso. Avrebbe potuto verificarsi un disastro.
Il corpo distrutto della Srinshee era ancora fermo sulle gambe. Doveva essere ancora viva. Limi si guardò bene dal toccarla direttamente, persino col pugnale. Esistevano trucchi che solo i vecchi stregoni conoscevano. Meglio bruciarla e ridurla in cenere.
Schioccò le dita, pronunciò alcune parole e tra le sue mani apparve improvvisamente un bastone lungo e nero, istoriato con rune d’argento. Lo agitò lentamente, lo picchiettò sulle mani – ah, che deliziosa sensazione di potere. Poi, d’un tratto, riversò un’ondata incandescente sul nemico immobile.
Il bastone si spense dopo pochi istanti. Il mago si accigliò, cercò di attivarlo di nuovo, ma non ebbe successo. Ora aveva tra le mani un semplice pezzo di legno nero. Perplesso, lo scagliò a terra ed evocò una bacchetta magica. Se anch’essa avesse fallito, gli sarebbero rimasti due scettri; forse il Coprimantello stava attenuando i loro poteri. Agitato, evocò i poteri avvizzenti della bacchetta.
Il corpo davanti a lui si trasformò in un involucro di cuoio incartapecorito, e la pelle rimasta divenne grigia e putrescente. Ma la vecchia maga era ancora in piedi.
Grugnendo di stupore, Ilimitar materializzò prima uno scettro, poi l’altro. Quando l’ultimo iniziò a sibilare e a emettere solo fumo, la bocca gli si riempì del gusto freddo della premonizione, poiché la Srinshee non dava segno di accasciarsi a terra.
Il suo cranio frantumato pendeva di traverso dal collo rotto, ma quegli occhi anneriti e sanguinanti si aprirono, per rivelare due pozze di fiamme scoppiettanti, e la bocca sotto di essi si aprì con uno scricchiolio della mandibola rotta e gracchiò: «Hai finito, Limi?»
«Corellon mi salvi!», urlò il mago, allontanandosi, fuori di sé per il terrore. Avrebbe iniziato ad avanzare verso di lui?
Sì! Oh, per tutti gli dei, sì!
Ilimitar gridò mentre il corpo devastato si trascinava fuori dalla buca di macerie annerite, e appoggiava i monconi senza piedi sulla pietra. «Sta’ indietro!», urlò il mago, cadendo sul pavimento.
«Non volevo farlo, Limi», esclamò tristemente quell’essere mutilato, mentre gli si avvicinava goffamente. «La scelta è stata tua, temo, hai iniziato tu questa battaglia, Limi!»
«Non pronunciare il mio nome, strega malvagia delle tenebre!», ululò il Supremo Mago di Corte, estraendo con dita tremanti l’ultimo oggetto magico rimastogli: un anello infilato in una catena sottile. Lo indossò e puntò il dito verso la vecchia, un dito che divenne un lungo artiglio ricurvo ricoperto di scaglie. «Tu servi un nemico del regno», gridò, «e devi essere distrutta, affinché Cormanthor possa continuare a esistere!»
L’anello s’illuminò, e un ultimo raggio di malvagia forza letale scaturì dalla gemma.
Il corpo mutilato si arrestò, cominciò a tremare con rinnovata violenza, e Ilimitar rise selvaggiamente, sollevato. Sì! Era tutto finito! La maga stava capitolando.
Ciò che di lei rimaneva urtò violentemente le spalle di Ilimitar e scivolò lungo il suo corpo, sfiorandolo con le labbra mentre si accasciava.
Vi fu un istante di magia formicolante in cui Oluevaera Estelda vomitò incontrollabilmente mentre il famigerato Coprimantello entrò in lei da ogni orifizio, per poi uscirne nuovamente.
D’un tratto questo si dissipò, come la nebbia che precede una mattinata di sole, e la Srinshee si ritrovò in ginocchio, il corpo intero, davanti al cadavere di Ilimitar, che nel frattempo aveva ricevuto ogni incantesimo e scarica magica precedentemente scagliati sulla maga.
L’odio per quel sortilegio pervase nuovamente Oluevaera. Lo trovava crudele quanto l’antico mago elfo che l’aveva inventato, e quasi altrettanto malvagio di Halgondas e del suo Coprimantello. Inoltre, chi lo sferrava doveva sopportare il dolore di tutto ciò che gli veniva inflitto, e Ilimitar aveva messo tanto entusiasmo nel suo tentativo di distruzione che il male avrebbe fatto impazzire gran parte dei maghi. Ma non lei. Non la vecchia Srinshee.
La donna guardò il cumulo di ossa fumanti ai suoi piedi e ricominciò a piangere, e le sue lacrime, una volta cadute sul fuoco morente di ciò che era stato Ilimitar, evaporarono con un sibilo.
«Sangue di Corellon, ora piovono anche alberi!», esclamò Galan Goadulphyn, balzando all’indietro e coprendosi frettolosamente il viso col mantello. L’albero caduto rimbalzò fragorosamente davanti a lui, spargendo polvere e schegge in tutte le direzioni.
«Lassù è in corso un duello magico, di sicuro», affermò Athtar, sollevando lo sguardo. «Non è meglio andarcene? Possiamo tornare più tardi per le tue monete».
«Più tardi?», grugnì Galan, mentre si allontanavano rapidamente. «Se ben conosco quegli stupidi maghi chiacchieroni, distruggeranno la montagna in men che non si dica e lasceranno scoperto il mio nascondiglio, alla vista di chiunque si trovi a passare di qui, oppure lo seppelliranno completamente sotto una frana!»
Si udì un altro schianto e Athtar Nlossae si guardò alle spalle appena in tempo per vedere un cumulo di pietre precipitare dalla scarpata, schiacciando tutto ciò che incontrava nel suo percorso. «Come sempre hai ragione, Gaclass="underline" il tuo nascondiglio è ormai sepolto, o lo sarà presto!»
Mentre cercava di tenere il passo con l’elfo dagli abiti di pelle, Galan snocciolò ad alta voce tutto il suo repertorio di imprecazioni.