«Non puoi sperare di sfuggire per sempre alle mie magie, codardo!», esclamò Delmuth, mentre il mantello elfo e lo scudo umano, toccandosi, generavano scintille, e un altro potente sortilegio di Delmuth svaniva in spire innocue di fumo.
I due erano quasi faccia a faccia, tanto vicini quanto le barriere magiche permettevano loro. Elminster continuò a sorridere silenziosamente, osservando l’elfo furibondo sferrare incantesimo dopo incantesimo.
Delmuth aveva scoperto che finché mantello e scudo erano a contatto, l’effetto violento delle magie che rimbalzavano su di lui era minimo; le sue difese non si sarebbero sbriciolate tanto rapidamente a ogni assalto. Perciò si era avvicinato, ed Elminster non si era preoccupato di indietreggiare.
Del resto non poteva, altrimenti sarebbe caduto nel dirupo, e il principe era stanco di correre. Il combattimento si sarebbe svolto in quel luogo.
L’erede di Casa Echorn sferrò un altro colpo esplosivo: questa volta evitando deliberatamente mago e scudo, nella speranza che sgretolasse la pietra e che Elminster venisse colpito da dietro da una gragnola di schegge. Il colpo scavò, invece, un solco nella roccia e ne piroettò i frammenti oltre il margine del precipizio, nel vuoto sottostante.
El non tolse gli occhi di dosso al mago. Il duello era durato abbastanza: se Delmuth Echorn teneva tanto ad assistere a una morte, questa non sarebbe stata di certo la sua. Al sicuro dietro lo scudo, Elminster elaborò un incantesimo complicato, e poi un altro per evocare la sua vista da mago, dopodiché rimase in attesa. Uno dei vantaggi di combattere gli elfi con incantesimi umani consisteva nel fatto che i primi stentavano a riconoscere i secondi, e potevano esser colti alla sprovvista.
L’ultimo incantesimo di El si chiamava Inversione di Mruster, una variante del Grandioso Ritorno di Jhalavan. Esso consentiva a un mago dalla mente svelta di inviare gli incantesimi respinti al loro artefice sotto forma di magie differenti. Ora, se quel Delmuth era tanto stupido da tentare di incenerire un umano seccatore, e da rimanere vicino a Elminster mentre lo faceva, non avrebbe notato che non sarebbero stati i suoi incantesimi di ritorno a colpirlo, ma ciò in cui essi si sarebbero trasformati.
Delmuth si rivelò effettivamente tale e, in preda all’entusiasmo, scagliò un incantesimo che El non aveva mai visto: questo materializzava un vassoio colmo d’acido sulla testa della vittima e glielo versava addosso.
I sibili e i gorgoglii dello scudo tormentato di El furono spettacolari, e Delmuth non si accorse quando la pioggia acida venne trasformata in un crescente effetto dissipante che iniziò pian piano ad erodergli silenziosamente il mantello.
Ancora infuriato, e convinto di aver finalmente messo il nemico con le spalle al muro, l’elfo sferrò un secondo incantesimo. Elminster assunse un’espressione spaventata per distrarre l’avversario e impedirgli di notare che i suoi attacchi d’energia si tramutavano nuovamente in una magia silenziosa: il trucco funzionò.
Delmuth sollevò entrambe le mani in segno d’esultanza e sferzò il nemico umano con tentacoli affilati. El vacillò e finse di provare dolore, come se parte dell’incantesimo lo avesse davvero raggiunto attraverso lo scudo. E il sortilegio alterato dell’erede Echorn consumò le ultime energie del suo mantello protettivo.
Alla vista magica di El, l’elfo era ormai attorniato solo da fili di magia scura e tremolante, le ultime componenti di ciò che era stata una barriera impenetrabile. «Delmuth», urlò, «te lo chiedo per l’ultima volta: perché non poniamo termine al duello e non ce ne andiamo in pace?»
«Certamente, umano», rispose l’elfo con un ghigno spietato. «Quando sarai morto, regnerà una pace perfetta!»
Le sue dita affusolate plasmarono un incantesimo sconosciuto a Elminster, ed ecco apparire una forza tremolante, visibile solo per i suoi contorni instabili, molto simile al muro di forza umano.
Delmuth vide El osservare attentamente, e sollevò lo sguardo, gongolante, mentre le ultime luci si univano a formare una spada invisibile, fluttuante di fronte a lui, con la punta rivolta verso Elminster. «Osserva un incantesimo che non potrai rispedire al mittente», ridacchiò il signore elfo, sporgendosi verso l’arma. «Viene chiamata “mortale spada cacciatrice” e tutti coloro che hanno sangue elfo ne sono immuni!» Schioccò le dita e proruppe in una risata fragorosa, mentre la spada balzava in avanti.
Erano a distanza di pochi passi l’uno dall’altro, ma El già sapeva in quale magia trasformare quell’arma dalla forza invisibile. Delmuth avrebbe fatto meglio a brandirla con la sua mano, e a colpire lo scudo di El come se fosse una spada reale, per non dare tempo al principe di trasformarla.
In verità, Delmuth avrebbe fatto meglio a non attirare Elminster in quel luogo.
Il giovane mutò la spada in qualcosa d’altro e la lanciò indietro. Quando essa colpì l’elfo, la risata di Delmuth si fece esitante. L’ultimo anelito del suo mantello, che cercava invano di proteggerlo mentre si disperdeva in scintille scoppiettanti, lo sollevò da terra, lasciandolo a scalciare nel vuoto.
Delmuth Echorn si irrigidì quando la magia alterata di Elminster lo colpì; d’un tratto le sue mani si sollevarono come artigli all’altezza del petto, le sue gambe si tesero, e le punte degli stivali si abbassarono verso il terreno. La paralisi a cui lo costrinse El ebbe l’effetto desiderato, e tutto ciò che poté muovere furono gli occhi, che spalancò e roteò nelle orbite, per poi fissare impotente il mago umano.
O forse non del tutto impotente. Delmuth poteva ancora sferrare magie mediante l’uso della mera volontà, come aveva fatto El. E negli occhi dell’elfo Elminster vide in effetti il terrore spazzato via dalla collera, a sua volta sostituita dall’astuzia.
Da tempo Delmuth non era tanto spaventato. Sentiva in bocca il gusto amaro della paura e il suo cuore sembrava impazzito. Che un semplice umano potesse ridurlo così! Avrebbe potuto morire in quel luogo, fluttuando sopra una roccia sferzata dal vento nelle foreste vergini del regno! Egli…
Calma, calma, figlio degli Echorn. Gli rimaneva ancora un incantesimo che nessun uomo avrebbe potuto prevedere, qualcosa di più segreto e terribile persino della spada. Erano stati quasi faccia a faccia: se il suo mantello era svanito, anche quello dell’umano doveva essere per forza danneggiato. Non era forse per tale ragione che quell’Elminster lo aveva pregato di porre fine al duello? Ora, certamente, l’umano lo considerava spacciato, e se ne stava lì a pensare inutilmente al modo per ucciderlo, senza rompere la paralisi. Sì, se avesse sferrato l’incantesimo in quel momento, il nemico non avrebbe potuto fermarlo.
L’incantesimo delle “ossa chiamate” era stato escogitato da Napraeleon Echorn settimo, o era l’ottavo? Non aveva mai prestato molta attenzione ai suoi istitutori secoli addietro. Con esso il mago poteva chiamare a sé ossa particolari, che si staccavano immediatamente dal corpo della vittima, e se sceglieva il cranio, la vittima non poteva sperare di sopravvivere. Malgrado Delmuth non riuscisse a trovare, in quel momento, un impiego per un cranio umano sanguinante, avrebbe avuto tutto il tempo per pensarci dopo.
Lo sguardo sorridente, l’elfo sferrò mentalmente l’incantesimo. Elminster, la tua testa, per favore…
L’elfo stava ancora gongolando – mormorando tra sé, per l’appunto – quando il mondo si oscurò e percepì un breve ma lancinante dolore. Non ebbe nemmeno il tempo di gridare che sangue rosso gorgogliò nella sua mente e Faerûn scomparve per sempre.
Elminster fece una smorfia disgustata alla vista di tanto sangue. Quando quella cosa raccapricciante, di un rosso intenso, si riversò su di lui, il giovane usò il suo scudo come tale, deviandola nel dirupo sottostante.