«Non esiste quasi nulla che possa fare a questo proposito», rispose il Coronal con voce triste. «Le teste calde che erano alla festa quando Elandorr è scomparso stanno dando la caccia all’umano proprio mentre parliamo. E, se lo trovano, qualcuno troverà anche la morte».
«E quel qualcuno, temo verrà depositato sulla vostra soglia», osservò Uldreiyn Starym. «Insieme agli altri».
Eltargrim annuì. «Questo, mio signore», affermò stanco, «è ciò che significa essere il Coronal di Cormanthor. Talora penso che le casate antiche del regno se lo siano dimenticato».
Uno degli elfi si fermò bruscamente. «Quello è il Castello Fantasma dei Dlardrageth!»
«E allora?», domandò freddo Ivran Selorn. «Abbiamo forse paura dei fantasmi?»
Si erano fermati, e alcuni giovani guardarono Ivran un po’ turbati.
«Mio nonno mi ha detto che reca una terribile maledizione», affermò riluttante Tlannatar Wrathtree, «che ricade su chiunque vi metta piede».
«I fantasmi in agguato nel castello», s’intromise un altro elfo, «non temono né la spada né gli incantesimi».
«Sciocche menzogne!», rise Ivran. «Perché mai Ylyndar Starscatter avrebbe portato le sue donne in questo luogo per sei estati di seguito? Pensate che l’avrebbe fatto se i fantasmi avessero rappresentato una minaccia?»
«Già, ma Ylyndar è uno dei maghi più folli di tutta Cormanthor! Crede persino nei mythal del vecchio Mythanthar! E una delle sue donne non ha forse tentato di mangiarsi la propria mano?»
Ivran emise un suono aspro. «Come se ciò avesse qualcosa a che fare col quel castello!» Rise nuovamente, lanciò la spada in aria, la riprese e aggiunse: «Bene, voi femminucce fate come vi pare, io ho intenzione di fare a pezzi quel piccolo uomo, per regalarne alcuni a Sua Pazzia il Coronal, e a Casa Waelvor, e appenderne altri nella mia sala dei trofei!»
Poi riprese a correre, urlando e facendo mulinare la spada sopra la testa. Dopo qualche istante di esitazione, Tlannatar lo seguì, e lo stesso fecero altri due. Un altro paio di elfi si guardarono, si strinsero le spalle, e s’incamminarono, sebbene un po’ più cautamente. Lo stesso fecero gli ultimi tre rimasti.
Elminster sollevò all’improvviso lo sguardo. Una spada di metallo che colpisce una roccia emette un suono particolare, sufficiente a far alzare da terra un uomo inseguito, a fargli chiudere il libro degli incantesimi che sta leggendo e a indurlo ad ascoltare attentamente. Elminster sorrise. Anche un elfo che impreca contro un altro produce un rumore particolare.
Cercò di ricordare ciò che gli aveva detto la Srinshee sulla pianta del castello. Ma invano, purtroppo, sapeva solo che la camera in cui si trovava era “nel suo cuore”. Hmm. Gli elfi potevano essere a pochi passi da lui, o a un’ora di vagabondaggi. Che lo stessero cercando, era evidente: per quale altra ragione uno di loro avrebbe intimato a un altro di fare silenzio?
El rimase in ascolto, il libro sotto braccio, pensando al da farsi. Avrebbe potuto teletrasportarsi – una volta sola – invocando lo scettro, ma al momento non aveva la possibilità di recuperare l’incantesimo adatto. L’unico luogo a Cormanthor nel quale poteva pensare di recarsi era la Volta dei Secoli, ma chi sapeva quali difese avrebbe avuto per impedire ai ladri di entrare e uscire a piacimento? Forse, sarebbe stato meglio nascondersi. Quanto più si fosse macchiato le mani di sangue, tanto più difficile sarebbe stato per i suoi amici rimanere tali, e permettergli di restare per compiere l’opera che Mystra gli aveva affidato. Non sarebbe stato, tuttavia, molto facile nascondersi dagli elfi agili e accorti; la dea gli aveva insegnato un incantesimo mortale, non una decina. Avrebbe dovuto tuffarsi in mezzo a una banda accanita di cacciatori d’uomini, toccarne uno e uccidere.
Una forma spettrale sfrecciò oltre la sua testa, seguita dall’eco di ciò che poteva essere una risata selvaggia, e l’ultimo principe di Athalantar ghignò improvvisamente. Naturalmente! Avrebbe assunto le sembianze di un fantasma!
Fece due rapidi passi per vedere dove sarebbe svanito lo spettro, e fu ricompensato: in alto su un muro vi era una fessura; troppo piccola per lui, ma non per il libro.
Se avesse recitato l’incantesimo come gli aveva indicato Myrjala, avrebbe potuto passare dalla forma solida a quella di fantasma, e viceversa, per brevi periodi, tornando umano per non più di nove secondi alla volta, o forse meno. Un tempo più lungo avrebbe rotto l’incantesimo, e se fosse divenuto tale per la quarta volta, sarebbe terminata anche la magia.
El si trasformò in un’ombra svolazzante e sali verso il soffitto. Quando raggiunse la fessura udì un rumore strascicato provenire da molto vicino, come di un piede che scivolava sulla roccia. Evidentemente non aveva tempo da perdere.
Un essere scuro ma dal volto pallido uscì dall’oscurità, apparentemente infuriato. El si dimenò e quasi cadde per lo spavento, ma poi si scostò. Il fantasma eseguì un’agile capriola, poi corse via e sparì dietro un angolo, diretto in altre stanze. Evidentemente i Dlardrageth tolleravano gli spettri intrusi ancor meno dei mortali.
Raggiunta finalmente la fessura, El vi si insinuò, e si ritrovò in una stanza angusta: erano i resti di un locale molto più grande, il cui soffitto era crollato molto tempo addietro. Tra le macerie vi erano ossa, ossa di elfi, ed El iniziò a dubitare che i fantasmi lo avrebbero lasciato in pace se si fosse soffermato troppo a lungo in quel luogo. Tuttavia non aveva alternative. Si guardò attorno, l’aria sembrava satura di una debole foschia purpurea. Che cosa poteva essere? Magia, sì, ma di che tipo?
Qualsiasi cosa fosse, Elminster non avvertì effetti strani, e rimase un’ombra immateriale, fluttuante. Decise allora di spostarsi all’estremità opposta della piccola stanza.
Oltre il muro più distante, attraverso le cavità che un tempo sostenevano le travi, un fantasma poteva raggiungere un’altra stanza enorme: una stanza a cielo aperto, sul cui muro il primo elfo si stava arrampicando prudentemente, con la spada sguainata. Selorn, se la memoria del principe non l’ingannava: un giovane assetato di sangue.
A un’estremità della stanza crollata vi era un buco frastagliato, attraverso il quale si sarebbe potuto tuffare, se avesse voluto morire sulle pietre rotte sottostanti. Da esso El poté vedere la via che collegava la stanza aperta, in cui si trovava Ivran, e la camera in cui stava studiando poco prima. Il buco si apriva su una cascata di rovine che si riversava in una stanza rotonda, un tempo alla base di una torre ormai crollata. Un corridoio partiva dalla stanza di Ivran, raggiungeva un’anticamera, e di lì attraversava la stanza della torre, dalla quale si snodava a sua volta uno stretto passaggio colmo di detriti, che terminava nella stanza in cui era nascosto il libro degli incantesimi di El. Il percorso non era lungo, e Ivran, coraggioso e zelante, si muoveva con estrema rapidità.
Al principe di Athalantar rimaneva molto poco tempo. El si inginocchiò nella stanza delle ossa, tornò alla forma solida e si abbassò i pantaloni.
L’unico retaggio dei suoi giorni da ladro era ciò che portava sempre sotto i vestiti: una corda incerata, nera, lunga e sottile, avvolta intorno alla vita. La srotolò e la calò per gran parte della sua lunghezza fuori dalla fessura, legandone un’estremità a una trave scheggiata del soffitto della stretta stanza in cui si trovava. Tenendosi i pantaloni con una mano, El divenne nuovamente fantasma, e tornò dal libro degli incantesimi.