Mentre riassumeva forma umana e legava l’estremità libera della fune più volte attorno al libro, i rumori furtivi che provenivano dai corridoi gli indicarono che Ivran e gli altri cacciatori stavano già entrando nella stanza della torre: pochi passi nella giusta direzione e avrebbero potuto vederlo, mentre legava febbrilmente la corda attorno a un libro, con i pantaloni abbassati alle caviglie.
Allora assunse di nuovo le sembianze di un fantasma e spiccò una sorta di balzo nell’aria, salendo rapidamente verso la fessura.
Tornato nella stanza delle ossa, El ridivenne solido e iniziò a recuperare la corda, ansimando per la fretta. Non gli rimaneva molto tempo prima che la magia svanisse, perciò una volta tratto in salvo il libro, si allacciò i pantaloni e tornò ombra, lasciando libro e corda per dopo.
Sotto forma di nebbia impalpabile sbirciò dalla fessura. Ivran stava entrando nella stanza proprio in quel momento. L’elfo aveva notato la nuvola di polvere proveniente dalla parete sbrecciata, ed El si ritirò rapidamente prima che potesse guardare in alto e vederlo. Poi fluttuò nell’oscurità, cercando di pensare alla prossima mossa, che sarebbe stata probabilmente determinata da quella degli inseguitori.
Ma un istante più tardi il principe si ritrovò a gambe all’aria nella stanza dal soffitto crollato, tremante e infreddolito: il fantasma, quello vero, che lo aveva ridotto in tale stato passandogli attraverso si stava dirigendo brontolando nella stanza piena di elfi.
Si udirono urla, e si vide il bagliore di un incantesimo. El sorrise truce e passò attraverso la cavità della trave nell’altra stanza, per aleggiare intorno al castello e rendersi conto di ciò che lo aspettava.
La scoperta non fu affatto rincuorante. Il castello era una rovina imponente, ma pur sempre una rovina; l’unico vano non ostruito era nella stanza della torre che già aveva visto, e non meno di nove elfi, con spade sguainate e un numero indefinito di incantesimi nelle maniche, si stavano aggirando furtivamente nella fortezza, un tempo splendida, dei Dlardrageth. Almeno tre fantasmi li stavano seguendo come pipistrelli tenebrosi, tra picchiate e giravolte, incapaci in realtà di far loro alcun male.
Il vero problema, tuttavia, era costituito dai quattro maghi elfi seduti su una collina non lontana dalle rovine, e dalla potente barriera che avevano creato sull’intera area: la fonte della foschia apparsa quand’era entrato nella stanza delle ossa. Il castello ne era completamente circondato.
El tornò nella stanza angusta, e riassunse la sua forma normale. Appoggiò la schiena sulle dure macerie, e sospirò più piano possibile; per un po’ non avrebbe più potuto diventare un fantasma.
Estraendo lo scettro dalla cintola, lo sollevò nell’aria e ne attivò cautamente i poteri. Il formicolio che gli percorse le dita indicò che gli elfi stavano usando un sortilegio che poteva individuare quelli dell’oggetto magico – il che venne immediatamente confermato da un urlo proveniente da sotto -, ciononostante, lo scettro fece ciò di cui El aveva bisogno. Nell’immagazzinare un duplicato della foschia purpurea che avvolgeva il castello, esso gli indicò che cosa fosse: un campo di sorveglianza che avrebbe trasformato un incantesimo di teletrasporto, o qualsiasi altra magia simile, in fuoco devastante nel corpo dell’artefice.
Il principe era intrappolato nel castello, a meno che non fosse riuscito a fuggire a piedi o a memorizzare un altro sortilegio, o a sbaragliare quei cacciatori tanto ansiosi di ucciderlo, ma solo per imbattersi nei quattro maghi, altrettanto pronti e desiderosi di distruggerlo.
El rifletté attentamente sul da farsi. Lo scettro era inattivo, di nuovo infilato nella cintura; lui era disteso nella penombra, fra le macerie, tra ossa elfe frantumate e il groviglio di una fune legata al libro degli incantesimi, con la struttura pericolante di un soffitto semicrollato a pochi centimetri dal naso. Gli elfi erano di nuovo nella stanza sotto di lui a discorrere ad alta voce sui possibili nascondigli, e a scostare macerie con la punta della spada. L’uso dello scettro aveva rivelato loro che Elminster era molto vicino; presto avrebbero pensato di scavare, o di arrampicarsi.
«Mystra», sussurrò El, chiudendo gli occhi, «aiutami. Sono in troppi, e troppa è la magia; se ora cerco battaglia, molti moriranno. Che cosa devo fare? Guidami, Grande Signora dei Misteri, affinché non metta il piede in fallo durante questa missione».
Era la sua immaginazione, oppure ora stava fluttuando, uno o due centimetri sopra le macerie? La preghiera appena mormorata sembrò diffondersi nelle vaste e oscure distanze della sua mente, e qualcosa di nero sembrò venirgli incontro dal vuoto, roteando su se stesso mentre si avvicinava. Qualcosa di liscio, di lucido e di piccolo: la kiira! La gemma del sapere della Casata degli Alastrarra!
Ma non era ormai fissa sulla fronte di Ornthalas Alastrarra? Eppure si stava dirigendo verso di lui, sempre più grande, fino ad avvolgerlo. Al che El iniziò a scivolare nel suo interno scuro e vorticante. Quello doveva essere il suo ricordo della kiira, mescolato alla marea di memorie della gemma stessa.
Oh Mystra carissima, proteggimi! Quel pensiero lo gettò in caos crescente: eco mentali imperfette e spettrali di ciò che ricordava della kiira gli venivano strappate dalla mente, ma continuavano ciò non di meno ad assillarlo. Il principe cercò di voltarsi e fuggire, ma per quanto si sforzasse, si ritrovava a correre sempre verso l’onda incessante di ricordi, sempre più vicina: ora era sopra di lui!
«Quel borbottio era un discorso umano! Dev’essere da qualche parte lassù!» Tali parole elfe, profonde e riecheggianti, sembrarono avvolgerlo da ogni parte.
Nel caos stridente e accecante che seguì quella voce assordante Elminster Aumar sputò sangue dalla bocca, dal naso, dagli occhi, e dalle orecchie, e sprofondò, fluttuando, nell’oblio oscuro…
12.
Il cervo è alle strette
Il momento più pericoloso della caccia al cervo è quando l’animale, alle strette, si volta, deciso a barattare la sua vita per quella del maggior numero possibile di cacciatori. La magia elfa solitamente trasforma quegli istanti in semplici occhiate di magnifica futilità. Ma sarebbe lo stesso, mi chiedo, se il cervo avesse conosciuto una magia potente?
«Mi sta venendo addosso! Distruggilo!»
La voce dell’elfo era terrorizzata e strappò Elminster dall’oscurità fluttuante. Il giovane si ritrovò madido di sudore, ancora steso nella stanza angusta delle ossa.
Vi fu un ruggito di fiamme alla sua destra, e una pungente lingua di fuoco lambì per un attimo il soffitto pochi centimetri sopra il suo naso. El socchiuse gli occhi, cercando di vedere: un lato della faccia gli parve scottato.
Quando si fidò ad aprire nuovamente gli occhi, il fuoco era scomparso. Tre sfere luminose dall’aspetto soffice stavano fluttuando oltre la fessura, nella parte alta della stanza in cui aveva studiato con la Srinshee. Grazie alla loro luce poté vedere l’elfo che aveva urlato. Era sollevato da terra all’altezza della fessura, la spada nella mano, tuttavia levitava, non era sospeso di sua volontà. Attorno a lui, appena fuori dalla portata dell’arma pungente, svolazzava uno dei fantasmi dei Dlardrageth: l’incantesimo delle sfere di fuoco non era riuscito a distruggerlo.
Se i sortilegi comuni o di facile attuazione avessero potuto annientare i resti spettrali di Casa Dlardrageth, ovviamente i fantasmi sarebbero stati distrutti molto tempo addietro, e qualche nuova casata ambiziosa avrebbe ora abitato il castello. Esistevano, dunque, poche possibilità che uno dei giovani elfi avesse il potere di distruggere un fantasma Dlardrageth.