Ivran avanzò ancora, lentamente, lanciando in aria la sua lunga ed esile spada, per poi riprenderla con estrema destrezza, ed Elminster intuì che l’avrebbe presto lanciata. «Anche per l’uccisione di uno solo di quegli eredi, per non parlare della dozzina di servi e di guerrieri che hai atterrato lungo la strada, si merita la morte, umano. Anche per uno solo! Ora ti abbiamo finalmente in pugno e dobbiamo risolvere il difficile problema di come ucciderti adeguatamente dieci volte, o forse undici?»
Selorn si avvicinò ulteriormente al principe. «Due dei cavalieri da te assassinati erano amici miei. E tutti noi siamo rattristati dalla perdita di Lady Symrustar, le cui promesse ci allietavano da tre anni a questa parte. Li hai strappati da noi, verme umano. Hai qualcosa di inutile da dire a tua discolpa? Qualcosa per intrattenerci mentre ti facciamo a pezzi?»
Mentre urlava quelle ultime parole, Ivran si lanciò all’attacco, scagliando la sua spada in una foschia argentea. Era diretta a colpire la mano di El e a rovinare il suo incantesimo, prima che gli altri elfi, balzando da tutte le direzioni, lo raggiungessero.
Con un sorriso torvo sul volto, Elminster elaborò l’incantesimo, e divenne una colonna vorticante di scintille bianche. Gli elfi sbatterono l’uno contro l’altro, affondando le lame; si piegarono per il dolore, e urlarono, oppure iniziarono a tossire afferrati all’elsa delle spade conficcate fino in fondo nei loro corpi, e vomitarono sangue sul pavimento.
La colonna turbinante di scintille bianche cominciò ad allontanarsi, diretta verso il passaggio da cui El era entrato. Ringhiando affannosamente, con due spade non sue fuoriuscenti dal corpo, Ivran urlò: «Uccidete l’umano! Usate l’incantesimo della punta di spada!»
La sua ultima parola venne soffocata da una bolla di sangue e un elfo ferito alla fronte, il più timoroso della banda, si affrettò a sostenere il vacillante Ivran, le mani cariche di magia guaritrice.
Tlannatar Wrathtree seguì l’ordine del capo e gridò: «Ho l’incantesimo! Lanciate la spada in alto!»
Obbedienti, gli elfi che ancora potevano gettarono spade e pugnali in aria, sopra le loro teste. Il sortilegio, che creò stelle di forza di colore blu-bianco attorno alle mani di Tlannatar, prese possesso delle armi e le inviò, raggruppate in uno sciame mortale, attraverso la stanza.
La colonna bianca turbinante si fermò all’entrata del passaggio, e le spade e i pugnali deviarono dalla loro traiettoria, la aggirarono, e con rinnovata velocità tornarono da dove erano venuti come una gragnola di dardi assassini, lanciati in ogni direzione. Tlannatar urlò quando una lama lo colpì all’orecchio, e cadde con la bocca ancora aperta. Ivran, sostenuto dal suo guaritore, venne colpito alla gola e sputò sangue verso il soffitto in un ultimo grido, e un altro elfo cadde, trafitto da una spada nella parte più lontana della stanza. Fece due passi incerti verso il cumulo di rocce dietro cui stava cercando rifugio, poi vi cadde sopra e rimase immobile, per sempre.
Quando la colonna di luci e scintille bianche scomparve nel corridoio e nella stanza ripiombò il silenzio, l’elfo pauroso si guardò intorno. Era l’unico sopravvissuto, nonostante qualcuno stesse gemendo flebilmente accanto a un muro.
Stordito dal dolore, fece qualche passo in quella direzione, sperando che l’unico incantesimo guaritore rimastogli fosse sufficiente. Ma quando raggiunse il compagno, questi era immobile e silenzioso. L’elfo lo scosse e sussurrò il suo nome, ma dalla bocca esanime non giunse alcuna risposta.
«Quanti di noi», domandò alla stanza vuota con voce tremante, «dovranno sacrificarsi per comprare la vita di un solo umano? Padre Corellon! Quanti?»
Energia allo stato primitivo stava pervadendo il corpo di Elminster – più di quanta ne avesse mai sperimentata al di fuori dell’abbraccio di Mystra – e il giovane si sentì più forte, più caldo e più potente attimo dopo attimo. Mentre vorticava, la foschia purpurea evocata dai maghi veniva assorbita dentro di lui, conferendogli potere: selvaggio, libero e magnifico!
Ridendo incontrollabilmente, il principe di Athalantar si sentì sempre più alto e brillante, a mano a mano che si sollevava dalla base in frantumi della torre.
Era cosciente anche del fatto che i quattro maghi stavano fuggendo in preda al panico. Allora vorticò nella loro direzione, ebbro del suo potere, desideroso di uccidere, di distruggere e…
I maghi stavano recitando un incantesimo all’unisono. El si protese verso di loro, cercando di raggiungerli prima che potessero scappare, o fare qualsiasi altra cosa stessero tentando di fare, ma nella sua forma vorticante non riusciva a procedere rapidamente come avrebbe voluto. Cercò di chinarsi e di spazzarli via, ma non riuscì ad abbassarsi a sufficienza, poiché la rotazione lo rispedì verso l’alto. Ora si stava avvicinando nuovamente, stava…
Troppo tardi. I quattro elfi riabbassarono le mani lungo i fianchi – mani infuocate – e rimasero a guardarlo, in attesa. Non accennavano a fuggire, né sembravano allarmati.
Un istante più tardi Faerûn esplose ed Elminster si sentì torcere e scagliare in tutte le direzioni, come erba spazzata da un vento violento. «Mystra!» gridò, o perlomeno tentò di farlo, ma non vi era altro che il ruggito e le luci, ed El stava precipitando: molti El stavano precipitando, su molte cime di alberi…
«E poi che cosa accadde?» La voce del Supremo Mago di Corte Earynspieir era carica di rabbia e di esasperazione. Perché, oh Corellon dimmi perché, i giovani del regno devono essere tanto assetati di sangue?
Il mago elfo tremante davanti a lui iniziò a piangere, e s’inginocchiò implorando pietà.
«Oh, alzati!», esclamò disgustato Lord Earynspieir. «Ormai è fatta. Sei sicuro che l’umano sia morto?»
«L’abbiamo fatto esplodere, Si… signore», blaterò un altro mago. «Dopodiché ho controllato eventuali usi di magia o la presenza di creature invisibili, ma non ne ho trovato tracce».
Earynspieir annuì con fare quasi assente. «Chi è sopravvissuto della banda che entrò nel castello?»
«Rotheloe Tyrneladhelu, Signore. Non… non è ferito, ma non ha ancora smesso di piangere. Dev’essere uscito di senno».
«Dunque abbiamo otto morti e un sofferente», concluse freddo il mago supremo, «e voi quattro illesi e trionfanti». Diede uno sguardo alle rovine del castello. «Ma nessuna prova che l’umano sia morto. Davvero una grande vittoria».
«Be’, lo è stata!», urlò il quarto mago, colto da una furia improvvisa. «Non vi ho visto qui, gomito a gomito con noi, mentre sferravamo incantesimi all’Ammazzaeredi! È uscito vorticante dal castello, come una sorta di dio, una colonna mortale di fuoco e scintille, alta più di trenta metri, che lanciava incantesimi in tutte le direzioni! La maggior parte degli elfi sarebbero fuggiti, ve lo giuro, ma noi quattro siamo rimasti, abbiamo mantenuto la calma e l’abbiamo abbattuto! E…», guardò le facce silenziose e cupe dei maghi e delle maghe di corte, e delle guardie attorno a lui, queste ultime tutti eroi di guerre passate, i loro volti inespressivi segnati dal tempo, e terminò in modo poco convincente: «… sono fiero di ciò che abbiamo fatto».
«Ne prendo atto», affermò Earynspieir ironicamente. «Sylmae? Holone? Ipnotizzate questi quattro, e Tyrneladhelu, per vedere che cosa rimane della sua mente. Dobbiamo sapere la verità». Il mago si voltò, e le colleghe annuirono.
Quando le maghe avanzarono, uno dei maghi sollevò le mani, e attorno a esse comparvero anelli rossi di fuoco. «State indietro, sgualdrine», esclamò l’elfo con tono d’avvertimento.
Sylmae increspò le labbra. «Saresti molto meno bello con quei cerchi di fuoco sul di dietro, giovanotto presuntuoso. Finiscila con le sciocchezze, altrimenti Holone e io ci arrabbieremo seriamente».