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Uno dei servi si stirò, ma nella stanza non volò una mosca.

Lady Evendusk continuò. «Ihimbraskar, non voglio perdere quell’onore. Non voglio perdere te. Altri signori e le loro casate hanno brandito le spade, sferrato incantesimi, e sfidato apertamente il Coronal, il tutto per un uomo. Temo che qualcuno possa trafiggere con la spada il mio Signor Evendusk».

Marito e moglie rimasero in silenzio per un istante, senza togliersi gli occhi di dosso, dopodiché Duilya proseguì, le parole echeggianti nella stanza silenziosa.

«Nulla vale tutto ciò. Per nessun uomo vale la pena di scatenare faide, di versare sangue e distruggere Cormanthor. Io parlo con le altre donne, giorno dopo giorno, e vedo svolgersi la vita del regno. Ma tu non mi domandi mai che cosa ho visto o udito, né discuti mai con me. Mi sprechi, mio caro. Mi tratti come una sedia, o come un clown dai ridicoli fronzoli, quando ti vanti con gli amici di quanti soldi spreco per gioielli e vestiti!»

La donna si alzò, si tolse la tunica, e la porse al marito. «Sono molto più di questo, Ihimbraskar. Vedi?»

Gli occhi del marito tremolarono; l’elfa fece due rapidi passi verso di lui, la tunica in mano, ed esclamò appassionata: «Sono tua amica. Sono la persona con cui dovresti confidarti, con cui dovresti condividere barzellette volgari, con cui discutere. Hai dimenticato che cosa significa scambiare idee – non baci o pizzicotti, ma idee, ad alta voce – con una donna elfa? Ora vieni con me, t’insegnerò. Abbiamo un regno da salvare».

Duilya si voltò e si incamminò verso la stanza con passo determinato. Lord Evendusk la guardò allontanarsi, i fianchi nudi ondeggianti, si schiarì la gola rumorosamente e si rivolse ai servi: «Ah… avete udito la mia signora. A meno che non udiate il campanello, per favore non disturbateci: abbiamo molto di cui parlare».

Si voltò verso la porta dalla quale era uscita Lady Evendusk, fece due rapidi passi, quindi si girò di nuovo verso la servitù, gettò il frustino sul tavolo ed esclamò: «Ancora una cosa. Uh… le mie scuse».

Dopodiché si mise a correre verso la stanza. I servi rimasero in silenzio finché non furono sicuri che il padrone si trovasse fuori portata di voce.

Ma la conversazione allegra ed eccitata che seguì fu nuovamente interrotta quando Naertho entrò nella stanza. In mano aveva la seconda bottiglia di sherry triplo. «Il padrone e la padrona han detto che è per noi!», affermò con voce roca.

Quando le grida di stupore suscitate da quella frase si furono placate, il servo guardò gli alberi fuori dalla finestra, gli occhi scintillanti, e aggiunse: «Grazie a te, Corellon. Mandaci un uomo tutti i mesi, se l’effetto è questo!»

Nella piscina di un giardino privato, quattro donne si abbracciarono e versarono lacrime di gioia. I loro bicchieri di sherry triplo fluttuavano, dimenticati, attorno a loro.

13.

Alla deriva

Per un certo periodo, Elminster divenne un fantasma e vagabondò silenzioso e invisibile nel cuore di Cormanthor. Gli elfi non vi fecero caso, ed egli poté imparare molto: non che gli fosse rimasta una gran vita per poter far uso degli insegnamenti ricevuti.

Antarn il Saggio
Da La grande storia della potenza degli arcimaghi faerûniani
Pubblicata approssimativamente nell’Anno del Bastone

Trascorse un bel po’ di tempo prima che Faerûn ricomparisse. Fino ad allora Elminster era stato a malapena consapevole di se stesso come nuvola di pensieri, alla deriva in un vuoto scuro e infinito, attraverso il quale rumori – esplosioni di forza, più che altro – brontolavano ed echeggiavano di tanto in tanto.

Dopo aver fluttuato per un tempo infinito, appena cosciente di chi o di che cosa fosse, El vide apparire alcune luci: bagliori pungenti, fugaci, che comparivano talora nel vuoto intorno a lui.

Poi suoni e luci divennero più frequenti e i ricordi incominciarono ad animarsi, come serpenti irrequieti che si srotolano, in quel barlume di autoconsapevolezza che era in quel momento il principe di Athalantar, l’Eletto di Mystra. Egli vide spade sollevarsi e ricadere, e una gemma che conteneva un caos turbinante di immagini, i ricordi di altri, lo investi come un mare in burrasca e lo sollevò alla presenza di una fanciulla fantasma nei giardini notturni di un palazzo: il palazzo di un elfo anziano e gentile in tunica bianca, il governatore di seguaci che cavalcavano unicorni e destrieri alati, il governatore di… di…

Il Coronal. Quel titolo avvampò come fuoco bianco nella sua memoria, come l’armonia grande e spaventosa di una fanfara trionfale: la marcia favorita dai Signori Maghi nell’Athalantar della sua giovinezza, che risuonava attraverso la città di Hastarl, echeggiando di torre in torre, quando i maghi si riunivano per prendere decisioni importanti.

Gli stessi che aveva alla fine sconfitto, per rivendicare il suo trono, e poi rinunciarvi. Era un principe, il nipote del Re Cervo. Era un reale di Athalantar, della famiglia Aumar, l’ultimo di molti principi. Era un ragazzo che correva fra gli alberi di Heldon, un fuorilegge e un ladro di Hastarl, un sacerdote – o una sacerdotessa? Non era stato una donna? – di Mystra. La Signora dei Misteri, la Madre della Magia, la sua maestra Myrjala che divenne poi Mystra, sua padrona e guida divina, che fece di lui il suo Eletto, il suo… Elminster!

Era Elminster! Armathor umano di Cormanthor, nominato tale dal Coronal, inviato da Mystra per svolgere una missione importante a lui ancora sconosciuta, e attaccato da tutti i lati dai giovani elfi ambiziosi, spietati e arrogantemente potenti di quel regno, insofferenti delle vecchie maniere e dei nuovi decreti del Coronal e della sua corte: ardavanshee, come li definivano gli anziani, o «giovani irrequieti». Ardavanshee che forse l’avevano già ucciso, poiché se Elminster Aumar non era morto, in quale altro modo poteva spiegarsi la sua condizione attuale?

Fluttuante, nel caos oscuro…

Sprofondò nuovamente nei suoi pensieri, che ora scorrevano come un fiume in piena. Ardavanshee che sfidavano la volontà degli anziani, ma che difendevano l’orgoglio della famiglia di nascita. Ardavanshee che temevano, e tuttavia screditavano, il potere dei Supremi Maghi di Corte, del Coronal e del suo consigliere più anziano, la Srinshee.

Quel titolo sembrò aprire un’altra porta nella mente del giovane principe, dalla quale entro un’ondata di luminosità e di vividi ricordi, nonché una più forte sensazione di essere Elminster. Lady Oluevaera Estelda gli sorrise da un volto nobile e rugoso e poi, inconcepibilmente, da un viso molto più giovane, che aveva tuttavia mantenuto gli occhi vecchi e saggi: la Srinshee, più anziana degli alberi dalle radici più profonde, camminava nella Volta dei Secoli stipata di gioielli, con riverenza per i morti e gli scomparsi, serbando nella sua mente l’intero sapere e il lungo lignaggio dei prodi elfi cormanthoniani, nella volta dietro ai suoi occhi, tanto più ampia di quella in cui passeggiava con un giovane umano impaziente dal naso adunco.

L’intruso umano odiato da tutti e ricercato dagli ardavanshee per gli omicidi commessi, ardavanshee capeggiati dalla casata degli Echorn e degli Starym e dei Waelvor. Waelvor, il cui rampollo era Elandorr, pretendente e rivale di Lady Symrustar.

Symrustar! Quel viso perfetto, quelle trecce blu che gli strappavano i vestiti, quel dragone sul ventre e sul seno, gli occhi come due fiamme blu luccicanti di promesse, e le labbra socchiuse in un sorriso astuto, quella strega spietata e ambiziosa, la cui mente era altrettanto putrida di quella dei Signori Maghi, che considerava gli elfi, e gli uomini, stupide bestie da usare nella sua scalata verso una meta ancora lontana.