Era costume di Cormanthor che le donne abbienti avessero una sorta di portagioie portatile, somigliante a una portantina con baldacchino. I loro gioielli erano disposti al suo interno o custoditi in speciali cassettini, intagliati uno per uno per adattarsi alle pareti di legno. Tali boudoir erano equipaggiati con piccoli specchi pensili, minuscole sfere di vetro luminose che brillavano se toccate con un dito, e piccoli sedili. Inoltre contenevano potenti incantesimi per tenere alla larga chiunque fosse attratto dalla bellezza delle pietre in essi conservate; incantesimi che permettevano l’entrata solo alla proprietaria. Quei «veli» erano tanto potenti da emanare un bagliore blu intenso, mentre ondeggiavano attorno al boudoir formando un involucro magico.
Erano abbastanza potenti, si ricordò El dai commenti della Srinshee, da scagliare gli intrusi a grande distanza, e da non cedere alla carica del più forte dei guerrieri, nemmeno se aiutato da altri uomini armati di lance. Si sarebbero comportati nello stesso modo con un fantasma umano? L’avrebbero respinto?
El si avvicinò cautamente al boudoir, muovendosi con infinita pazienza, estendendo la propaggine più sottile di sé fino a toccare il bagliore blu pulsante.
Questo rimase immutato, ed Elminster non sentì nulla. Allora allungò un dito fantasma e toccò le tre gemme appese da fini catene al soffitto curvo del boudoir di Duilya Evendusk.
Di nuovo non senti dolore, e l’incantesimo sembrò non mutare. Riluttante, il principe sfiorò col suo corpo evanescente il bagliore, ma anche questa volta non accadde nulla di spiacevole. Poi si allontanò dal boudoir, volteggiò attorno a Lord e Lady Evendusk per un attimo, mentre i due si sussurravano parole gentili pervasi da un desiderio crescente, dopodiché si lanciò attraverso la stanza contro la portantina magica.
Senza nemmeno disturbare un anello, superò la barriera, passò attraverso il baldacchino, e uscì come un fulmine silenzioso dall’altra parte, fermandosi a pochi millimetri dal muro.
Dietro di lui la luminosità del velo rimase inalterata. El si voltò e guardò il boudoir con una certa soddisfazione; la coppia di elfi fluttuava languida a mezz’aria nella sua danza amorosa, il giovane sorrise – o tentò di farlo – poi uscì da una finestra ovale nel giardino muschioso, in cerca d’informazioni.
Desiderava trovare il Coronal, per assicurasi che gli ardavanshee assetati di sangue, o peggio, i maghi anziani delle casate arroganti a cui appartenevano i giovani avventati, non si fossero azzardati a colpire il cuore e la mente del regno.
Dopodiché, supponendo che l’Onorato Signore, Sua Altezza di Cormanthor, fosse ancora illeso, sarebbe stato tempo di cercare la Srinshee, affinché potesse restituire un corpo a un certo armathor umano fino ad allora tanto bistrattato, se mai la sua condizione non fosse per allora cambiata.
El voltò in direzione del palazzo reale, salì all’altezza delle cime degli alberi e delle torri e zigzagò fra esse, ammirando l’immensa bellezza di Cormanthor.
Giardini circolari che apparivano come piccoli pozzi verdi, e alberi piantati a formare mezze lune attorno a prati di muschio, si estendevano a perdita d’occhio sotto di lui. Vide guglie di pietra, attorno alle quali alberi giganti si attorcigliavano formando eliche viventi di foglie, di rami sapientemente modellati, e di piccole finestrelle aperte nella corteccia, nelle quali si intravedevano le sagome di bambini elfi intenti a giocare, ballare e lottare; vide vessilli di seta traslucida che cavalcavano i venti con leggerezza infinita, come fossero tele di ragno, sostenuti da alberi modellati come le dita di una mano aperta, con una stanza dal soffitto a cupola, accoccolata come un uovo nel palmo aperto di quella mano. Sorvolò case che ruotavano e riflettevano il sole mediante ornamenti di vetro girevoli, pendenti simili a gocce di pioggia gelate sui balconi e sui telai delle finestre.
El guardò tutto ciò con nuova meraviglia. In mezzo alla confusione e ai combattimenti seguiti al suo arrivo in città, aveva dimenticato quanto fossero meravigliose le opere elfe. Se le antiche casate l’avessero avuta vinta, naturalmente gli uomini non avrebbero mai visto tali capolavori, e quei pochi intrusi che l’avessero fatto, quali Elminster Aumar, non sarebbero vissuti abbastanza a lungo per raccontarle.
Dopo un po’ usci da un gruppetto di alberi-abitazione e di case a guglia, dalle molte finestre, e sorvolò un muro protetto da numerosi incantesimi, oltre il quale si estendeva un giardino pieno di piscine e di statue, un giardino enorme, pensò El mentre avanzava senza sosta.
E tuttavia non sembrava quello del Coronal. Dove si trovava il…?
No, quello non era il suo palazzo. Era una casa grandiosa, sì… una collinetta munita di finestre e irta di torri slanciate. I suoi fianchi ammantati d’edera digradavano nelle curve pigre di un ruscello, che scivolava placido oltre alcune isole, simili a enormi cuscini di muschio collegati da ponticelli arcuati.
Era l’edificio più bello che il principe avesse mai visto. Sempre volando, virò verso la grande finestra più vicina. Come molte altre era priva di vetri, e protetta da un invisibile campo magico che impediva il passaggio di tutti gli oggetti solidi, ma lasciava entrare indisturbata la brezza. Due elfi ben vestiti erano appoggiati alla barriera magica con un calice in mano.
«Mio caro Lord Maendellyn», esclamò una voce dal tono altezzoso, «è sicuramente insolito per uno della mia casata trovare tanto rapidamente una causa comune con quelle di più giovane retaggio; questa è davvero una cosa che colpisce tutti».
«Abbiamo dunque, Llombaerth, il pieno appoggio di Casa Starym?»
«Oh, non credo sia necessario. Chi desidera riformare Cormanthor e sentirsi fiero di farlo deve talora esser visto fare cose per se stesso e accettarne le conseguenze».
«Mentre gli Starym guardano, sorridenti, dai bordi del campo», affermò ironica una terza voce, «pronti ad applaudire tali coraggiose casate in caso di successo, o ad accusarle di tradimento se falliscono. Già, è così che una casata vive da lungo tempo e trae molti profitti. Nel contempo, però, lascia i membri della famiglia in questione su un terreno scomodo quando pretende di istruire gli altri sulla tattica, o sull’etica, o sul bene del regno».
«Mio caro Lord Yeschant», ribatté fredda la voce altezzosa, «il tono delle vostre osservazioni non mi tocca minimamente».
«Eppure, Signor Portavoce degli Starym, voi volete unirvi a noi in nome di una causa comune, poiché voi avete da perdere più di tutti».
«Come sarebbe?»
«Casa Starym detiene attualmente il rango più alto. Se si permetterà al Coronal di mettere in atto il suo folle progetto per Cormanthor, la vostra casata avrà molto più da perdere che, diciamo, quella Yridnae».
«Esiste una Casata Yridnae?», chiese qualcuno in sottofondo, ma El, avvicinatosi, non udì risposta.
«Signori miei», osservò Lord Maendellyn frettolosamente, «mettiamo da parte questa divergenza e occupiamoci della questione più urgente: la necessità di porre termine al governo del nostro attuale Coronal, e alla sua follia di Apertura, per il bene di tutti».
«Qualsiasi cosa faremo», esclamò una voce profonda con aria disperata, «non mi ridarà mio figlio. È stato l’umano a ucciderlo, ed è stato il Coronal a introdurlo nel regno; perciò, anche il Coronal deve morire, affinché il mio Aerendyl sia vendicato».
«Anch’io ho perso un figlio, Lord Tassarion», asserì una nuova voce, «ma ciò non significa che la morte di Leayonadas debba essere vendicata col sangue del governatore di Cormanthor. Se Eltargrim deve morire, lasciate che sia una decisione ragionata, presa per il futuro del regno, e non un mero atto di vendetta».