«Quali provvedimenti?», chiese un altro signore senza convenevoli. Le cicatrici, la spada pronta: sembrava in tutto e per tutto un vero comandante di battaglia. Quando si protese per fare quella domanda, la sua voce aveva il piglio del comando.
«Provvedimenti segreti, mio caro Lord Paeral», ribatté Earynspieir.
Un signore accanto al capo della Casata Paeral, un elfo dorato, il più bello di tutte le specie che Elminster avesse mai visto, sollevò i magnifici occhi argentei e affermò: «Se non vi fidate di noi, Signor Mago Supremo, Cormanthor è condannata. Non è più tempo di tenere segreti. Se chi è rimasto fedele al Coronal non saprà esattamente dove e quando si svolgono i fatti del regno, egli non avrà scampo».
Earynspieir fece una smorfia, quasi di dolore, prima di abbozzare un sorriso spento. «Ben detto, come sempre, mio caro Lord Unicorn. Tuttavia, come ha sottolineato precedentemente Lord Adorellan, ogni parola che sfugge dalle nostre labbra costituisce un altro punto debole nell’armatura di Eltargrim. Sua Altezza è ora nascosto, dietro mia raccomandazione e…»
«Chi lo sta proteggendo?», domandarono Droth e Paeral quasi all’unisono.
«Maghi di corte», rispose Earynspieir, lasciando intuire che preferiva non aggiungere altro.
«“Le Sei Sorelle Badanti”?», chiese il sesto elfo presente, inarcando un sopracciglio. «Saranno davvero le persone più adatte per respingere un attacco, considerato il fatto che alcune di loro appartengono a casate a cui non dispiacerebbe affatto vedere morto Eltargrim?»
«Lord Siirist», esclamò severo il Supremo Mago di Corte, «non comprendo perché parliate in questo modo di signore che servono il regno con tanta competenza. E apprezzo ancor meno il timore per la loro fedeltà. Ciononostante, altri condividono la vostra opinione, e la mente delle sei maghe è stata scrutata dallo stesso esperto che anche ora è a fianco del Coronal, incantesimi alla mano».
«Ossia?», lo incalzò fermamente Lord Unicorn.
«La Srinshee», rispose Earynspieir, ormai esasperato. «E se non ci fidiamo di lei, signori, di chi altro potremo mai fidarci in tutto il regno di Cormanthor?»
Col procedere delle discussioni El comprese che Lord Earynspieir non avrebbe aggiunto altro sui misteriosi provvedimenti menzionati. Al contrario, stava tentando di convincere gli elfi presenti a radunare maghi e guerrieri in vari luoghi, sotto comandanti che avrebbero obbedito a chiunque avesse pronunciato certe frasi segrete. Non aveva nessuna intenzione di rivelare il nome di individui o casate a lui noti come traditori, né di svelare il nascondiglio del Coronal e della Srinshee.
Senza un mezzo di teletrasporto, El non poteva nemmeno guardare nella Volta dei Secoli, metri e metri sotto terra, in un luogo a lui sconosciuto.
Improvvisamente esasperato, il principe uscì fluttuando dalla stanza, si lanciò per il palazzo come una freccia in cerca del nemico, diretto a nord, fuori dalla città. Aveva bisogno nuovamente della quiete degli alberi, per riflettere. Forse, sarebbe finito a ficcare il naso e a spiare le vite degli elfi in tutta la città, per raccogliere il maggior numero di informazioni utili. Non sapeva davvero come molti elfi si guadagnassero i soldi che spendevano, per esempio…
Qualcosa si mosse sotto gli alberi davanti a lui. Qualcosa che gli parve disgustosamente familiare.
El rallentò bruscamente, virando per ottenere una prospettiva migliore. Ora si trovava nella foresta, oltre la zona in cui solevano passare le pattuglie regolari, al margine di una regione di forre tortuose e di rovi contorti.
La cosa che stava osservando era piena di graffi e si trascinava faticosamente carponi tra i rovi, senza una meta precisa: solo una mano poggiava completamente a terra, l’altra, simile a un artiglio rattrappito, era piegata all’indietro. La creatura gemente era costretta a procedere sul polso. Un polso, che insieme ad altre parti del corpo, era stato lacerato da ramoscelli appuntiti o da rocce e spine, e lasciava dietro di sé una striscia di sangue. Presto qualche bestia famelica avrebbe divorato quell’essere debole e impotente.
El planò fino a pochi centimetri da terra, e guardò con interesse, attraverso quella foresta sudicia e aggrovigliata di trecce blu, gli occhi pieni di lacrime del vanto degli ardavanshee: Lady Symrustar Auglamyr.
14.
Rabbia a corte
Ancora oggi gli elfi sono soliti dire «Splendido come la corte del Coronal» quando descrivono il lusso o un’opera di squisita bellezza, e la memoria di quello splendore, ora estinto, non morrà mai. La corte del Coronal era nota per le sue decorazioni, e persino i rampolli delle casate più potenti solevano fermarsi in ammirazione e stupore davanti al suo sfarzo, e misuravano parole e azioni con somma grazia; dal Trono di Cormanthor, fluttuante sopra di essi, venivano emessi i giudizi più solenni e più nobili di quel tempo.
Si udì un suono stridulo e acuto, come quello di numerose corde d’arpa toccate all’unisono, e la voce gentile, magicamente amplificata, dell’araldo di corte rombò lungo il pavimento liscio della grande Camera delle Corte: «Lord Haladavar; Lord Urddusk; Lord Malgath».
L’agitazione s’impadronì dei cortigiani e si levarono brevi conversazioni che subito si spensero in un silenzio di eccitazione, quando i tre anziani signori entrarono camminando a mezz’aria, vestiti con la tunica d’onore. I loro servi si ritirarono e raggiunsero gli armathor alle porte della corte, e i tre capocasata procedettero, nel silenzio teso, lungo la sala aperta fino alla Piscina.
Nella loro scia si udì un gran fruscio, poiché i cortigiani di entrambi i lati della sala si agitarono per ottenere un posto in prima fila. Nel mezzo di quel trambusto una figura piccola, esile, quasi fanciullesca scivolò dietro uno degli arazzi che nascondevano le uscite, e svanì.
Fluttuante sopra la Piscina della Rimembranza, luminosa e circolare, vi era il Trono del Coronal, magnifico nella sua struttura alta e arcuata, sul quale sedeva a suo agio il vecchio Eltargrim, la tunica bianca splendente. «Avvicinatevi e siate i benvenuti», esclamò formale, ma non senza calore. «Di che cosa parlerete, qui di fronte a tutta Cormanthor?»
Lord Haladavar allargò le mani. «Vorremmo parlare del vostro progetto di Apertura; nutriamo numerose apprensioni a tale proposito».
«Apprezzo la vostra schiettezza e il vostro spirito: procedete», affermò tranquillo Eltargrim.
All’unisono i tre signori scostarono la fascia delle loro tuniche, e piccoli fulmini crepitarono attorno all’elsa di tre spade da tempesta. I cortigiani emisero un mormorio di terrore per la violazione del protocollo, nonché per il pericolo che avrebbero potuto costituire tali armi se brandite in quella stanza piena di incantesimi.
Alcuni armathor si accinsero, con facce torve, a raggiungere il Coronal, ma Eltargrim fece loro cenno di fermarsi e sollevò una mano, il palmo verso l’alto, per chiedere silenzio. Ottenutolo, indicò le luci scintillanti che ammiccavano vivaci nella piscina alle sue spalle, e affermò tranquillo: «Eravamo già consapevoli delle vostre spade, e siamo dell’opinione che siano frutto di un errore di giudizio, commesso nell’intento di sottolineare la vostra solenne determinatezza».
«Esattamente, Onorato Signore», rispose Haladavar, e poi aggiunse ciò che il suo tono aveva già messo in chiaro: «Sono sollevato dal fatto che la pensiate in tal modo».