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«Vorrei essere della stessa opinione», mormorò la Srinshee, sistemandosi sulla barriera decorata del soffitto, al di sopra di tutti i cortigiani e puntando il Bastone della Scissione verso i tre nobili. «Ora che avete fatto la vostra dimostrazione, signori, comportatevi bene», mormorò la maga, come se fossero ancora bambini, e lei la loro tutrice. «Cormanthor ve ne sarà grata».

Sollevando lo sguardo, la donna vide che le numerose bacchette magiche puntate verso il basso erano al loro posto, in attesa del tocco che ne avrebbe scatenati i poteri. «Corellon fa che non sia necessario», sussurrò Oluevaera, prima di concentrarsi sugli eventi che si svolgevano di sotto.

Inconsapevoli del pericolo sospeso sulle loro teste, i tre signori si allinearono di fronte alla Piscina, e Urddusk iniziò la conversazione.

«Onorato Signore», affermò brevemente, «non mi è stato concesso il dono di una lingua abile e dolce, perciò sono solito esprimermi con poche, schiette parole. Spero non vi offendiate per ciò che vi dirò, poiché trovo giusto che voi sappiate: se non ci ascolterete, o congederete le nostre preoccupazioni senza un colloquio, tenteremo di usare le spade contro di voi. Mi dispiacerebbe molto, e spero non sia necessario. Ma, Vostra Altezza, dovrete ascoltarci. Mancheremmo ai nostri impegni verso Cormanthor se ora restassimo in silenzio».

«Vi ascolterò», ribatté dolcemente il Coronal. «Sono qui per questo. Parlate».

Lord Urddusk guardò il terzo nobile; Malgath era noto per essere un buon parlatore: qualcuno avrebbe anche usato l’aggettivo «scaltro». In quel momento, sentendosi addosso gli occhi di tutta la corte, questi non poté resistere alla tentazione di atteggiarsi.

«Vostra Altezza», mormorò sornione, «temiamo che il regno, come noi lo conosciamo, venga spazzato via, se gnomi, halfling, mezzo sangue, e razze ancor peggiori, verranno lasciate libere di scorrazzare a Cormanthor, di abbattere alberi e di invadere il nostro spazio vitale. Oh, ho udito che progettate di mettere noi signori a capo della gestione forestale, per decretare quali alberi si debbano abbattere e quali no. Ma, Lord Eltargrim, riflettete: quando un albero è tagliato, e muore, il danno è fatto, e nessun tipo di scuse lacrimose per aver scelto quello sbagliato lo riporteranno in vita. Potrà farlo la magia, certo, ma quanta saggezza ed energia dei nostri migliori maghi è andata sprecata, nei dodici inverni passati, per escogitare nuovi incantesimi che facessero crescere gli alberi dai ceppi, e che rendessero la foresta più vitale? Tali magie non sarebbero necessarie se impedissimo semplicemente agli uomini di entrare. Prima avete detto che la pigrizia degli uomini farà sì che la maggior parte di essi non causino guai. Forse è vero, ma troppo spesso vediamo un altro tipo di uomini: gli avventurieri irrequieti, quelli che devono esplorare per curiosità e distruggere per brama di dominio. Sappiamo inoltre che gli uomini sono avidi, quasi come i nani. E voi progettate di invitarli nel cuore di Cormanthor. Loro abbatteranno gli alberi, e i nani faranno altrettanto per alimentare i fuochi delle loro fucine

Quando Lord Malgath pronunciò tali parole, si levarono alcune grida di assenso; il Coronal allora attese il ritorno al silenzio e domandò: «È questa la vostra unica preoccupazione, signori? Che il regno di oggi venga spazzato via se mai consentiremo ad altre razze di insediarsi nella nostra città, e in altre aree a noi care? Gli halfling in particolare, molti mezzo sangue, e persino alcuni uomini hanno abitato per anni ai confini del nostro regno e tuttavia noi oggi siamo qui, liberi di discutere. Manderò alcuni armathor a controllare, se desiderate, ma sono sicuro che nessun uomo ha oltrepassato la soglia di questa corte oggi».

Vi fu un lieve scroscio di risa, ma Lord Haladavar ringhiò: «Trovo che ciò non sia affatto divertente, Onorato Signore. Uomini e nani, in particolare, hanno l’abitudine di ignorare o distorcere ogni autorità imposta, e di sfidare la Gente ogni volta capiti loro l’occasione. Se li lasceremo entrare, ci scalzeranno, ci inganneranno, e ci supereranno per numero. Molto presto verremmo costretti ad abbandonare Cormanthor!»

«Ah, Lord Haladavar», esclamò Eltargrim, sporgendosi dal trono, «avete sollevato la ragione precisa per cui proposi quest’Apertura: se non permetteremo agli uomini di condividere il regno ora, alle nostre condizioni e sotto il nostro governo, essi lo invaderanno, esercito dopo esercito, e sopraffaranno la Gente in uno o due secoli al massimo. Per allora saremo tutti morti e nessuno potrà più esser cacciato da Cormanthor».

«Pura fantasia!», protestò Lord Urddusk. «Gli umani non sono in grado di schierare eserciti capaci di vincere la minima scaramuccia contro l’orgoglio del regno!»

«Già», affermò serio Haladavar. «Nemmeno io riesco a credere a tale minaccia».

Lord Malgath si limitò a sollevare un sopracciglio in segno d’incredulità.

Il Coronal reagì imponendo il silenzio e chiamò: «Mia messaggera, venite avanti!»

Alais Dree lasciò la soglia della Camera della Corte. Dopo tre passi dalla sua tunica ufficiale, luminosissima, spuntarono un paio d’ali, e la donna volò oltre i tre signori minacciosi per inginocchiarsi davanti al trono. «Grande Signore, che cosa desiderate?»

«Questi signori mettono in dubbio la capacità della macchina da guerra umana, e temono che le mie affermazioni siano tese solo a sostenere la mia proposta. Svelate loro che cosa avete visto nelle terre degli uomini».

Alais si alzò, fece un inchino, e si voltò. Guardò a uno a uno i tre nobili, e affermò bruscamente: «Non sono un burattino del trono, signori, né debole di carattere in quanto giovane, o in quanto donna, e conosco gli uomini e le loro azioni meglio di voi tre messi insieme».

Vi fu un altro mormorio di allarme nella sala quando i tre capo-casata scostarono nuovamente la tunica per rivelare le spade; Alais si strinse nelle spalle. Sette spade apparirono dal nulla davanti a lei, la punta vibrante puntata contro gli elfi, per scomparire dopo pochi istanti. La messaggera non vi prestò attenzione e continuò: «Da ciò che ho potuto vedere, gli umani hanno le proprie faide, e sono molto disorganizzati, nonché indisciplinati e poco istruiti in materia di foreste. Tuttavia, il loro numero è superiore al nostro, di venti a uno, e molti più uomini che elfi sanno maneggiare seriamente una spada. In battaglia sono crudeli, rapidi, e abili, e possiedono un grande spirito di adattamento a ogni situazione; se ci invadono, signori, riusciremo probabilmente a strappar loro due o tre vittorie, magari anche un massacro decisivo. Ma essi si riprenderanno, e ci perseguiteranno nuovamente prima del trascorrere di due stagioni. Credetemi, per favore: non voglio che il regno si addolori per voi quando vi ricrederete nella morte».

Alais continuò: «A coloro che, udendomi, diranno: “Allora partiamo, e distruggiamo tutti i regni umani, cosicché non possano più inviare eserciti contro di noi”, io risponderò soltanto: no. Gli uomini si uniranno per distruggere un nemico comune; noi saremo uccisi fuori dal nostro regno, solo per lasciarlo indifeso quando giungerà il contrattacco. Inoltre, chiunque faccia guerra agli uomini, si fa di essi un nemico eterno: essi serbano rancore, signori, proprio come noi. Colpire ora una terra, o semplicemente umiliarla, significa far sì che la sua prossima generazione, o quella successiva, torni da noi in cerca di vendetta, e gli uomini hanno venti o più generazioni per ognuna delle nostre».

«Accetterete, signori», domandò il Coronal dolcemente, «la testimonianza della nostra messaggera? Ammetterete che ha probabilmente ragione?»

I tre nobili spostarono il peso da un piede all’altro, a disagio, poi Urddusk sbottò: «E se lo faremo?»

«Se lo farete, signori», rispose Alais, sorprendendo tutti, tranne Eltargrim, per la sua intromissione, «allora vi dichiarerete d’accordo col Coronal a combattere per salvare Cormanthor, e resterà da discutere solo il modo per farlo».