«Sì, Mythanthar, e il mantello ci consentiranno di controllare ciò che faranno gli intrusi non elfi, le loro eventuali magie, e tutto quello che nascondono», rispose il marito.
Duilya si avvicinò a lui, e mentre allungava una mano per accarezzargli il petto, aggiunse dolcemente: «Anche ciò che faranno gli elfi, mio signore: anche gli elfi!»
Lord Evendusk iniziò a scuotere il capo, poi s’irrigidì, assunse un’aria molto pensierosa, ed esordì sotto voce: «Duilya, come ho fatto ad astenermi dalla stupidità assoluta, in tutti questi anni in cui ti ho ignorato? Gli incantesimi possono esser creati in modo da avere effetto solo su creature di certe razze, e ignorare le altre: ma sarà davvero così? Che arma nelle mani di un Coronal!»
«Credo sia meglio, caro», iniziò Duilya, girandosi per appoggiare il lato della faccia contro quella di Ihimbraskar e guardarlo con occhi solenni, «lavorare sodo per far sì che Eltargrim rimanga il nostro Coronal, e che non venga sostituito da uno di quegli ambiziosi ardavanshee: magari uno degli odiosi figli delle tre casate maggiori. Essi vedono gli uomini come serpenti striscianti o viscide lumache, ma considerano noi altri elfi di Cormanthor alla stregua del bestiame. Con l’Apertura il loro nobile status verrà messo in discussione, ed essi diventeranno spietati e disperati nelle loro azioni».
«Perché non sei un consigliere di corte?», sospirò Ihimbraskar.
Duilya si portò sopra di lui e rispose dolcemente: «Lo sono. Io consiglio la corte mediante te».
Lord Evendusk grugnì. «Già. Mi fai sembrare una sorta di lacchè che ogni giorno mandi allo sbaraglio per divulgare le tue idee».
L’elfa sorrise e rimase in silenzio. I loro sguardi s’incrociarono, e i due rimasero a fissarsi. Negli occhi di Duilya vi era un brillante luccichio.
Un lieve sorriso increspò la bocca di Ihimbraskar, solitamente dura e seria. «Corellon ti elogi e ti condanni, moglie mia», affermò, un istante prima di mettersi a ridere a crepapelle.
15.
Finalmente un Mythal?
Accadde che Elminster venne ucciso dagli elfi, o quasi, e che per grazia di Mystra aleggiò su Cormanthor sotto forma di fantasma, impotente e invisibile: simile, hanno affermato alcuni, alle numerose sguattere al servizio di una nobile signora. Come per tali fanciulle, la sventura si sarebbe abbattuta sull’ultimo principe di Athalantar se fosse stato notato dai potenti. Le maghe maestre degli elfi erano potenti a quei tempi, e rapide nell’ingaggiare guerra e nello sferrare incantesimi sconsiderati. Esse vedevano il mondo attorno a loro, e tutti gli uomini in esso, come giocattoli ribelli da domare spesso, velocemente, e duramente. Ancora oggi molti elfi non hanno cambiato opinione.
Symrustar era nuda, il viso ridotto a una maschera scura di sangue secco. Aveva lo sguardo fisso oltre l’ombra dei capelli penzolanti, ma non vedeva né Elminster né le cose che la circondavano. Ansimava e piagnucolava, e una schiuma densa fuoriusciva dagli angoli della sua bocca tremante. Se dietro a quegli occhi vi era ancora una mente sana, Elminster non riusciva a capirlo.
Elandorr doveva essere un rivale ancor più sadico di quanto Symrustar avesse immaginato. El si sentì male. Era lui la causa di ciò, poiché aveva permesso a Elandorr di oltrepassare le difese della ragazza e vedere nella sua mente. E lui avrebbe fatto il possibile per rimediarvi.
Lady, esclamò, o perlomeno tentò di farlo. Symrustar Auglamyr, chiamò piano, sapendo di non emettere alcun suono. Forse se fosse entrato direttamente nella sua testa… o ciò le avrebbe fatto ancor più male?
In quel momento l’elfa rischiò di cadere sulla faccia, dopo essere inciampata in un’asperità del terreno, ed Elminster si strinse nelle spalle. Peggio di così non poteva diventare! Il pericolo di un predatore era reale, e sarebbe aumentato al calar del sole. El oltrepassò i suoi occhi ed entrò nell’oscurità confusa della sua mente, cercando di percepire qualcosa intorno a sé mentre pronunciava nuovamente il suo nome. Nulla.
Il principe si mosse attraverso il corpo della ragazza torturata, e guardò triste il suo sedere mentre l’elfa si allontanava carponi, emettendo curiosi versi con la bocca gocciolante di saliva. El non poteva fare nulla.
Nel suo stato attuale non poteva nemmeno accarezzarla dolcemente o parlarle. Era davvero un fantasma, e lei stava forse morendo, probabilmente pazza. La Srinshee avrebbe potuto aiutarla, ma egli non sapeva davvero dove trovarla.
Mystra, gridò ancora, aiutami! Per favore!
Il principe rimase in attesa, guardando ansiosamente, di tanto in tanto, negli occhi spenti di Symrustar, che continuava a trascinarsi per terra, ma per quanto a lungo strillasse, El non udiva risposta. Incerto sul da farsi, fluttuò accanto alla maga gemente, che proseguiva il suo doloroso viaggio nel sottobosco.
Una volta esclamò: «Elandorr, no!» e il giovane fantasma sperò di sentire altre parole compiute, ma l’elfa grugnì, emise una sorta di guaiti, e poi scoppiò in lacrime: lacrime che si trasformarono nuovamente in un sordo mormorio.
Forse nemmeno Mystra poteva udirlo. No, che sciocchezze stava pensando; doveva essere stata lei a rimetterlo insieme dopo la sua follia al castello diroccato. Ma, a quanto pareva, voleva che il suo Eletto imparasse una lezione.
Se avesse oltrepassato le montagne e il deserto e avesse raggiunto il tempio della dea oltre il regno di Athalantar, o uno degli altri luoghi sacri di cui aveva sentito parlare, forse i sacerdoti avrebbero potuto restituirgli un corpo solido.
Sempre che fossero capaci di percepirlo, s’intende. Chi gli assicurava che vi sarebbero riusciti se nemmeno gli elfi di Cormanthor potevano vederlo?
Forse sarebbe stato notato se fosse passato attraverso un incantesimo rivelatore, o si fosse imbattuto nelle stanze di un mago intento a creare un nuovo sortilegio. Se, tuttavia, avesse abbandonato Symrustar…
Si librò in alto, colto da una profonda esasperazione, e giunse a una dolorosa conclusione: se fosse stata attaccata o uccisa, non avrebbe potuto far altro che stare a guardare. Se fosse riuscito a riavere il suo corpo, sicuramente avrebbe potuto ricorrere agli incantesimi per rintracciarla, o almeno mandare qualcuno a soccorrerla; la Srinshee, per esempio. Non avrebbe infatti avuto molte probabilità di convincere Casa Auglamyr che lui, l’odiato armathor umano, sapeva che Elandorr Waelvor aveva lasciato la loro carissima figlia ed erede strisciare nella foresta come un animale impazzito.
No, non poteva far nulla per Symrustar. Non sarebbe certo stato come lasciar morire un’innocente che nulla aveva fatto per attirare su di sé tale disgrazia. No, per tutti gli dei del cielo, si meritava tutto ciò, e anche di peggio, prima ancora che l’umano Elminster apparisse nella sua vita e diventasse una facile vittima della sua crudeltà.
E, ciononostante, si sentiva colpevole della sua presente condizione, come fosse stato lui a distruggerle mente e corpo.
Doveva tornare in città, e sperare di riuscire a comunicare con qualcuno. Animato da quel pensiero, El si lanciò tra gli alberi, senza disturbarsi di schivarli, e raggiunse poco dopo le strade e le magnifiche abitazioni di Cormanthor. Passò persino attraverso l’armatura lucente di un capo pattuglia che stava disponendo i suoi guerrieri in formazione per lasciare la città.
Presto sarebbe stato buio. El si lanciò attraverso una fila di sfere luminose sospese sulla seconda strada incrociata, nella quale si stava svolgendo una festa improvvisata; una di esse sembrò oscillare e tremolare al suo passaggio, ma il giovane non sentì nulla.