Svoltò nuovamente verso il palazzo del Coronal, e vide un bagliore tenue provenire da una torre mai notata prima. L’ultima luce del giorno stava abbandonando i giardini; El rallentò vicino alla finestra e vide, nella stanza all’interno della torre, il Coronal seduto su una sedia, apparentemente addormentato, e la Srinshee, appoggiata a uno dei braccioli, che stava parlando con le sei maghe di corte, sedute in cerchio attorno alla sedia.
Se mai avesse avuto una speranza di trovare aiuto a Cormanthor, questa si trovava proprio in quella camera. Elminster perlustrò rapidamente le mura del palazzo in cerca di una via d’entrata.
Trovò quasi subito una finestra lievemente aperta, ma scoprì che dava su un magazzino isolato dal resto del palazzo. Uscì rapidamente, colmo di frustrazione, poiché la conversazione in atto nella stanza illuminata avrebbe potuto terminare da un momento all’altro, senza che lui avesse udito nemmeno una parola. Scrutò il muro palmo a palmo, sinché non trovò una di quelle grandi finestre i cui “vetri” non sono affatto tali, bensì invisibili campi magici.
Quando vi passò attraverso percepì un lieve formicolio, e si voltò con l’intenzione di attraversarla nuovamente, nella speranza che ciò annunciasse un ritorno alla solidità, ma no… forse più tardi. Ora doveva origliare.
Sapeva qual era la stanza. Prese la direzione giusta, come confermarono le tre sensazioni di formicolio che percepì a mano a mano che si avvicinava, incontrando un incantesimo dopo l’altro. La Srinshee non desiderava certamente che qualcuno udisse per caso quanto si stava dicendo in quella stanza.
La porta era vecchia e massiccia, ma talmente consumata che attorno al telaio si era formata una fessura di grandi dimensioni. El vi si precipitò attraverso, e raggiunse il cerchio di maghe in ascolto attorno alla minuscola figura.
Oluevaera non diede alcun segno di percepirlo né di udirlo, quando El urlò il suo nome e agitò le mani dentro di lei. Il principe sospirò, rassegnato alla sua condizione di fantasma silenzioso, e si sedette sul bracciolo libero della sedia del Coronal, per udire la conversazione. Sembrava fosse arrivato in tempo – grazie a Mystra – per la parte migliore.
«Bhuraelea e Mladris», stava dicendo la Srinshee, «devono proteggere il corpo di Mythanthar tutto il tempo, oltre che loro stesse, poiché ogni nemico respinto in un attacco iniziale a Emmyth cercherà sicuramente la fonte della sua protezione e tenterà di eliminarla. Il suo mantello supera i nostri, e suggerisco solo un’aggiunta: Sylmae, tu getterai la rete di osservazione che ti ho dato in modo da collegarti col mantello di Emmyth. Tu e Holone farete a turno a osservarlo. Esso si rivolterà contro chiunque tenti di penetrarlo con incantesimi, sì, ma tali aggressori potrebbero essere ben protetti e non subire alcun danno. Desidero che voi non li colpiate, e vi limitiate a identificarli e a informarci il più presto possibile».
«Questo ci lascia ancora una volta disoccupate», esclamò triste la maga Ajhalanda, indicando se stessa e Yathlanae, la ragazza elfa che sedeva al suo fianco.
«Assolutamente no», sorrise loro la Srinshee. «Il vostro compito comune sarà di effettuare incantesimi che permettano di ascoltare chiunque nel regno pronunci i nomi «Emmyth», o «Mythanthar» o persino «Lord Iydril», nonostante io sospetti che pochi del Cormyth odierno ricordino quel titolo. Identificateli, cercate di capire ciò che dicono, e fate rapporto».
«C’è altro?», domandò Holone con aria annoiata.
«So che cosa significa essere giovani, e impazienti di agire», affermò piano Oluevaera. «Osservare e attendere è il lavoro più faticoso, ragazze. Credo sia meglio rincontrarci qui fra quattro giorni e scambiarci i ruoli».
«Voi che cosa farete?», domandò Sylmae, approvando con un cenno di capo il piano della Srinshee.
«La guardia al Coronal, naturalmente», rispose Oluevaera con un sorriso. «Qualcuno dovrà pur farlo».
Le maghe incresparono le labbra, divertite, mentre la Srinshee abbozzava un mezzo sorriso e guardava le maghe a una a una per ricevere da tutte lievi cenni di consenso.
«So che per voi sei è irritante lavorare senza ostacoli», aggiunse dolcemente, «ma sospetto che quel tempo giungerà presto, quando le casate più fiere del regno si renderanno conto che un mythal porrà fine ai loro incantesimi e alle loro attività segrete. Allora sì che inizieranno i guai seri».
«Fino a che punto possiamo spingerci, se le cose dovessero precipitare e scatenare una battaglia d’incantesimi?», domandò tranquilla Holone.
«Oh, questo accadrà di sicuro, collega», rispose la Srinshee. «Allora sarete libere di fare tutto il necessario: fulminare il nemico a piacimento, fino alla sua morte e oltre. Non esitate a colpire qualsiasi cormanthoniano di cui conoscete le intenzioni, e che operi contro il Coronal o contro la creazione di un mythal. È in gioco il futuro del regno: nessun prezzo è troppo alto da pagare».
Le maghe annuirono in un cupo silenzio. Il Coronal scelse proprio quell’istante per iniziare a russare; la Srinshee lo guardò con tenerezza mentre le sei donne si accingevano ad alzarsi, sorridendo.
«Affrettatevi!», le esortò con sguardo scintillante. «Siete le guardiane di Cormanthor, e il suo futuro. Andate, e tornate vincitrici!»
«Agli ordini», intonò Sylmae imitando la voce di un uomo e battendosi il petto, «Regina degli Incantesimi!»
Si trattava evidentemente di una sorta di citazione; vi fu un brusio di risa, ma subito le sei maghe si avviarono verso l’uscita in un turbinio grazioso di lunghi capelli e tuniche e di gambe ancor più lunghe. El lanciò un’occhiata breve e triste alla Srinshee, che ancora non riusciva a udirlo; seguì la maga chiamata Bhuraelea, e osservò il viso e la forma di Mladris, nel caso fosse invece necessario scortare silenziosamente quest’ultima.
Per combinazione, le due donne, alte e slanciate, rimasero insieme e proseguirono per un corridoio con la velocità di un vento tempestoso. «Sarà il caso di mangiare qualcosa, che ne pensi?», chiese Bhuraelea alla collega, mentre oltrepassavano l’ultima barriera magica del palazzo e si rendevano invisibili. El, a poca distanza da loro, fu sollevato nel constatare che alla sua vista rimanevano chiaramente visibili, nonostante i loro corpi ora sembrassero orlati da un bagliore bluastro, simile alla forte luce invernale delle stelle riflessa dalla neve.
«Ho provveduto a raccogliere un po’ di cibo», rispose Mladris. «Lo evocherò prima di penetrare la prima difesa», aggiunse arricciando il naso. «Aspetta di vedere la torre; alcuni vecchi concepiscono la casa come una discarica».
Le due maghe si passavano a vicenda una caraffa di acqua e menta e una torta fredda di gallo cedrone mentre scivolavano attraverso le barriere luminose che circondavano la torre piuttosto sgangherata del mago Mythanthar. Strarfall Turret somigliava a un lungo tumulo funerario ricoperto di erba, solcato, da un lato, da numerose finestre, e terminava a nord in una tozza torre dai muri di pietra grezza. Il giardino era un intrico di ceppi, alberi caduti, cespugli e rampicanti, che alla luce del crepuscolo apparivano come un guazzabuglio scuro di dita di giganti che si stagliavano nel cielo.
«Per tutti gli dei», mormorò Bhuraelea. «Difendere tutto ciò da nemici furtivi richiederebbe un esercito».
«E noi che cosa siamo?!», esclamò allegramente Mladris. «Grazie al cielo i nostri nemici non saranno probabilmente molto furtivi. Tenteranno piuttosto di annientare le barriere con incantesimi da far tremare il mondo», aggiunse la maga.
«Tre barriere… no, quattro. Dovranno darsi un bel da fare», osservò Bhuraelea, dopo aver terminato la torta ed essersi leccata le dita. Una luce si accese brevemente in una delle finestre superiori della torre.