Sopra fluttuavano le stelle, sotto, globi oculari scintillanti. Elminster aggrottò la fronte mentre lottava per riprendere coscienza. Globi oculari? Si rotolò, o pensò di farlo, per guardare meglio. La notte circostante divenne più chiara.
Sì, certo: globi oculari. Centinaia di bulbi oculari ammiccanti e scintillanti che comparivano e scomparivano in una nuvola lampeggiante, mentre gli elfi di Cormanthor, annoiati e stanchi, udivano la notizia di quell’ultima novità e si precipitavano a guardare da una distanza di sicurezza.
Dal modo in cui si sollevarono per sbirciare, alcuni di loro avevano notato Elminster, un’increspatura immobile in mezzo alle stelle, una nuvola lacera, a forma di uomo, ormai assottigliata per aver fluttuato tanto a lungo, incosciente, sopra il moncone della torre di Mythanthar.
Quel cumulo di pietre cadute, annerito e ancora fumante, era un mare di piccole orbite, che svolazzavano di qua e di là come lucciole curiose, mentre gli occhi di elfi distanti osservavano attentamente ogni minimo dettaglio della magia rivelata del vecchio mago.
Mentre le guardava con moderato interesse fare capolino e sfrecciare in ogni direzione, Elminster si rese lentamente conto delle cose che lo circondavano e di chi fosse.
Due Starym erano morti, ma del terzo non v’era traccia. Anche i corpi delle due maghe erano svaniti, ed El sperò che la Srinshee le avesse portate al sicuro e le avesse curate prima.
Due paia di occhi fluttuanti nelle rovine sotto di lui virarono improvvisamente, come attratti improvvisamente da qualcosa. Elminster si abbassò per dare un’occhiata, spaventando numerose altre orbite.
Quegli occhi stavano guardando il nulla. O meglio, qualcosa d’indistinto e di contorto che ruotava nell’aria creando il vuoto.
Era un cono o una spirale di filamenti fumosi che si spostava deliberatamente tra le rovine, frugando qua e là tra scaffali e blocchi di pietra caduti. Dovunque appoggiasse l’estremità aperta, oggetti solidi svanivano, trasportati, forse, in un altro luogo.
El si avvicinò, tentando di vedere che cosa stesse scomparendo. Blocchi di pietra, si, ma solo per sgomberare il passo e raggiungere la stanza antistante. In quella stanza c’erano strumenti di magia! Un oggetto qui, un frammento là, un piedistallo laggiù, un crogiolo da quella parte: la spirale di fumo stava risucchiando tutti gli strumenti magici di Mythanthar.
Era opera del mago stesso, che voleva salvare ciò che poteva prima che qualcun altro se ne impadronisse? Oppure quella forza era al servizio di qualche altro maestro?
Certamente la spirale sembrava sapere bene dove cercare. El la osservò rovistare in un angolo, in un groviglio di travi crollate dal soffitto, per recuperare ciò che era rimasto sul tavolo sottostante, e poi…
Il giovane si avvicinò ulteriormente per vedere ciò che stava cercando.
Improvvisamente filamenti di fumo si misero a turbinare intorno a Elminster, e Faerûn cominciò a roteare fra essi e ad annebbiarsi. Il raccoglitore magico gli aveva deliberatamente teso un’imboscata. Ora tutto girava, ed El sospirò rumorosamente. Dove sarebbe finito questa volta?
Mystra, urlò in tono lamentoso, mentre veniva trasportato lontano, quando inizierà la mia missione? E di che diamine si tratta?
Vorticò nel buio per un tempo infinito, fino a dimenticare che cosa fossero l’immobilità e la luce. Il suo cuore e la sua mente furono assaliti dal panico, ed Elminster cercò di gridare e singhiozzare, senza tuttavia riuscirci.
Il turbinio continuò imperterrito, attraverso un vuoto senza fine, indifferente alle grida che il giovane tentava di emettere. Che importanza aveva per il vuoto se il fantasma di un umano chiamato Elminster fosse presente o meno, se fosse silenzioso o agitato?
Non era degno di attenzione, e non poteva farci nulla.
Ma se non poteva reagire, di che cosa doveva preoccuparsi? Aveva lottato, e conosciuto l’amore di una dea, e ora il suo destino era nelle mani di Mystra. Mani che sapevano essere tanto delicate, mani appartenenti a una creatura troppo saggia per gettare via uno strumento che poteva ancora esserle utile.
Come se quel pensiero fosse stato un segnale, Elminster fu avvolto improvvisamente da un’esplosione di luce e colori. La gabbia fumante in cui vorticava deviò in un’area di nebbia blu, e la attraversò rapidamente verso un orizzonte più luminoso. Stava risalendo? Si domandò mentre saettava attraverso nuvole blu fino a raggiungere una…
Una stanza mai vista prima, il pavimento una distesa di marmo nero, le pareti alte e il cielo a volta. La stanza degli incantesimi di un mago, e in essa un elfo fluttuante che muoveva le mani esili e graziose, dalle dita lunghe e pallide, in gesti quasi pigri.
Un mago mascherato, i cui occhi brillarono di sorpresa all’improvvisa apparizione di Elminster.
L’elfo lo guardò vorticare impotente attraverso la stanza e tuffarsi nella sfera di luce bianca, che sembrava emanasse fili di nebbia. I filamenti fumosi che avvolgevano il giovane si confusero col contenuto della sfera, lasciando l’umano imprigionato. El si agitò contro le pareti curve della sfera, ma erano solide come roccia, e i suoi tentativi furono vani.
Poi si fermò a guardare la fonte di una luce brillante al di fuori della sfera: il mago mascherato si stava avvicinando, il capo proteso in ovvia curiosità.
«Che cosa abbiamo qui?», domandò l’elfo innominato, in una voce sottile, fredda. «Un umano non morto? O qualcosa di più interessante?»
El annuì in un saluto solenne, come tra pari, ma non proferì parola.
La maschera sembrava essere appiccicata alla pelle attorno agli occhi del mago, e seguirne ogni movimento d’espressione. Sotto di essa l’elfo sollevò divertito un sopracciglio. «Io esigo una cosa da tutti gli esseri pensanti che incontro: il loro nome», spiegò seccamente. «Chi mi resiste, viene distrutto. Scegli rapidamente, o sarò io a farlo per te».
El scrollò le spalle. «Il mio nome non è un segreto prezioso», rispose, e la sua voce sembrò tuonare attraverso la stanza. Finalmente poteva essere udito. «Sono Elminster Aumar, un principe nel regno umano di Athalantar, e il Coronal mi ha recentemente nominato armathor di Cormanthor. Faccio magie. E sembra proprio che abbia il grande talento di sconvolgere gli elfi che incontro».
Il mago gli sorrise freddamente e annuì. «Infatti. La tua forma presente è volontaria? Adatta forse a spiare i segreti della magia elfa?»
«No», ribatté El affabile, «non direi».
«E come mai, allora, ti trovavi nella dimora in rovina del noto mago elfo Mythanthar? Hai lavorato con lui?»
«No. Né lavoro per altri maghi di Cormanthor».
El dubitò che l’elfo mascherato avrebbe considerato il Coronal un mago, e la Srinshee era una «maga donna».
«Non sono abituato a porre le domande due volte, e tu sei completamente in mio potere», affermò lo sconosciuto avvicinandosi di un passo o due.
El inarcò un sopracciglio. «Il potere di chi? Un nome per un nome: non si usa così anche tra gli elfi?»
Il mago sembrò quasi sorridere. «Puoi chiamarmi il Mascherato. Non parlare mai più se non per rispondere alle mie domande, o ti ridurrò per sempre in polvere senza nome».