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El si strinse nelle spalle. «Temo che la risposta sia tanto poco rivelatrice quanto il vostro nome: la semplice curiosità mi ha condotto in quel luogo, insieme a metà degli elfi di Cormanthor, a quanto pare, poiché nuotavo in un mare di occhi».

Questa volta il mago sorrise. «Che cosa ha attirato la tua attenzione?»

«La bellezza di due maghe», rispose El. «Volevo sapere dov’erano dirette, e magari scoprire i loro nomi e il luogo in cui abitavano».

Il Mascherato abbozzò un freddo sorriso. «Consideri le donne elfe compagne adatte agli umani, è così?»

«Non ho mai riflettuto su tale questione», ribatté Elminster a suo agio. «Come molti uomini, sono attratto dalla bellezza, ovunque essa dimori. Come molti elfi, credo che non ci sia nulla di male nel guardare ciò che non posso avere, o dove non oserei mai avventurarmi».

Il mago annuì lievemente, e commentò: «Molti cormanthoniani considererebbero la stanza che ti circonda un luogo nel quale non osare avventurarsi. E hanno ragione: introdursi qui costerebbe loro la vita».

«E avete preso una decisione in materia della mia intrusione?», domandò El tranquillamente. «O quella decisione è già stata presa quando mi avete “raccolto” nelle rovine?»

Il Mascherato alzò le spalle. «Potrei distruggerti con facilità. Come fantasma visibile non vali più di una spia o di un messaggero, facilmente eliminabili con i giusti incantesimi. Come uomo intero, tuttavia, potresti servirmi».

«Come servo?», domandò El, «O come marionetta?»

Il mago serrò le labbra sottili. «Non sono avvezzo a tanta impertinenza, nemmeno da parte dei rivali, uomo: figuriamoci da parte degli apprendisti».

Entrambi rimasero in silenzio per un lungo momento.

E ora, Mystra? Quella richiesta silenziosa di consiglio venne immediatamente soddisfatta da una breve immagine di Elminster che annuiva in quella stessa stanza, mentre il mago mascherato gli mostrava qualcosa. Bene.

«Apprendisti?», domandò El, un attimo prima che la sua lunga esitazione potesse essergli fatale. «Devo interpretarla come una gentile offerta… maestro?»

Il Mascherato sorrise. «Sì. Presumo accetterai».

«Naturalmente. Ho ancora molto da imparare sulla magia, e durante l’apprendimento mi piacerebbe essere guidato da un maestro rispettabile».

L’elfo rimase in silenzio, e smise di sorridere, ma, quando si voltò, qualcosa in lui sembrò emanare soddisfazione. «Saranno necessari alcuni difficili incantesimi per farti tornare alla normale forma fisica», affermò voltando lievemente la faccia. Dopodiché si diresse verso una parete, la toccò e guardò un banco da lavoro, rovinato e macchiato, apparire dall’oscurità oltre il muro.

Subito le sue mani frugarono tra i barattoli e i vasi disseminati sul tavolo. «Rimani tranquillo e immobile finché non te lo dirò io», gli ordinò, voltandosi con un uovo rosso screziato e una chiave d’argento tra le mani. «Gli incantesimi che sto per fare non avranno all’apparenza alcun effetto; si abbarbicheranno sulla sfera, e ti raggiungeranno soltanto quando farò svanire il campo che ora ti avvolge».

Elminster annuì e il Mascherato si mise all’opera, effettuando tre incantesimi piccoli ma completamente sconosciuti sulla sfera, prima di imbarcarsi nella prima magia di cui El potesse indovinare lo scopo. Sfere come quella sembravano essere il modo con cui i maghi elfi combinavano diverse magie, affinché lavorassero insieme su un singolo bersaglio, o per un singolo fine.

Il Mascherato pronunciò piano una parola sconosciuta e la sfera prese fuoco.

El si mosse solo un po’ nell’attimo in cui il calore lo investì. Quando le fiamme rallentarono, vacillarono e improvvisamente svanirono, lasciando un filo di fumo che si innalzava solitario verso l’oscurità del soffitto, il mago era già alle prese con un altro sortilegio.

Il Mascherato si volse a guardare nuovamente la sfera, piegò il dito come un arpista che tocca una corda, e il fumo deviò improvvisamente verso di lui. Ruotò lentamente la mano, come per dirigere musicisti invisibili, e il filo di fumo serpeggiò attorno alla sfera, disponendosi nelle curve familiari della spirale che lo aveva risucchiato.

El osservò, affascinato, mentre l’elfo mascherato danzava e si agitava effettuando un altro incantesimo che fece scaturire dal nulla una musica languida. Questa accompagnò il corpo alto e slanciato del mago che ondeggiava nelle varie direzioni.

«Nassabrath», esclamò improvvisamente il Mascherato, fermandosi e inginocchiandosi. Si portò una mano davanti alla faccia, le dita aperte e il palmo rivolto verso di lui, e dalla punta di ogni dito saettarono minuscoli fulmini.

Essi si arrotolarono e si diressero verso la sfera quasi con indolenza; mentre osservava la loro lenta progressione, El invocò ancora una volta Mystra.

Nella sua mente apparve una visione, lucente e improvvisa come se qualcuno avesse tirato una tenda. Egli era nudo nella foresta, il volto segnato dal dolore, e coperto di graffi ed escoriazioni. O meglio, era quasi nudo: ai polsi e alle caviglie aveva manette luminose, attaccate a catene che si levavano nell’aria per diventare invisibili a pochi centimetri dalle sue membra. I loro anelli luccicavano degli stessi minuscoli fulmini che stavano per avvolgere la sfera che lo teneva prigioniero. Il Mascherato entrò improvvisamente nella scena, chiamandolo con un gesto quasi indifferente mentre si affrettava lungo una strada.

Elminster fu trascinato per le catene e costretto a seguire il maestro. Camminarono a fatica fra gli alberi per un lungo tratto, finché El non si appoggiò esausto a una roccia sporgente. L’elfo lo lasciò fare, mentre si chinava per esaminare una pianta, al che la visione mostrò il giovane che appoggiava il palmo della mano sulla roccia, sussurrando il nome di Mystra e concentrandosi su un simbolo particolare: una figura sconosciuta e complessa di curve dorate e scintillanti, che rimase sospesa nella mente di El e s’infiammò, come fosse stata marchiata a fuoco.

Nella scena, il corpo nudo di Elminster mutò, si inarcò e fluì nelle curve piene e lisce di una donna, una forma che aveva già assunto al servizio di Mystra. Allora era stato “Elmara”, e fu proprio Elmara che si allontanò dalla roccia, le catene svanite, e iniziò rapida un incantesimo mentre il Mascherato si rialzava e si girava bruscamente, il volto severo per lo sbalordimento e la paura. Un volto che subito svanì nel lampo di fuoco smeraldino che la donna gli lanciò. Le fiamme verdi fluirono e schizzarono nella sua testa, e la scena terminò.

El si ritrovò a scuotere il capo per cancellare quella visione abbagliante. Attraverso l’improvviso luccichio delle lacrime, vide i piccoli fulmini toccare finalmente la sfera attorno a lui, e incendiarla.

Tentò di ricordare il simbolo che aveva visto, ed esso gli tornò alla mente in tutto il suo intricato splendore. Bene; gli sarebbe bastato toccare la pietra e pensare a quel simbolo mentre chiamava Mystra ad alta voce, e si sarebbe nuovamente trasformato in una donna: un cambiamento sufficiente a spezzare i vincoli che l’infido mago elfo gli avrebbe imposto. Il Mascherato – un elfo fiero con una voce sottile e fredda, già sentita prima, ne era sicuro – ma dove?

El si strinse nelle spalle. E anche se avesse scoperto l’identità del mago? Conoscere un volto e un nome non significava nulla se conosceva poco o niente della persona. Per un abitante di Cormanthor l’identità del mago poteva benissimo essere un segreto tanto prezioso quanto letale, ma per Elminster era semplicemente una cosa sconosciuta.

Il principe sospettava che proprio la sua poca familiarità con il regno costituisse la ragione per cui era tanto prezioso per il mago, e decise di rivelare il meno possibile dei suoi veri poteri e della sua vera natura, tacendogli persino l’esperienza della kiira. Chi avrebbe potuto dire che cosa potesse comprendere di essa una mente umana sopraffatta, o che cosa potesse ricordare dopo la scomparsa della gemma?