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«Guardami negli occhi», gli ordinò bruscamente il Mascherato. El sollevò in tempo lo sguardo per vedere un lungo dito fare un gesto imperioso. Vi fu un lampo di luce tutt’intorno, un rumore sibilante, e la sfera esplose in una pioggia di scintille dorate.

Per un istante El si sentì cadere; poi provò una sensazione nauseante, come se numerose anguille si stessero agitando nelle sue budella, quando le scintille entrarono nel suo corpo nebuloso.

Seguì il fuoco, e il dolore pungente di una fiamma incandescente. Elminster gettò indietro la testa e gridò: un suono che echeggiò nell’alta volta soprastante, mentre il principe cadeva per numerosi metri, questa volta per davvero, prima di essere rudemente fermato da un intrico di reti.

Le reti erano incantesimi tessuti verso il basso e attorno a lui partendo dalla spirale di fumo. El fu catturato da esse, e la sostanza di cui erano composte si fuse con la sua pelle, gli entrò nel naso e nella bocca, soffocandolo.

Cercò di respirare, si contorse, e provò a vomitare, in preda agli spasmi. D’un tratto tutto terminò, ed Elminster si ritrovò inginocchiato sul pavimento freddo; il mago elfo mascherato fluttuava nell’aria poco distante, e lo guardava dall’alto al basso con un sorriso di superiorità.

«Alzati», gli intimò freddo. El decise di verificare come stessero le cose e, fingendosi stordito, nascose la faccia tra le mani e grugnì, senza obbedire.

«Elminster!», sbottò l’elfo, ma El scosse il capo, mormorando parole sconnesse. Improvvisamente percepì nella testa una sensazione bruciante, che si estese al collo e alle spalle, e sentì uno strappo violento, che gli fece tremare gambe e braccia. Avrebbe potuto opporvi resistenza, pensò il neo apprendista, almeno per un po’, ma era meglio fingere d’essere in completa schiavitù, perciò si mise in piedi, nella posizione voluta dal Mascherato: eretto, ma con entrambe le braccia protese, affinché i polsi potessero essergli legati.

Il mago incrociò lo sguardo del giovane con occhi molto freddi e molto scuri, ed El si sentì improvvisamente muovere di nuovo. Questa volta si arrese completamente, e l’elfo gli fece allargare le braccia, piegare i gomiti, e poi schiaffeggiarsi forte il volto, una volta per mano.

Fu doloroso, e mentre El agitava le mani intorpidite e si passava la lingua sulle labbra schiacciate dai colpi contro i denti, il mago sorrise nuovamente. «Il tuo corpo sembra funzionare bene. Vieni».

El fu improvvisamente libero di muoversi a suo piacimento. Mise da parte l’istinto di opporsi, e lo seguì umilmente, lo sguardo basso. Una pesante sensazione di essere osservato gli punzecchiava le spalle, ma non si disturbò a guardare indietro o in alto per individuare gli occhi fluttuanti che sapeva presenti.

Il Mascherato toccò il muro spoglio della stanza degli incantesimi, nel quale si aprì improvvisamente una porta ovale. Sulla soglia l’elfo si voltò per contemplare il suo nuovo apprendista e si concesse un lento e freddo sorriso trionfale.

El decise di interpretarlo come un sorriso di benvenuto, e lo ricambiò, tremante. L’elfo scosse il capo ironicamente e si voltò, invitandolo a entrare.

Roteando gli occhi, ma attento a mantenere un’espressione sbalordita e ansiosa, El si affrettò a seguirlo. Sarebbe stato un lungo apprendistato.

Il chiaro di luna toccò gli alberi di Cormanthor, e in un luogo distante, da qualche parte a nord, un lupo ululò.

Si udì una risposta tra gli alberi nelle vicinanze, ma l’elfa nuda e tremante, che stava strisciando senza meta giù per un pendio intricato, sembrò non sentirla. Si trovava ora in fondo al declivio, e gran parte della strada l’aveva percorsa scivolando sulla faccia. I capelli erano un groviglio di fango, e le sue membra scintillavano nella pallida luce blu nei punti in cui la pelle era bagnata di sangue.

Il lupo si spostò sulle rocce in cima alla scarpata e si mise a guardare in basso, gli occhi scintillanti. Una facile preda. Trotterellò giù per la discesa dalla via più facile, senza affrettarsi: la donna affannata e gemente in fondo al pendio non sarebbe andata da nessuna parte.

Quando la bestia si avvicinò, essa si girò persino e gli offrì, ignara, il petto e la gola, dopodiché si adagiò nel chiarore lunare e mormorò qualcosa d’incomprensibile. Il lupo si fermò, momentaneamente insospettito da tanta audacia, dopodiché si preparò al balzo. Dopo averla sbranata, avrebbe avuto tutto il tempo di annusare tracce di eventuali prede della stessa specie.

Un ragno della foresta che da un po’ di tempo seguiva cautamente l’elfa, indietreggiò alla vista del lupo. Quella notte forse avrebbe guadagnato due pasti anziché uno.

Il lupo spiccò il balzo.

Symrustar Auglamyr non vide la stella di colore blu-bianco che comparve sopra le sue labbra socchiuse. Non udì il guaito di sorpresa quando essa si riversò nelle fauci del lupo, né la silenziosa disintegrazione dell’animale che seguì.

Pochi peli erano tutto ciò che rimase dell’animale, ed essi si posarono sulle cosce dell’elfa mentre qualcosa di invisibile esclamò: «Povera fiera creatura. La magia ti ha piegata, e la magia ti guarirà».

Un cerchio di stelle si sollevò vorticando dal terreno e avvolse Symrustar in un anello color blu-bianco. Il ragno si ritrasse dalla luce e attese. Luce significava fuoco, e il fuoco significava una morte sfrigolante.

Quando l’anello vorticante svanì e rimase solo la luce lunare, il ragno affamato scese di nuovo dall’albero zampettando rapidamente. La fame fu sopraffatta solo dalla rabbia quando, raggiunte le foglie appiattite dov’era rotolata la preda, si accorse che era svanita. Svanita senza lasciare traccia, e il lupo con lei. Il ragno furioso perlustrò la zona per qualche tempo e poi prese la strada del bosco, sospirando come avrebbe potuto fare un elfo smarrito o un umano.

Gli umani! Gli umani erano grassi, e pieni di sangue e di succhi. Vecchi ricordi si risvegliarono nel ragno, e la bestiola salì con zelo su un albero. Gli umani abitavano in quella direzione, un lungo viaggio e…

La testa del serpente gigante sbucò improvvisamente, le mascelle si chiusero rumorosamente, e il ragno scomparve, senza nemmeno il tempo di accorgersi di aver scelto l’albero sbagliato.

PARTE III

Il Mythal

17.

Di nuovo apprendista

Per alcuni anni Elminster servì come apprendista l’elfo conosciuto solo col nome di «il Mascherato». Nonostante la crudele natura del grande mago e le catene magiche che imprigionavano l’umano, tra maestro e allievo nacque un grande rispetto. Un rispetto che ignorò le differenze tra loro e il tradimento e la battaglia che entrambi sapevano sarebbero giunti.

Antarn il Saggio
Da La grande storia della potenza degli arcimaghi faerûniani
Pubblicato approssimativamente nell’Anno del Bastone

Un giorno di primavera, vent’anni dopo la prima stagione che Elminster trascorse al servizio del Mascherato, un simbolo luminoso e dorato emerse nella mente del principe di Athalantar, un simbolo che aveva quasi dimenticato. Tale fatto lo turbò. Mentre esso ruotava lentamente nella sua testa, altre memorie da tempo sepolte si risvegliarono. Mystra, udì pronunciare la sua voce, e uno sguardo si posò su di lui: lo sguardo della dea. El non la vedeva, ma riusciva a percepire il peso solenne della sua attenzione: profonda, calda e terribile, più potente dello sguardo più furioso del Maestro, e più amorevole di… di… Nacacia.

Guardò Nacacia da dove era sospeso nella grande rete incantata, luminosa, che avevano creato insieme quella mattina, e i loro sguardi s’incontrarono. Gli occhi della ragazza erano scuri, liquidi e molto grandi, e quando si posarono su di lui brillarono di desiderio. Senza emettere alcun suono, le sue labbra tremanti pronunciarono il nome di Elminster.