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Elfi combattevano ancora per tutta la corte, armathor lottavano con cortigiani e maghi Starym in un groviglio di spade, imprecazioni, anelli scintillanti, e piccoli incantesimi.

La Srinshee fluttuava davanti al trono, e il suo minuscolo corpo emanava ancora luce. Numerosi fulmini guizzavano attorno alle dita della sua mano, e a tratti partivano per intercettare incantesimi che la maga reputava troppo pericolosi, mentre questi ululavano e ringhiavano lungo il pavimento.

Nacacia ed Elminster si alzarono e si gettarono nuovamente l’una nelle braccia dell’altro, ma, d’un tratto, videro qualcosa luccicare nelle mani dell’ex Maestro: il Mascherato aveva evocato una spada da tempesta, e fulmini purpurei correvano su e giù sulla lama. Il suo volto non appariva più tanto disperato mentre osservava il Coronal farsi strada tra i servitori Starym raggruppati di fronte al Portavoce della casata.

Llombaerth guardò l’umano e la mezzo sangue abbracciati, e i suoi occhi si strinsero.

Arcuò una mano, ed El si sentì improvvisamente tirare. «No!» urlò il giovane disperatamente, mentre il mago lo strappava dalle braccia di Nacacia, e gli faceva sollevare le mani per sferrare un incantesimo.

«Nacacia! Aiutami! Fermami!», urlò El mentre i suoi occhi venivano costretti a posarsi sulla Srinshee.

Il Mascherato iniziò a frugare nella sua mente alla ricerca di un incantesimo particolare e un caldo impeto di soddisfazione indicò che l’aveva trovato.

Era quello che prelevava spade da altri luoghi e le indirizzava verso il bersaglio desiderato.

Nel caso di Llombaerth il bersaglio erano gli occhi, la gola, il petto e l’addome della Srinshee, occupata a deviare le peggiori magie degli elfi in lotta.

Tutta la sala ardeva di nuovi incantesimi. Elfi che avevano represso per anni l’odio nei confronti dei rivali approfittarono della mischia per saldare i vecchi conti. Uno di essi, tanto anziano da avere la pelle delle orecchie quasi trasparente colpì un coetaneo con uno sgabello poggiapiedi e lo fece ruzzolare per terra.

Il cervello del vecchio schizzò sulle pantofole di una donna altezzosa in tunica blu, che nemmeno se ne accorse, tant’era occupata a lottare con un’altra fiera signora dal vestito color ambra. Le due donne si agitavano fra sputi, graffi, e tirate di capelli; avevano le unghie insanguinate e non smettevano di schiaffeggiarsi, tirarsi calci e pugni con furia. La signora in ambra sfregiò la guancia di quella in blu, e la nemica rispose cercando di strangolarla.

Mentre lotte simili imperversavano davanti a lui, El sollevò le mani e posò lo sguardo su Oluevaera.

Nacacia strillò non appena si rese conto di ciò che stava accadendo, ed Elminster sentì i colpi sordi dei suoi piccoli pugni. Lo spinse, gli diede gomitate, e lo colpì in testa, cercando di bloccare l’incantesimo senza ferirlo.

Lentamente, resistendo al suo stesso corpo ma indifferente al dolore che la ragazza gli causava, El si concentrò, estrasse le minuscole copie delle spade che necessitava dalla tasca della cintura, alzò le mani per compiere il gesto che le avrebbe fuse e scatenato l’incantesimo, aprì le labbra, e ringhiò disperatamente: «Buttami a terra! Schiacciami contro il pavimento! Fatto!»

Nacacia si lanciò in un placcaggio goffo e disperato, e insieme caddero rimbalzando sul pavimento. El si contorse sulla pietra liscia mentre cercava di riprendere il fiato venutogli a mancare nella violenta caduta, e la ragazza lottò per restare sopra di lui, cavalcandolo come un contadino che cerca di uccidere un maiale riluttante.

Il principe di Athalantar si divincolò, trascinandola da una parte all’altra, e tentò colpirla, ma ricadde duramente sul braccio con cui intendeva farle del male.

Mentre lottava contro la sua volontà, qualcosa salì vorticante dalle profondità della sua mente. Qualcosa di dorato.

Ah! Sì! Il simbolo d’oro che Mystra gli aveva impresso nella memoria tanto tempo prima luccicò, tremolante come una moneta vista sott’acqua. D’un tratto smise di ondeggiare ed El domò la sua volontà per catturarlo.

L’immagine della Srinshee offuscò per un istante quello splendore vorticante quando il Mascherato lottò per dominare la volontà di El, ma alla fine il simbolo trionfò.

Mentre Nacacia spingeva la testa di El verso il basso, contro le pietre del pavimento, il giovane rimase aggrappato all’immagine scintillante e ansimò: «Mystra!»

Il suo corpo tremolò, si contorse e… fluì. Nacacia tentò di tappargli la bocca con una mano, aggrappandosi disperatamente a lui, ma El riuscì a esclamare a fatica: «Basta così! Nacacia, lasciami! Non sono più suo schiavo!»

La ragazza rotolò sul pavimento, poi si sollevò un poco e si ritrovò a fissare gli occhi di una donna umana!

«Buon giorno», annaspò Elminster con un debole ghigno sul volto. «Chiamami Elmara, per favore!»

La mezzo sangue la guardò inebetita e incredula. «Sei veramente tu?»

«Qualche volta penso di sì», rispose El con un sorriso, al che Nacacia le gettò le braccia al collo con una risata di sollievo.

Il piccolo idillio venne interrotto un istante più” tardi dalle grida di: «Per gli Starym! Combattete!»

I due ex apprendisti si alzarono velocemente, inciamparono nel corpo immobile di Alais, e videro numerosi elfi irrompere nella parte orientale della sala, da dietro un arazzo. Le loro corazze di color marrone rossiccio recavano il simbolo argenteo dei draghi gemelli di Casa Starym, e gli ultimi armathor di corte stavano soccombendo sotto le loro spade.

«Opponete resistenza» gracchiò qualcuno lì vicino. «Restate qui, difendete la messaggera, e teneteli lontano dalla Srinshee».

Era Mythanthar, e l’improvvisa stretta delle sue mani ossute sulle loro spalle indicò che stava parlando con Elmara e Nacacia. Voltatesi quel tanto che bastava per riconoscerlo, le ragazze annuirono rispettosamente e sollevarono le mani per tessere incantesimi.

Mentre i guerrieri Starym si facevano largo tra i cortigiani in lotta, senza badare a chi colpivano, El sferrò l’incantesimo della spada evocata, mirando al volto e alla gola dei soldati più avanzati.

Nacacia scatenò fulmini oltre la prima fila di Starym morenti per colpire la seconda, e gli elfi in armatura marrone barcollarono fino a morire sotto una pioggia di saette fameliche.

La Srinshee sferrò una magia dall’alto: comparve un muro di guerrieri fantasma completamente innocui, che tuttavia impedì a quelli vivi di avanzare finché non furono abbattuti tutti, uno alla volta.

Nuove facce fecero capolino alle porte della grande sala, quando i capi di potenti casate vennero a verificare di persona quale nuova pazzia si fosse impossessata quel giorno del Coronal, e quasi tutti rimasero a bocca aperta, impallidirono e si ritirarono frettolosamente. Alcuni, tuttavia, deglutirono, estrassero spade che erano più da cerimonia che da battaglia, e s’avviarono prudentemente tra il sangue, la polvere e il tumulto.

All’altra estremità della stanza il governatore di Cormanthor stava lottando per la sua vita, uccidendo i cortigiani Starym come un leone affamato. Un guerriero contro tanti, che formavano un muro di furia disperata intorno a lui. La sua spada cantava e baluginava, e solo due colpi erano riusciti a eluderla e a macchiare di rosso la sua tunica bianca. Eltargrim era di nuovo in battaglia e si sentiva perfettamente a suo agio.

Il Coronal era felice: dopo venti lunghi anni di complotti, di «incidenti», di voci riguardanti la corruzione del governatore e di battute d’arresto nella creazione del mythal, i nemici erano usciti allo scoperto. Gli incantesimi della sua spada e quelli che proteggevano la corte stavano cominciando ad affievolirsi, ma se fossero riusciti a respingere ancora per poco le magie di quegli Starym…