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«Prendetelo, incapaci!», ringhiò Llombaerth Starym, colpendo furiosamente spalle e schiena dei guerrieri che venivano respinti con la parte piatta della spada.

Quando fosse giunto il momento, avrebbe usato una magia che nessun cormanthoniano era in grado di fermare, un segreto oscuro che aveva serbato per anni. Lo fece scivolare nella mano libera e attese. Un lancio ben assestato sulla faccia di Eltargrim, e il regno sarebbe finalmente appartenuto alla Casata degli Starym.

D’un tratto qualcosa gli schiaffeggiò la mente, un colpo tanto brutale quanto quelli da lui inflitti ai suoi guerrieri. La scena agitata del Coronal combattente davanti ai suoi occhi venne cancellata da una scena della sua mente: due stelle scure nuotavano e fluivano nel volto spietato e tetro del mago Mythanthar, rugoso e macchiato dall’età, ma con due occhi che catturarono i suoi come due fiamme scure.

Vai da qualche parte, giovane traditore?

Nella sua testa quelle parole ironiche suonarono più forti del clangore delle spade, e Llombaerth Starym scoprì di non potersi muovere, di non poter distogliere lo sguardo dal vecchio mago, in piedi davanti a lui al centro della stanza, nella quale si agitavano guerrieri Starym e il sangue elfo macchiava il pavimento, un tempo scintillante, sotto gli stivali dell’anziano stregone.

«Esci fuori dalla mia testa!», ringhiò il Mascherato, cercando disperatamente di cacciarlo con la forza di volontà.

Ma era come se tentasse di spostare il tronco di una vecchia quercia. Mythanthar lo tenne stretto in una morsa inflessibile, e con un sorriso gli promise la morte.

Vai a nutrire i vermi, Starym indegno. Muori, e non turbare mai più il regno di Cormanthor.

Quella macabra maledizione stava ancora risuonando nella sua testa quando Eltargrim Irithyl, Coronal di Cormanthor, superò l’ultima linea di guerrieri nemici e spinse la spada scintillante oltre quella di Llombaerth. Le due lame contornate di fiamme colpirono insieme il mantello del Mascherato, e lo scalfirono. Con un fuoco umido e improvviso, più terribile di qualsiasi cosa avesse mai provato prima, il Portavoce degli Starym sentì la spada del Coronal affondare nel fianco sinistro, salire fino al cuore e oltre, fino a colpire il braccio destro, che si staccò dal corpo. L’ultima cosa che l’elfo percepì, mentre le tenebre allungavano i loro artigli per serrarlo in una morsa gelida, fu un prurito irritante nel punto in cui l’elsa della Zanna di Cormanthor si muoveva contro le sue costole.

Doveva assolutamente grattarsi, doveva… il dannato vecchio mago lo stava ancora osservando sorridente… portatelo via, cacciatelo…

E Llombaerth Starym abbandonò Faerûn senza nemmeno il tempo di un vero e proprio addio.

«È morto», affermò amaramente Flardryn, vedendo l’elfo mascherato accasciarsi. Si allontanò dalla sfera magica, senza nemmeno disturbarsi a guardare un incantesimo di stelle brillanti piovere dalla mano della Srinshee e distruggere l’esercito degli Starym, che ancora cercava di oltrepassare l’umana e la mezza elfa, ormai troppo decimato, troppo debole e in ritardo per vincere la battaglia.

Altri Starym, il volto bianco per l’incredulità, rimasero a fissare la sfera luminosa, ferma sopra lo specchio di acqua incantata. Lacrime scorrevano lungo le loro guance, ma erano più anziani di Flardryn, perciò non si voltarono. Il minimo che uno poteva fare per coloro che indossavano i draghi degli Starym era guardarli fino alla fine e imprimersi tutto nella memoria, per poi vendicarli in futuro. Semplice dovere.

«Ucciso! Il nostro portavoce ucciso dal Coronal nella sua stessa corte! Il trono del regno schiaffeggia il volto di tutti gli Starym, ecco che cosa fa!», sibilò uno degli anziani, il naso e le orecchie tremanti di rabbia.

Un’altra Starym, anch’ella tanto anziana da aver perso quasi tutti i capelli, che portava una tiara ingioiellata per coprire i pochi rimastile, lanciò un’occhiata truce ai suoi parenti. Poi sospirò ed esclamò triste: «Non avrei mai pensato di assistere al giorno in cui un elfo Starym, persino un giovane sciocco e arrogante, insignito di un titolo che non avremmo mai dovuto dargli, si sarebbe presentato alla Corte di Cormanthor e avrebbe denunciato il suo governatore. Per poi attaccarlo apertamente con incantesimi e causare un bagno di sangue!»

«Calmati, sorella», mormorò un altro elfo, le labbra tremanti e gli occhi colmi di lacrime.

«Avete visto?» Un urlo improvviso si levò dalle travi sopra di loro, mentre una porta distante si spalancava con violenza contro un muro. «Questa è guerra! Forza con gli incantesimi, Solonor vi maledica per le vostre deboli ginocchia, forza con gli incantesimi! Dobbiamo arrivare a corte prima che quell’assassino di Irithyl possa fuggire!»

«Lascia perdere, Maeraddyth», esclamò pacato l’elfo dalle spalle larghe seduto accanto alla sfera.

Il giovane nemmeno lo udì mentre raggiungeva gli altri Starym. «Muovetevi vecchi codardi! Avete tutti perso l’orgoglio? Il nostro portavoce viene ucciso barbaramente, e voi rimanete a guardare! Che razza di…»

«Ho detto: lascia perdere, Maeraddyth», ripeté l’elfo seduto, con lo stesso tono di prima. Il giovane infervorato s’irrigidì improvvisamente, e guardò oltre tutte le facce silenziose, incupite dal dolore.

Il vecchio arcimago di Casa Starym ricambiò lo sguardo con occhi mesti. «C’è un tempo per gettare via la vita», cominciò Uldreiyn Starym rivolto all’elfo tremante, «e oggi Llombaerth l’ha usato: ampiamente direi. Potremo ritenerci fortunati se la Casata degli Starym non verrà perseguitata e distrutta, fino all’ultima goccia di sangue. Trattieni la tua rabbia, Maeraddyth; se cercherai di vendicare tutti i morti in quella stanza», aggiunse inclinando il capo verso la sfera nella quale ancora imperversavano scene di battaglia, «sarai uno sciocco, e non un eroe».

«Ma Saggio Signore, come fate a dire ciò?», protestò il giovane, indicando la sfera. «Siete un vigliacco come tutti loro».

«Stai parlando», lo interruppe Uldreiyn con voce glaciale, «dei tuoi anziani Starym che vennero riveriti e celebrati per le loro gesta quando il nonno di tuo nonno era ancora un bambino. Anche quando piagnucolava e si lamentava, egli non mi ha mai disgustato con la sua puerilità come stai facendo tu in questo momento».

Il giovane guerriero lo fissò con sincero sbalordimento. Gli occhi dell’arcimago penetrarono nei suoi come due lance gemelle, appuntite e spietate. Uldreiyn indicò il pavimento e Maeraddyth, deglutendo incredulo, si ritrovò in ginocchio.

L’arcimago più potente della Casata Starym lo guardò dall’alto. «Sì, è giusto essere atterriti e infuriati quando uno dei tuoi muore. Ma la tua rabbia dovrebbe essere rivolta a lui, dovunque si trovino ora i resti di Llombaerth, per aver osato trascinare tutta la casata nel tradimento. Andare contro un Coronal corrotto è una cosa; ma attaccare e denunciare il governatore di tutta Cormanthor davanti alla sua corte è ben diverso. Me ne vergogno. Tutti coloro che hai definito “codardi” sono tristi, scioccati, avviliti. Sono tre volte migliori di te, poiché essi sanno innanzitutto che un elfo del regno – un elfo nobile, un elfo Starym - mantiene sempre il controllo e non tradisce mai l’onore e l’orgoglio della sua grande famiglia. Fare ciò significa sputare sul buon nome della casata che desideri tanto mantenere e imbrattare la memoria di tutti gli antenati».

Maeraddyth era pallido come un cadavere e le lacrime gli offuscavano la vista.

«Se fossi crudele», continuò il mago, «dividerei con te alcuni ricordi di famiglia a te sconosciuti, sommergendoti col loro orgoglio, coi loro schemi e col loro dolore. Quei parenti che ora schernisci portano un grande peso, mentre tu sei troppo giovane e stupido per conoscere reali doveri. Non parlarmi di guerra, né di ricorrere “agli incantesimi”, Maeraddyth».