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Quasi subito sollevarono le spade, quando un mago si avvicinò esitante e guardò il Coronal. «Onorato Signore», domandò prudentemente, evitando di posare gli occhi sulla sua tunica bianca macchiata di sangue, «avete bisogno di me?»

Il Coronal guardò la Srinshee, che gentilmente esclamò, «Sì, Beldroth. Ma non ora. Noi dentro al cerchio dovremo morire un po’, affinché il Mythal viva. Non è per voi».

Il signore elfo indietreggiò, con un po’ di vergogna e molto sollievo. «Raggiungeteci quando la rete sarà stesa e brillerà su di noi», aggiunse la maga minuta, ed egli s’impietrì ascoltando ogni sua parola.

«Se c’è da morire», osservò una donna elfa vecchia e rugosa, uscendo dalla folla con passo zoppicante, appoggiandosi al bastone, «allora sarò lieta di farlo rendendo un servizio alla mia terra».

«Sii benvenuta, Ahrendue», mormorò la Srinshee con calore. Ma le guardie non si scostarono per lasciarla passare finché la messaggera non ordinò loro brevemente: «Fate spazio a Lady Ahrendue Echorn».

Le loro spade si sollevarono nuovamente, e un mormorio pervase la folla, quando un elfo in piedi accanto a una colonna distante avanzò e asserì: «Il tempo degli inganni è finito, credo». Un istante più tardi la sua esile figura si allungò e divenne più larga intorno alle spalle. Molti nella sala rimasero a bocca aperta. Un altro umano… e questo nascosto fra di loro!

Il suo volto era avvolto da un’oscurità magica; le guardie, allarmate, videro solo due occhi penetranti che le fissavano dall’ombra, ma la Srinshee affermò risoluta: «Mentore, sii il benvenuto nel nostro cerchio».

«Spostatevi, prodi guerrieri», mormorò Alais, e questa volta essi obbedirono rapidamente.

Tra la folla si udì un nuovo tumulto; una fila di persone si fece strada fra l’assembramento di cormanthoniani. Il Supremo Mago di Corte guidava la processione, e dietro di lui camminavano Lord Aulauthar Orbryn, Lord Ondabrar Maendellyn e un signore mezzo elfo le cui spalle ammantate erano circondate da un anello turbinante di gemme luminose, che la Srinshee identificò come «il mago Arguth di Ambral Isle». La Nobile Signora dell’Arte, Alea Dahast, esile, sorridente e dallo sguardo penetrante, chiudeva la fila.

Lo spazio nel cerchio iniziava a scarseggiare, e mentre abbracciava gli ultimi arrivati, il Coronal domandò a Oluevaera: «A Mythanthar servirà qualcun altro, che ne pensi?»

«Aspettiamo ancora una persona», gli rispose la maga, sollevandosi da terra per sbirciare oltre le spalle delle guardie. Scherzosamente Mythanthar iniziò a picchiettarle le dita dei piedi, finché la Srinshee non si mise a scalciare.

«Ah», esclamò improvvisamente la maga, indicando un volto tra la folla di cittadini. «Eccola. Forza, Dathlue!»

All’apparenza sorpresa, la slanciata donna guerriero avanzò con l’armatura indosso, slacciando la spada sottile che oscillava al suo fianco. Consegnatala alle guardie, entrò nel cerchio, baciò il Coronal sulla bocca, batté la Srinshee sul braccio e rimase in attesa.

A uno a uno si guardarono tutti negli occhi. Oluevaera Estelda si volse verso Mythanthar e il vecchio annuì.

«Ampliate il cerchio», ordinò brevemente la piccola maga. «Necessitiamo di molto spazio. Sylmae, hai raccolto tutti gli archi?»

«No», rispose la maga, senza voltarsi. «Io ho le frecce. Holone ha gli archi».

«E io ho alcune bacchette magiche malvagie», s’intromise Yathlanae, dalla sua posizione lungo il cerchio. «Quattro giarrettiere per portare tutta quella roba!»

La Srinshee sospirò teatralmente, ed esclamò rivolta a Mythanthar: «Non dire nulla: qualsiasi cosa tu stia pensando, non dirla».

L’anziano mago assunse un’aria di esagerata innocenza e allargò le mani.

La maga scosse il capo e iniziò a prendere per il braccio gli occupanti del cerchio e a condurli dove voleva che stessero, fino a formare un ulteriore anello intorno a Mythanthar, le facce rivolte verso l’interno.

Elminster fu sorpreso quando sentì le sue gambe tremare; guardò rapidamente Nacacia, colse il suo sorriso rassicurante e lo ricambiò. Poi diede un lungo sguardo alla sala, dal trono fluttuante alla spaccatura sul soffitto, fino ai blocchi sbrecciati della colonna caduta e, dietro di essa, la statua di un eroe elfo accovacciato che minacciava la Corte con la spada protesa. La fissò per un lungo momento, ma era semplicemente ciò che vedeva: una statua, ricoperta da un sottile strato di polvere.

Il principe fece un respiro profondo e tentò di rilassarsi. Mystra, assistici, pensò. Contribuire alla grande magia e sorvegliarne l’attuazione, spero siano lo scopo per cui, tanto tempo fa, mi mandasti a Cormanthor.

La Srinshee sospirò nuovamente, poi guardò ognuno di loro e sussurrò: «Iniziamo».

In quell’atmosfera d’eccitazione, nessuno nella vasta sala notò qualcosa di piccolo, di nero e di impolverato trascinarsi fra i cortigiani, sollevandosi e riabbassandosi come una sorta di millepiedi mentre avanzava lentamente sul pavimento della sala macchiato di sangue, diretto nel cerchio.

Al suo interno, Mythanthar allargò di nuovo le mani, chiuse gli occhi, e dalle sue dita scaturirono raggi di luce, che, lenti e silenziosi, collegarono tutti i presenti. Poi borbottò qualcosa, e tutti gli spettatori mormorarono allarmati e stupiti quando il suo corpo esplose in una nuvola opaca di sangue e di ossa.

Elminster spalancò la bocca, e fece per muoversi dalla sua postazione, ma la Srinshee intercettò il suo sguardo con occhi severi. Dalle lacrime che le rotolavano lungo le guance il giovane dedusse che anche la maga era all’oscuro del fatto che l’incantesimo di Mythanthar richiedesse la sua morte.

La nuvola purpurea salì come fumo da un falò e divenne bianca, poi abbagliante. I filamenti che ancora la legavano agli altri avvamparono di fuoco proprio.

Fiamme candide come lingue di neve si innalzarono verso il soffitto spaccato della Camera della Corte, mentre i corpi degli individui dentro il cerchio vennero improvvisamente avvolti da un fuoco bianco.

I cormanthoniani accalcati nella sala emisero all’unisono un mormorio di sorpresa.

«Che cosa accade? Stanno morendo?», urlò Lady Duilya Evendusk, torcendosi le mani. Il marito appoggiò le mani sulle spalle per rassicurarla, mentre Beldroth si protendeva verso la donna e le sussurrava: «Mythanthar è morto, o almeno, il suo corpo. Egli diverrà il nostro Mythal, quando tutto sarà terminato».

«Che cosa?», elfi si accalcarono da ogni direzione per ascoltare.

Beldroth sollevò il capo e alzò la voce per informare tutti: «Gli altri dovrebbero rimanere in vita, malgrado l’incantesimo stia assorbendo parte delle loro energie vitali. Presto inizieranno a intrecciare poteri speciali e cominceremo a sentire un sorta di ronzio, o di canto».

L’elfo sollevò nuovamente lo sguardo alla rete arcuata di fuoco bianco, e senti le lacrime scorrergli sul volto. Una mano piccola si insinuò nella sua, e gli diede una stretta rassicurante. Abbassò gli occhi e vide una bambina sconosciuta, dal viso solenne, sorridente. Beldroth le restituì la stretta in segno di ringraziamento, e continuò a tenerle la mano.

In una piccola radura, accanto a una fontana che si gettava ininterrottamente in una piscina di pesci danzanti, Ithrythra Mornmist si drizzò improvvisamente e guardò il marito.

La sua sfera magica e i fogli che teneva sulle ginocchia finirono per terra quando l’elfo si alzò. Anzi, quando levitò da terra, con gli occhi fissi su un punto distante!

«Che cosa c’è, Nelaeryn?» gridò Ithrythra, correndo verso di lui. «Non ti senti bene?»

«Oh, sì», ansimò Lord Mornmist, lo sguardo sempre fisso nel nulla. «Oh, dei, sì. È magnifico! È stupendo!»