«Per la stessa ragione per cui interessa a me», ribatté El gentilmente.
Quegli occhi arrossati dal dolore tremolarono. «Per amore? Piacere? Non lo so, uomo. Non posso soffermarmi a riflettere, la vita scivola via…»
«Una vita», le rispose il giovane immediatamente, quando comprese finalmente il progetto di Mystra. «Ma non tutto ciò che è Symrustar».
Le aprì ciò che rimaneva del corpetto sbrindellato e inzuppato di sangue, e tracciò sulla sua carne straziata il primo simbolo d’oro che Mystra gli aveva impresso nella mente: quello che avrebbe scintillato per sempre.
L’elfa ricominciò a respirare liberamente, e si mise seduta, gli occhi luminosi. «Finalmente, finalmente capisco. Oh, umano, ti ho trattato ingiustamente fin dall’inizio. Ho…»
Un fuoco color blu-bianco iniziò ad avvolgerle il corpo, al che non sprecò altro tempo in parole e lo baciò teneramente.
Le sue labbra erano ancora appoggiate a quelle di El quando la ragazza scomparve, lasciando dietro di sé granelli di luce che danzarono per qualche istante per poi svanire nel nulla.
El sollevò lo sguardo e vide quattro dei tessitori, le loro membra ancora avvolte da fuoco bianco e collegate al Mythal sopra di loro, osservarlo con affetto e preoccupazione.
«Mystra l’ha reclamata. Ora servirà la Signora dei Misteri», esclamò rivolto alla Srinshee, alla Lady d’Acciaio, ad Alais e al Coronal.
D’un tratto qualcosa gli si arrampicò su per il braccio, e il giovane lo afferrò e lo sollevò, perplesso. Un brandello vivo di tessuto impolverato, macchiato di sangue: la maschera che Llombaerth Starym aveva indossato per tanto tempo. Tra le dita sentì un formicolio caldo, e in qualche modo gradevole.
Mentre la fissava, vi fu un bagliore improvviso di luce arcobaleno, e tutti i presenti alzarono lo sguardo e mormorarono sbalorditi: il Mythal era nato!
Elminster si sentì commuovere e si sollevò da terra per unirsi in ciò che già echeggiava nelle strade. Elfi, mezzi elfi e umani in tutta Cormanthor stavano cantando insieme. La medesima canzone spontanea della nascita del Mythaclass="underline" radioso, magnifico e ultraterreno. Tutti si abbracciarono meravigliati, e la terra fu inondata di lacrime.
«Sì», sussurrò Lord Mornmist, lo sguardo fisso su un punto lontano. I servi spostarono lo sguardo dal suo viso assente a quello della moglie. China sopra Nelaeryn, il volto rigato da lacrime copiose.
«Perché?», gemette freneticamente. «Perché i maghi non arrivano?»
I servi si scambiarono occhiate ansiose, non osando però rispondere. Poi Nelaeryn Mornmist si sollevò dal suo abbraccio gentile come prelevato da una mano invisibile. Ithrythra urlò, ma un istante più tardi le sue grida divennero singhiozzi di gioia, quando il marito aprì gli occhi ed esclamò: «Sì! Finalmente! La gloria è giunta a Cormanthor!»
La sua voce squillò come una tromba mentre si sollevava nell’aria sopra di loro, e fiamme blu fuoriuscivano dai suoi occhi.
«Oh, Ithrythra» chiamò, «vieni a dividere con me questa meraviglia. Venite tutti!» L’elfo tese una mano, e si udirono mormorii di sorpresa quando i servi si sentirono sollevare con delicatezza infinita, e si unirono al padrone, la cui risata risuonava ora come un corno trionfale.
Nlaea si mosse nelle braccia del giardiniere, ed emise un suono flebile, ma soddisfatto. L’elfo abbassò lo sguardo, scivolò sul sentiero, e per poco non la lasciò cadere.
«Fai attenzione!», sbottò Alaglossa al suo fianco, sostenendo entrambi con le braccia robuste.
Nlaea si agitò nuovamente, e d’un tratto si librò nell’aria. Il servo inciampò, sbilanciato dal cambiamento improvviso, e cadde in un cespuglio di galamathra.
«Nlaea?», urlò Lady Tornglara in preda al panico. «Nlaea!»
La ragazza si voltò e le sorrise. «Non vi preoccupate, Signora», esclamò dolcemente, e fiamme blu sembrarono fuoriuscirle dagli occhi mentre parlava. «Cormanthor è finalmente incoronata».
Mentre la serva fluttuava sopra di lei, Alaglossa cadde in ginocchio sul sentiero e iniziò a pregare in un fiume di lacrime gioiose.
Galan Goadulphyn si guardò intorno, incredulo. Corpi elfi fluttuavano da ogni parte, e dappertutto si udivano risa e pianti di gioia. Qua e là s’innalzavano grida d’esultanza. Cormanthor era impazzita d’un tratto?
L’elfo si affrettò verso una casa riccamente addobbata, la cui porta era aperta. Bene, se erano tutti occupati con le celebrazioni, forse non avrebbero notato l’assenza di qualche oggetto.
Si era quasi intrufolato all’interno quando una mano risoluta gli torse l’orecchio sinistro. Galan si divincolò e si voltò di scatto, estraendo repentino un pugnale. «Chi?», ringhiò ma subito dopo s’interruppe, la bocca ancora aperta.
La donna conosciuta come la più bella e fatale di tutta Cormanthor gli sorrise come in un sogno, fluttuante sulla soglia, le membra avvolte da fuoco blu. «Diamine, Galan», esclamò allegramente Symrustar, «mi fa molto piacere. Finalmente ti sei lasciato alle spalle i furti, e sei tornato a Myth Drannor per ripagare le tue vittime di tutto ciò che hai rubato!»
Il ladro contorse il volto, confuso e incredulo. «Che cosa? Ripagare? “Myth Drannor”?»
Quelle furono le ultime parole che pronunciò prima che labbra sfavillanti si unissero alle sue, e gemme d’ogni colore iniziassero a fuoriuscire, volando, dai suoi stivali, come vespe arrabbiate che lasciano un nido, e fluttuassero nell’aria limpida di Myth Drannor.
Quella notte il sorgere della luna sopra Myth Drannor fu un momento di gioia. Corni e arpe vennero suonati all’infinito in una piacevole cacofonia, come se tutte le feste di un anno fossero state riunite in un’unica celebrazione frenetica. Grazie alla meraviglia invisibile e silenziosa che sovrastava la città come una volta protettrice, chi prima non era in grado di volare, ora poteva farlo senza bisogno d’incantesimi. L’aria era piena di elfi abbracciati e sorridenti; il vino scorreva liberamente e abbondavano le promesse di matrimonio. La luna era piena e brillante, e i suoi raggi illuminavano il pavimento della Camera della Corte attraverso il tetto devastato.
Una donna elfa scivolò solitaria nella stanza vuota, le sue pantofole ingioiellate a qualche centimetro dal pavimento insanguinato. Gli orli della sua tunica corta scintillavano di gemme, e diamanti luminosi formavano draghi gemelli sul suo petto. Solo alcuni fili bianchi e grigi sulle sue tempie tradivano la sua età mentre si muoveva sinuosa nel silenzio, giungendo finalmente là dove un mucchietto di ceneri era immerso nella tenue luce lunare.
Lo fissò a lungo in silenzio, diversa da una statua solo per il petto palpitante. Brevi note di una canzone penetrarono dai fori nel tetto quando elfi gioiosi sorvolarono la corte, e la donna serrò i pugni tanto forte da far uscire sangue nei punti in cui le lunghe unghie si conficcarono nei palmi.
Lady Sharaera Starym sollevò la magnifica testa alla luna, fece un respiro profondo, poi riabbassò lo sguardo su ciò che rimaneva del suo Uldreiyn, e sibilò ferocemente: «Il Mythal deve crollare, ed Elminster dev’essere annientato!»
A udirla però rimanevano solo i fantasmi.
Quando il Mythal fu creato, alcuni elfi di Cormanthor pensarono che aprire il regno ad altre razze fosse un errore. Sono certo che alcuni ancora lo pensano.
A quel tempo sorsero piccole dispute e agitazioni, come accade all’arrivo di qualsiasi novità che non sia un bambino, ma nulla di cui menestrelli o saggi si debbano preoccupare eccessivamente. Fu questione di poche spade, di una manciata d’incantesimi e di qualche parola affrettata, il tutto seguito da grandi feste. In breve, si trattò di ciò che gli eroi umani sono soliti chiamare «avventura».