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Ed Greenwood

Elminster

La nascita di un mago

A Jenny

Per il suo amore

La sua comprensione

E la sua presenza costante…

Esistono solo due cose preziose al mondo: la prima è l’amore; la seconda, che viene molto dopo, è l’intelligenza.

Gaston Berger

La vita non ha alcun significato se non quello che le attribuiamo.

Vorrei che qualcuno gliene desse un po’.

Elminster di Shadowdale

Preludio

«Certamente, Lord Mourngrym», rispose Lhaeo, indicando le scale con un mestolo ancora gocciolante di salsa jalanth.

«È nel suo studio. Conoscete la strada».

Mourngrym fece un cenno di ringraziamento allo scrivano di Elminster e prese le scale polverose facendo due gradini per volta, affrettandosi nell’oscurità. Le indicazioni del Vecchio Mago erano state abbastanza…

Si fermò improvvisamente, mentre la polvere vorticava beffarda intorno a lui. La piccola stanza accogliente conteneva come al solito gli scaffali stracolmi, il tappeto consunto e la comoda sedia… e la pipa di Elminster, pronta per l’uso, fluttuava sopra il comodino. Ma non c’era alcuna traccia del Vecchio Mago.

Mourngrym alzò le spalle e salì di corsa la seconda rampa di scale, verso la stanza degli incantesimi. Un cerchio luminoso pulsava solitario sul pavimento, freddo e bianco. Ma anche la piccola stanza circolare era vuota.

Il Signore di Shadowdale, esitò un momento, e poi percorse l’ultima rampa di scale. Prima di allora non aveva mai osato disturbare il Vecchio Mago nella sua camera da letto, ma…

La porta era accostata. Mourngrym sbirciò guardingo, la mano sull’elsa, secondo una vecchia abitudine. Le stelle scintillavano silenziose e incessanti nell’oscuro soffitto a cupola sopra il letto circolare che riempiva la stanza – ma quel giaciglio non era stato occupato dal momento che vi si era posata la polvere. La stanza era priva di vita, proprio come le altre. A meno che non fosse invisibile o non avesse assunto la forma di un libro, o di qualche altro oggetto, Elminster non era nella sua torre.

Mourngrym si guardò cautamente attorno, i peli dritti sul dorso delle mani. Il Vecchio Mago poteva trovarsi ovunque, in mondi e luoghi che solo lui e gli dei conoscevano. Mourngrym aggrottò la fronte, poi alzò le spalle. Dopotutto, chi nei Regni – a parte, forse, le Sette Sorelle – era veramente a conoscenza dei piani di Elminster o del suo passato?

«Mi domando, tuttavia», meditò ad alta voce il Signore di Shadowdale, mentre iniziava il lungo percorso inverso fin giù da Lhaeo, «da dove viene Elminster? È mai stato giovane? Dove…? E com’era il mondo allora?»

Dev’essere stato un gran divertimento crescere come un mago potente…

Prologo

Era il far della sera, quando la dea Shar soleva coprire il cielo col suo grande mantello di oscurità purpurea e di stelle scintillanti. Il giorno era stato fresco, e la notte prometteva d’essere serena e fredda. Le ultime luci rossastre baluginavano sui lunghi capelli di un cavaliere solitario proveniente da ovest, e la sua ombra lunga lo precedeva.

Si trattava di una donna e, mentre cavalcava, osservava il calar della notte. I suoi limpidi occhi neri erano grandi e incorniciati da sopracciglia arcuate – potere austero e intelligenza acuta contrapposti a una bellezza pudica. A causa del potere o della bellezza, la maggior parte degli uomini non guardava oltre le trecce color miele che incorniciavano il suo viso sveglio e diafano, e persino le regine bramavano la sua bellezza – di certo almeno una lo aveva fatto. Tuttavia, mentre cavalcava, i suoi grandi occhi non rivelavano orgoglio, ma solo tristezza. A primavera incendi selvaggi avevano devastato quelle terre, lasciando dietro di sé moltissimi alberi spogli e carbonizzati al posto del bosco lussureggiante che lei ricordava. Ora, quei vividi ricordi erano tutto ciò che rimaneva della Foresta di Halangorn.

Mentre calava la notte sulla strada polverosa, si udì l’ululato distante di un lupo provenire da nord, subito seguito da uno più vicino, ma il cavaliere solitario non dimostrò alcuna paura. La sua calma avrebbe stupito i temerari che osavano percorrere quella strada solo con grandi scorte armate – e la loro meraviglia non sarebbe finita lì. La donna cavalcava con disinvoltura e il lungo mantello svolazzava intorno a lei, ostacolando di tanto in tanto il braccio che, in caso di pericolo, avrebbe dovuto brandire la spada. Solo uno sciocco avrebbe permesso un fatto simile – ma la signora alta e snella percorreva quella via pericolosa senza nemmeno una spada al fianco. Qualsiasi gruppo di cavalieri l’avrebbe considerata una pazza o una strega e avrebbe impugnato la spada. Non certamente a torto.

Quella donna era Mirjala «Occhiscuri», come annunciava il sigillo argenteo del suo mantello. Mirjala era temuta per i suoi modi selvaggi, come pure per la potenza della sua magia; eppure, malgrado tutti ne avessero soggezione, erano molti gli abitanti di città e campagne che l’amavano. Ciò non valeva però per gli arroganti signori dei castelli: sapevano che si era scagliata contro baroni crudeli e cavalieri saccheggiatori come un turbine vendicatore, lasciando corpi ardenti nell’oscurità a mo’ di ammonimento per gli altri. In alcuni luoghi la sua presenza era addirittura molto sgradita. Quando l’oscurità della notte avvolse la strada, Myrjala fece rallentare il cavallo, si girò sulla sella, e si tolse il mantello. Pronunciò una parola a bassa voce e la stoffa si contorse tra le sue mani, e da verde scuro divenne rossastra, mentre il sigillo d’argento strisciò e si contorse come un serpente arrabbiato, mutandosi in un paio di trombe d’oro intrecciate.

La trasformazione però non era finita. I lunghi riccioli della donna si scurirono e si accorciarono fino alle spalle, spalle divenute improvvisamente vive, che si allargarono diventando muscolose. Le mani con cui Myrjala si riavvolse nel mantello erano diventate pelose e le dita tozze. Con esse estrasse una spada inguainata da un fardello dietro la sella, e se la mise alla cintola. Armato in tal modo, l’uomo a cavallo sistemò il mantello in modo che lo stemma da messaggero, appena formatosi, risultasse bene in vista. Udì nuovamente l’ululato del lupo, ora più vicino, e tranquillamente spronò il cavallo al trotto, oltre un’ultima collina. Più avanti si ergeva un castello dove quella notte avrebbe cenato una spia, una spia dei maghi malvagi che meditavano di impadronirsi della Corona del Cervo di Athalantar, un regno situato a est, non lontano da quella terra. Il messaggero si accarezzò la barba elegante e incitò il cavallo a procedere. Le streghe sarebbero state accolte con frecce e spade, ma un araldo era sempre il benvenuto. La magia rimaneva, in ogni caso, l’arma migliore contro una spia dei maghi.

Le guardie stavano accendendo le torce sopra i cancelli, quando videro il messaggero a cavallo sopra il ponte levatoio di legno. Riconobbero il sigillo del mantello e del tabarro e lo salutarono cortesemente. Si udì il rintocco di una campana e il cavaliere di guardia lo pregò di affrettarsi per il banchetto serale.

«Siate il benvenuto nel Castello di Morlin, se venite in pace».

L’araldo chinò il capo e assentì silenziosamente.

«La strada da Tavaray è molto lunga, Signore, sarete certo affamato», aggiunse il cavaliere in tono meno formale mentre lo aiutava a scendere da cavallo. L’araldo fece qualche passo lento, con le gambe irrigidite dalla lunga cavalcata, e sorrise lievemente.

Due occhi sorprendentemente scuri si alzarono a incontrare quelli del cavaliere. «Oh, vengo da molto più lontano», rispose il messaggero, poi accennò un saluto di congedo, ed entrò a grandi passi nel castello. Il suo incedere denotava una certa familiarità con l’edificio e con le procedure di benvenuto.