In alto, sull’orlo del crinale sopra il dirupo, c’era un soldato. Ne avevano lasciato uno per inchiodare i banditi nel loro covo, o pedinarli se fossero usciti. Ecco spiegata la ragione per cui molti fuorilegge erano morti per dardi da balestra!
Elminster sospirò. Bene, il cavallo del soldato era senz’altro da qualche parte proprio sotto di lui, dall’altra parte del crinale. Se solo fosse riuscito a raggiungerlo e a portarsi in tempo fuori tiro…
Sì, e magari le rane potrebbero volare… Elminster aggrottò la fronte e cercò di ricordare dov’erano cadute le balestre. L’ultimo soldato, quello che lo aveva quasi ucciso… sì! Doveva avere tre archi e averli lasciati cadere dopo aver sparato in quel boschetto, laggiù! El fece un respiro profondo, poi iniziò a strisciare sulla pancia nella neve. Un’altra freccia gli passò accanto, vicino, ma forse non ci sarebbe stato tempo per un secondo tiro.
«Tempus, Tyche, aiutatemi: ho bisogno di entrambi», mormorò Elminster, affrettandosi nella fredda neve polverosa. Raggiunse finalmente il boschetto, chinandosi quando un terzo dardo scrollò la neve dai tronchi intorno a lui, cozzò contro un alberello e cadde spezzato nella neve alla sua sinistra. Com’era diversa dalle battaglie che cantavano i menestrelli!
Mentre stava riflettendo trovò il primo e il secondo arco sprofondati nella neve. Erano bagnati, ma forse ugualmente utilizzabili. Una sacca e le frecce che conteneva erano sparpagliate accanto alle balestre.
Elminster armeggiò con calma per caricare le armi del soldato morto. Dal crinale soprastante poteva sentire il debole sferragliare dell’argano dell’altro soldato. Il terzo arco giaceva a pochi passi dal boschetto; Elminster non osò raggiungerlo. Quando entrambi gli archi furono carichi e pronti, Elminster iniziò a spostarsi lateralmente ai margini della macchia.
Una freccia scosse le fronde di un albero nel luogo in cui si era trovato poco prima. Il ragazzo sogghignò a denti stretti e fece un passo in avanti per vedere meglio. Il soldato si era appena chinato per prendere la seconda balestra. El appoggiò a terra una delle sue e sollevò l’altra, mirando il punto in cui l’uomo era scomparso.
Non appena vide un movimento, sparò.
Tyche era con lui. L’uomo si alzò proprio nella traiettoria della freccia; Elminster lo udì gridare di sorpresa, lo vide alzare le mani e lasciar cadere la balestra, che ruzzolò nel dirupo lungo il pendio coperto di neve, seguita poco dopo dal corpo del soldato.
Elminster scaricò il suo secondo arco, sparò a vuoto per liberare gli ingranaggi, poi raccolse tutti e tre gli archi, la sacca con le frecce, e si affrettò ad aggirare il crinale.
Ecco il cavallo, solo e incustodito, grazie agli dei! In pochi attimi, Elminster legò l’equipaggiamento con una sfilza interminabile di cinghie, e montò in sella, spronando la bestia a seguire la pista dei soldati. Il cavallo si mise in marcia senza tante storie, ma scivolava nella neve, procedendo a un’andatura un po’ più spedita di un trotto e un po’ più lenta di un galoppo. Il percorso era ben tracciato, pertanto Elminster affondò i talloni nei fianchi del cavallo e lo fece accelerare. Doveva arrivare al Corno di Heldreth prima che un mago lo vedesse nella sua sfera e lo uccidesse da lontano.
Presto la cavalcata divenne faticosa, le balestre gli rimbalzavano sulla schiena e il vapore del suo fiato si disperdeva dietro di lui nell’aria scura. La notte stava scendendo velocemente sulle colline. Non poteva fallire, la vita dei banditi intrappolati nel Castello Senza Leggi era nelle sue mani.
Mentre cavalcava, sorrise a un ricordo improvviso: le lezioni di suo padre sul dovere di ogni uomo e donna del regno, dal contadino al re. El, allora, pensava fosse normale che il padre si dilungasse a parlare dei doveri del re e del principe piuttosto che di quelli del contadino e del mugnaio, in quanto erano senz’altro più importati: si trattava del potere superiore, delle responsabilità più onerose. E non aveva sospettato nemmeno per un momento d’essere un principe o che lo sarebbe diventato alla morte del padre. Ricordava chiaramente le sue parole: «Il primo dovere di un re è nei confronti dei sudditi. Le loro vite sono nelle sue mani, e deve sempre pensare ad assicurare loro un futuro brillante e sicuro. Tutto dipende da lui, e tutti sono perduti se viene meno ai suoi doveri. L’ubbidienza gli è dovuta, sì, ma deve guadagnarsi la lealtà. Alcuni re muoiono senza comprenderlo. E i principi non sono altro che giovani testardi che imparano a essere dei re».
«Che altro, padre?» domandò al vento mentre cavalcava veloce verso il Corno. Ma il vento non si degnò di rispondere.
3.
Troppa morte nella neve
Almeno Tyche aveva ascoltato le sue preghiere. Mentre cavalcava per una valle scura, lungo la chiara pista lasciata dai soldati, li avvistò sotto di lui, intenti a preparare i fuochi. Le tracce nella neve rivelavano che si erano incontrati e uniti con un’altra pattuglia invece di raggiungere il castello, ancora molto lontano. La notte sarebbe presto calata sulle colline, e loro si erano fermati per accamparsi.
«Grazie, Tyche», esclamò El rivolto al vento, arrestando il cavallo stanco. Tutti i nemici erano riuniti e presto li avrebbe avuti sotto tiro.
Ma come tutti i doni della Fortuna, anche questo era a doppio taglio. Tutto ciò che doveva fare era uccidere i cinque soldati che erano scappati dal Castello Senza Leggi, e tutti quelli che si erano uniti a loro. Per un breve istante, desiderò essere un grande mago per poterli uccidere tutti in una volta, oppure cavalcare un drago per riunire, bruciare, e disperdere.
Elminster tremò al ricordo di Heldon e toccò la Spada del Leone, appesa al collo sotto i suoi abiti. «Il Principe Elminster è un guerriero», sussurrò al vento con grande dignità; poi ridacchiò, e più sobriamente aggiunse: «Uccide un uomo per riscaldarsi, aiuta a tagliare il suo cavallo, lo mangia, poi va in battaglia e ne uccide altri otto. E come se ciò non bastasse, ora sta per lanciarsi, da solo, su una ventina o più di soldati armati e pronti. Che cos’altro potrebbe essere se non un guerriero?»
«Un idiota, sicuramente», rispose una voce fredda da molto vicino. Elminster si voltò sulla sella. Un uomo con una tunica scura lo stava guardando sospeso nel vuoto, gli stivali ben al di sopra della neve intatta.
El si portò una mano alla cintura, trovò uno dei pugnali recuperati e lo scagliò. L’arma roteò, scintillando nella luce dei fuochi appena accesi, passò attraverso l’uomo e andò a seppellirsi oltre, nella neve alta.
Solo metà bocca dell’uomo sorrise. «Questa non è altro che un’immagine riflessa, sciocco», affermò freddamente. «Arrivi al galoppo, dopo aver seguito le tracce fino al nostro campo… chi sei e perché sei venuto?»
Elminster aggrottò la fronte, facendo il finto tonto, mentre i suoi pensieri correvano. «Ho già raggiunto Athalantar?» Guardò il mago e aggiunse: «Sto cercando un mago, per comunicargli un messaggio. Voi siete un mago?»
«Sfortunatamente per te lo sono», rispose l’uomo, «Principe Elminster. Oh, sì, ho udito il tuo discorsetto orgoglioso. Sei il figlio di Elthryn, dunque, quello che stavamo cercando».
Elminster sedeva immobile sulla sua sella, sforzandosi di pensare. Un mago era in grado di sferrare un incantesimo mediante la propria immagine? Una fredda voce interiore gli rispose: perché no?