Meglio muoversi, in caso… Spronò il cavallo con le ginocchia fino a farlo trottare oltre, poi lo fece girare e muovere in circolo. «Quello è il nome che ho assunto per portare morte a un certo signor mago», ribatté, oltrepassando l’immagine, che si voltò nell’aria e lo fissò in silenzio. Hmmm…
«Altri maghi», aggiunse Elminster accigliato, «hanno progetti propri».
Il mago scoppiò a ridere. «Sì, è naturale, ragazzo presuntuoso… da sempre. Mi vedi tremare di fronte alle tue parole sinistre? Che cos’altro fai, balli e giochi a carte?»
Elminster si sentì avvampare di rabbia. Cavalcare fin lì solo per essere beffato da un mago lontano, mentre i soldati certamente lo stavano già accerchiando… Spronò il cavallo e si allontanò dall’immagine del mago, rispondendogli tranquillamente: «Sì, naturalmente».
Galoppò lungo la via da cui era venuto, ma svoltò e si inerpicò sul pendio più vicino per guadagnare altezza e poter guardare indietro. L’immagine del mago non si era mossa, ma mentre la osservava, lampeggiò e scomparve, lasciando dietro di sé solo un cerchio di neve calpestata dove il cavallo aveva girato in tondo. Accidenti, laggiù in fondo due bande di soldati a cavallo, armati di spade e balestre si erano messe rapidamente in marcia in direzioni diverse e stavano per accerchiarlo.
Era ormai scesa la notte, ma le stelle in alto brillavano e Selûne sarebbe presto sorta. Fin dove poteva vederlo quel mago?
Gli vennero in mente due piani: sfuggire all’accerchiamento facendo un giro largo sul suo cavallo stanco, raggiungere il campo, sperando di trovare il mago e ucciderlo con le sue balestre prima che potesse sferrare un incantesimo. Questo era sicuramente ciò che un bardo o un cantastorie si sarebbe aspettato da lui. Ma persino ai suoi occhi quell’idea appariva folle e avventata.
L’altro piano consisteva nell’intercettare una delle bande, nascondersi nella neve con tutte le balestre, e liberare il cavallo. Se un gruppo di soldati l’avesse seguito, avrebbe avuto il tempo, forse, di uccidere quelli che gli venivano incontro, acciuffare in qualche modo uno dei loro cavalli e quindi attaccare il campo. Poi, dopo aver avuto la meglio su un mago che prevedeva il suo arrivo, si sarebbe messo sulle tracce dell’altra banda e l’avrebbe eliminata con le frecce… era un piano pazzesco quanto il primo.
Citò un verso di una ballata che aveva sentito una volta, «Principi impetuosi si fanno largo tra i folli e trovano la gloria», e guidò il cavallo a destra per intercettare la banda di soldati che riusciva a vedere meglio. Gli sembrava di aver contato nove cavalieri, ma non aveva idea di quanti ve ne fossero nell’altro gruppo.
Il cavallo esausto inciampò due volte e per poco non cadde quando gli zoccoli sprofondarono in una buca ricoperta di neve.
«Adagio», gli mormorò El, sentendo improvvisamente tutti i propri dolori e la stanchezza. Tutto ciò che poteva fare nella sua mente era alleviare per un po’ il dolore, e far cessare l’emorragia, pensò toccandosi il mento. Non era un guerriero invincibile.
E con ciò? Quell’attacco era di un pazzo, non di un guerriero invincibile… ma allora, anche fuggire sarebbe stata un’azione da folle, senza nemmeno la consolazione di aver combattuto per la memoria dei genitori e per il giorno in cui i maghi non avrebbero più comandato Athalantar, e i cavalieri avrebbero cavalcato di nuovo…
«I cavalieri di Athalantar cavalcheranno ancora», mormorò rivolto al vento, che subito disperse le sue parole. Giunse finalmente in un luogo adatto per l’imboscata, un canalone stretto sul pendio riparato di un’altura innevata, e fermò il cavallo.
Smontò rigidamente dalla sella, dai tempi dell’incendio di Heldon non faceva una cavalcata tanto lunga, e le gambe doloranti glielo ricordavano fin troppo bene; si tolse gli archi da tracolla e prese ciò che gli occorreva. «Portami fortuna», sussurrò al vento che, come prima, non rispose. Respirando profondamente l’aria pungente, diede una pacca sul posteriore del cavallo e gridò. La bestia partì di scatto, poi si fermò a guardare indietro, e proseguì quindi al trotto nella neve. Elminster era solo nella notte.
Non avrebbe dovuto attendere molto: nove soldati in armatura stavano cavalcando nella sua direzione, seguendo le tracce di sangue. Elminster si inginocchiò nella neve proprio sotto la cresta dell’altura e iniziò ad armeggiare forsennatamente con le balestre.
Non appena ebbe caricato le tre armi ed ebbe ripreso fiato, udì lo scricchiolio del cuoio e lo stridere del metallo trasportati dal vento. I soldati si stavano avvicinando. Sdraiato nella neve, la condensa del fiato intorno al volto, sistemò le balestre, piantò quattro pugnali nella neve per poterli afferrare velocemente e rimase in attesa.
Aveva una vaga possibilità di successo solo nel caso che le guardie non avessero avuto le balestre cariche e non l’avessero visto in tempo. Elminster scrollò la testa pensando alla sua imprudenza e si ritrovò la bocca improvvisamente secca. Qualsiasi cosa fosse accaduta, non mancava ormai molto.
Si udì un improvviso scalpitio di zoccoli, alcune grida, e un cozzare d’armi. Che cosa stava…? El non ebbe nemmeno il tempo di fare congetture, un soldato si stava avvicinando rapidamente al galoppo, chino sul collo del cavallo. Il principe di Athalantar sollevò cautamente la balestra, la puntò e sparò.
Il cavallo si lanciò in avanti, si impennò ed emise un nitrito allarmato vedendo la scarpata ripida. Non ebbe nemmeno il tempo di rallentare o cambiare direzione, poiché il suo cavaliere scivolò di lato e rimase aggrappato alle redini. La bestia recalcitrò, cercando di liberarsi delle redini che gli strattonavano la testa, ma i suoi zoccoli scivolarono nella neve e il cavallo cadde sopra l’uomo. Insieme scivolarono giù per la collina. L’animale si rialzò rapidamente e si impennò, scuotendo la testa come per schiarirsi le idee. Il cavaliere, invece, rimase sdraiato immobile nella neve calpestata.
Non vi erano altri soldati in vista e da oltre il ciglio dell’altura coperta di neve giunsero le grida e lo stridore di una battaglia. Elminster aggrottò la fronte, stupito, e si rimise i pugnali nella cintura. Tenendo il secondo arco a portata di mano, avanzò cautamente per sbirciare oltre la cresta.
Alcuni uomini a cavallo combattevano tra loro nell’oscurità della notte sopra la collina. Un gruppo indossava corazze che sembravano fatte coi pezzi di una cinquantina d’armature diverse e, per tutti gli dei, da dove sbucavano? L’altro era costituito da soldati, in numero molto inferiore, ed era prossimo alla sconfitta. Mentre Elminster li osservava, un soldato di Athalantar abbandonò la mischia, e spronando disperatamente il cavallo, partì al galoppo su per le colline.
Il principe di Athalantar si alzò, piantò i piedi nella neve, sollevò la balestra e sparò. La freccia passò sopra la spalla del guerriero, che continuò indisturbato la sua fuga. El imprecò e corse a prendere il terzo arco, poi tornò sul bordo della collina. Il cavaliere era distante e più piccolo, ma mentre il suo cavallo si inerpicava sul pendio successivo, costituiva ancora un buon bersaglio. Elminster mirò con attenzione, sparò e vide la sua freccia andare a segno.
Il soldato alzò le braccia, cercò di afferrare con le mani il dardo infilzato nella schiena e cadde dalla sella. Il cavallo proseguì la corsa senza di lui.
«Non pensavo di avere con me degli arcieri, stanotte!»
Il ragazzo si voltò sorpreso, al riconoscere quella voce allegra, «Helm!»
Il cavaliere dal volto coriaceo indossava la stessa armatura di pelle consunta, gli stessi guanti arrugginiti, lo stesso elmo ammaccato e portava la medesima barba ispida e probabilmente, a giudicare dall’odore, non se li era mai tolti, né si era mai lavato, dal giorno che si erano conosciuti nella caverna sopra Heldon. Il cavallo nero che montava era tanto sfregiato quanto il suo cavaliere e la lunga spada incurvata che teneva in pugno era malconcia e grondante di sangue fresco.