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«Come sei arrivato qui?» chiese Elminster sogghignando, con l’improvvisa speranza che forse, dopotutto, non sarebbe morto quella notte.

Il cavaliere di Athalantar si protese dalla sella. «Veniamo dal Castello Senza Leggi» rispose con le sopracciglia inarcate. «Molti uomini valorosi giacevano morti, ma Mauri disse che Eladar non era fra quelli».

«Quando mi sono trovato a corto di soldati da uccidere, sono venuto qui», rispose serio Elminster. «Avevano trovato il castello e dovevo uccidere gli altri prima che potessero fare rapporto. Si sono accampati – vedi quei fuochi – e, da qualche parte laggiù, c’è un’altra banda di soldati, probabilmente più numerosa di questa», affermò puntando il dito nella notte. «Mi stavano accerchiando».

«Onthrar! A me!», gridò Helm voltandosi un istante. Poi esclamò: «Unisciti a noi, allora; li calpesteremo insieme. Ci sono selle libere in abbondanza!»

El scosse la testa. «Devo fare un lavoretto laggiù», rispose indicando col capo l’accampamento immerso nel buio. «Dove ci sono i maghi».

Il ghigno feroce di Helm scomparve. «Ti senti pronto?» chiese con calma. «Davvero, figliolo?»

Il giovane allargò le braccia, la balestra in una mano. «Almeno uno di loro che sa chi sono e mi ha visto in faccia».

Helm aggrottò la fronte e annuì, spronò il cavallo e diede a Elminster una pacca sulla spalla. «Allora spero di rivederti ancora vivo, Principe». Mentre si voltava domandò: «Potrebbe essere d’aiuto un aspro attacco al campo?»

El scosse il capo. «No, Helm, limitatevi ad ammazzare quei soldati. Se li prenderete tutti, il Castello Senza Leggi sarà sicuro per uno o due inverni ancora, a condizione che tutti i fuorilegge abbiano il buonsenso di abbandonarlo quest’estate. Quando la neve si scioglierà, i maghi passeranno al setaccio metro per metro queste colline, con gli incantesimi e tutte le guardie che riusciranno a radunare».

Helm annuì. «Parole sagge. Al prossimo incontro, dunque». Sollevò la spada in segno di saluto, Elminster alzò la balestra in risposta, e si allontanò mentre la neve ricominciava a cadere.

I soffici fiocchi cadevano incessantemente. Elminster si dissetò con un pugno di neve, recuperò le balestre, le preparò e si incamminò verso il campo. Fece un’ampia curva verso destra, sperando di poterlo raggiungere dall’altra parte… sempre che i maghi, con i loro incantesimi, non potessero vedere in ogni direzione…

Senza dubbio rimanevano a corto di magie, nello stesso modo in cui i soldati esaurivano le frecce. Doveva solo sperare che non si disturbassero a cercare un ragazzo solitario a piedi nella neve. Se avesse rivisto il giorno, rifletté, sarebbe stato molto in debito con gli dei…

Le lanterne da tempesta scintillavano in alto sui treppiedi di alabarde. La neve turbinava incessantemente nel loro chiarore, nel punto in cui, nel cuore del campo, il mago Caladar Thearyn guardava accigliato una sfera luminosa sospesa nell’aria davanti a lui. Sebbene la notte fosse fredda, il sudore gli imperlava la fronte per lo sforzo di mantenere la sfera in vita, e in pochi istanti avrebbe dovuto tenerla salda perché avrebbe lanciato in essa un altro incantesimo… un incantesimo dai numerosi fulmini baluginanti che, se fosse riuscito, sarebbe apparso improvvisamente nella sfera distante collegata alla sua, che ondeggiava come un fantasma pallido sulle colline coperte di neve non lontano da lì, proprio di fronte alla schiera di banditi che cavalcava veloce.

Il mago mormorò l’incantesimo che avrebbe legato le due magie e sentì il potere crescere in lui. Allargò le mani esultante e notò, senza guardare, le facce intimorite e la ritirata frettolosa delle sue guardie del corpo.

Un lieve sorriso gli solcò il volto quando cominciò a evocare i fulmini. Eseguì due gesti complicati, uno svolazzo elegante e pronunciò un’unica parola. Ma ecco che al termine dell’incantesimo la sua mano si abbassò pesantemente.

Il dardo diretto al cuore lo colpì alla spalla, intorpidendogli il braccio e facendolo voltare. La sfera cadde a terra con un’esplosione di luci crepitanti, che soffocò l’urlo di dolore e di spavento del mago. Questi si accasciò, tenendosi la spalla quando un’altra freccia gli sibilò accanto. Un soldato, per evitarla, si lanciò a capofitto nella neve ormai battuta, e i suoi compagni sguainarono la spada e corsero verso la fonte delle frecce.

Freddamente, Elminster li guardò avanzare verso di lui, l’ultima balestra pronta a colpire. Proprio come sospettava… da una tenda uscì un altro uomo con la tunica; non era molto più vecchio di lui, ma aveva tra le mani una bacchetta magica; si guardò intorno per individuare la causa di tanto trambusto, al che il giovane lo colpì alla gola con l’ultimo dardo pronto. Poi appoggiò la balestra, sganciò la grossa sacca contenente le altre frecce e la lasciò cadere, ed estrasse invece la spada.

I soldati infuriati gli corsero incontro. El si lanciò verso di loro, la spada in una mano e un pugnale nell’altra. Il primo uomo cercò di spostargli la spada di lato e di trafiggerlo con la sua, ma Elminster incastrò le spade e spinse finché non si trovarono faccia a faccia, lo stridore del metallo nelle orecchie, e conficcò il suo pugnale negli occhi dell’avversario.

Spingendo di lato l’uomo in preda agli spasmi, il principe corse incontro all’uomo successivo urlando, «per Athalantar!» Il soldato scartò sulla sinistra, gridando a un compagno di dirigersi a destra e di stringerlo. El scagliò un pugnale nel volto del secondo uomo. Helm aveva ragione: alcuni guerrieri erano degli incapaci. Questi sollevò entrambe le mani per ripararsi la faccia e con un affondo basso Elminster gli trafisse l’addome. Mentre El liberava la spada, l’altra guardia si avvicinò guardinga. Elminster si chinò, estrasse un pugnale dalla cintura dell’uomo, che si muoveva appena, e corse di lato. I nemici restanti stavano ancora girando intorno, quando Elminster scappò via, diretto al campo.

Giunto all’interno del cerchio di lanterne, El incontrò un uomo dall’armatura scintillante. Si lanciò subito sulla spada, riuscì a scostarla con la sua, e lo colpì col pugnale. L’armatura non cedette tuttavia alla punta, ma a quel punto il ragazzo aveva già superato il soldato e stava andando a sbattere contro un treppiedi di alabarde. Queste caddero, e la lanterna che sostenevano andò in mille pezzi e incendiò una tenda con un ruggito improvviso.

Si udirono delle urla. Nella luce intensa delle fiamme, El vide il mago allontanarsi barcollando, la freccia ancora infilzata nella spalla, ma alcuni uomini con le spade luccicanti si interposero tra lui e lo stregone.

Elminster ringhiò e scartò sulla destra, zigzagando fra le tende, lontano dalle luci. Si scontrò con un uomo che usciva da una tenda e lo colpì freneticamente; il soldato sorpreso cadde sulla tenda senza rumore. Stancamente, El si diresse fuori dall’accampamento. Se solo avesse potuto aggirarlo per tornare a prendere le balestre, e… ma i soldati gli erano alle calcagna. Perlomeno non c’era alcun arciere nel campo, altrimenti lo avrebbero già ucciso.

Il ragazzo salì di corsa su una collina e si allontanò dalle fiamme che ora imperversavano nell’accampamento. Si voltò e vide due uomini che lo inseguivano. Rallentò il passo e iniziò il suo ampio giro. Lasciò che si avvicinassero e intanto riprese fiato. Ansimando, raggiunse un altro crinale e vide uomini e cavalli radunati di sotto: la banda di Helm. Alcuni di essi sollevarono lo sguardo e sguainarono le spade, ma Helm lo vide e fece un cenno con la mano: «Eladar! Fatto?»

«Un mago morto, ma l’altro è solo ferito», affermò senza fiato. «Mezzo… accampamento… mi sta inseguendo».

Helm sogghignò. «Stavamo facendo riposare i nostri cavalli e ripulendo i soldati. Alcuni di loro indossano armature troppo belle per loro. Cambiato idea a proposito dell’attacco?»

El annuì, esausto. «Sembra… un’idea migliore… adesso», esclamò respirando pesantemente.

Helm sogghignò, si voltò, impartì ordini veloci ai suoi uomini e poi indicò un cavallo. «Prendi quello, Eladar, e seguimi».