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Lasciando quattro banditi con il bottino e i cavalli extra, gli sbrindellati cavalieri di Athalantar si avviarono lungo la strada per la quale era venuto il ragazzo. Uno di loro si era impossessato di un piccolo arco da cavallo, e mentre si apprestavano a raggiungere la cresta della collina, lo tese e scagliò una freccia, con una lieve rotazione delle spalle. Uno dei soldati che avevano inseguito Elminster si portò le mani alla gola e cadde nella neve, dimenando le gambe.

Gli altri si voltarono e scapparono. Con un urlo uno dei cavalieri si lanciò al galoppo, agitando la spada mentre spronava il cavallo. Atterrò un soldato e ne infilzò un altro con la spada. L’uomo cadde e non si rialzò più.

«Sembri portarci fortuna», urlò Helm mentre cavalcava. «Ti va di aiutarci ad abbattere le mura di Hastarl?»

El scosse il capo. «Mi sono stancato di uccidere, Helm», gli rispose, «e temo che più facciamo del nostro meglio, più i maghi si accaniranno contro di noi in primavera. Qualche mercante forestiero morto è una cosa; intere pattuglie di soldati trucidate sono un’altra. Non ci lasceranno impuniti, altrimenti la gente lo verrà a sapere, e si ricorderà, e si farà certe idee».

Helm annuì. «Comunque, non fa male assestare qualche colpo e nuocere seriamente a questi cani. Hai fatto un bel lavoro!» Con aria compiaciuta indicò le tende incendiate. «Spero tu abbia risparmiato le tende del cibo!»

Elminster poté soltanto ridacchiare mentre si gettavano fra le guardie in fuga, sbraitanti. I cavalieri fecero a pezzi i soldati mentre i cavalli si impennavano e calpestavano feriti e fuggiaschi, e il campo sprofondò presto nel silenzio.

Helm si mise a dare ordini. «Voglio sentinelle lì, lì e lì, a coppie, in sella, lontane dalla luce. Il resto: sei in una tenda, e riferite ciò che trovate. Non distruggete nulla, mi raccomando. Se trovate un mago vivo, o qualcun altro, avvertite!»

I cavalieri si misero subito al lavoro. Si udirono grida di gioia quando nella tenda della cucina vennero trovate slitte di metallo cariche di carne, patate e barili di birra. Cavalieri dallo sguardo sinistro portarono a Helm alcuni libri di magia e rotoli di pergamena, ma del mago ferito non vi era traccia, e nessuna delle guardie era sopravvissuta.

«Bene… per stanotte resteremo qui», esclamò Helm. «Legate tutti i cavalli che trovate, poi faremo festa. Domattina prenderemo tutto ciò che riusciremo a portare, e torneremo al castello; monteremo le tende nella forra accanto alla Caverna del Vento, come riparo per i cavalli. Poi pregheremo Auril e Talos affinché la neve fresca ricopra le nostre tracce!»

Vi fu un grido d’approvazione generale ed Helm si avvicinò a Elminster ed esclamò: «Volevi lasciare le colline, ragazzo… penso che sia meglio così. Io devo nascondere questi libri e altro materiale magico celato, e stavo pensando a quella caverna nel pascolo sopra Heldon. Là ci sono pietre a sufficienza per murarli, tu sai dove… e potrai cacciare cervi e cose del genere fino all’estate, quando tornerò a cercarti. Se i soldati ti fiutano, va’ a nasconderti nella Grande Foresta: lì non oseranno inoltrarsi molto».

Si grattò il mento. «La vita del guerriero a cavallo non ti si addice, ragazzo, ma direi che hai imparato meglio di tanti altri a maneggiare balestre e spade, e restare a tremare nelle caverne come un fuorilegge… Forse i vicoli e le folle di Hastarl ti offriranno un nascondiglio più consono, ora, e sarai più vicino a maghi che non sono assetati del tuo sangue, per imparare da loro tutto ciò che potrai, prima di intraprendere la tua vendetta». Il cavaliere posò gli occhi vivaci sul giovane principe. «Che ne dici?»

Elminster annuì lentamente. «Sì… un bel piano» mormorò.

Helm sogghignò, gli diede un colpetto sulla spalla e poi lo afferrò, mentre il ragazzo si accasciava di lato nella neve, il mondo vorticante in un’improvvisa foschia verde e gialla… La fatica si impossessò di lui, ed Elminster si lasciò trasportare…

«Si trattano bene questi soldati», commentò brevemente Helm il giorno dopo, mentre sedevano a mangiare manzo affumicato e pane duro spalmato con burro d’aglio. Tutt’intorno, sospiri profondi e rutti di soddisfazione rivelarono che molti dei cavalieri erano ormai sazi. E dal russare tra i barili vuoti si poteva dedurre in che modo qualcun altro aveva trascorso le ore notturne.

Elminster annuì.

Helm gli rivolse uno sguardo penetrante. «Che cosa ti passa per la testa, figliolo?»

«Mi piacerebbe non dover più uccidere alcun uomo», affermò El tranquillamente, guardando le macchie di sangue nella neve intorno a lui.

Il cavaliere annuì. «Te lo si leggeva negli occhi la scorsa notte». Sorrise improvvisamente e aggiunse: «Tuttavia hai tenuto a bada più guerrieri tu la scorsa notte che molti soldati nella loro lunga carriera».

Elminster agitò una mano. «Sto cercando di dimenticare».

«Scusami, ragazzo. Te la senti di affrontare il viaggio a piedi o vuoi un cavallo? A cavallo sarà più facile, a patto che tu riesca a trovare fieno a sufficienza, perché mangiano come dei veri maiali, te lo assicuro. Tuttavia, attirerai più rapidamente l’attenzione, specialmente quando attraverserai il torrente ad Upshyn. Se puoi, aggregati a qualche carovana, in qualunque modo tu decida di viaggiare. Se qualcuno vedrà i libri di magia e i rotoli di pergamena che porti, sarà la tua fine». Il cavaliere si grattò la barba e proseguì: «Se scegli di andare a piedi, ti faccio presente che il viaggio sarà lento e faticoso, anche se riuscirai a tenerti caldo, e bada di tenere i piedi asciutti con questo tempo, altrimenti andrai incontro alla morte…».

«Andrò a piedi», asserì Elminster. «Prenderò un arco e tutto il cibo che riuscirò a portare, così come… niente armatura, a patto che possa avere dei guanti buoni e un fodero migliore».

Helm sogghignò: «Una legione di soldati morti provvederà cortesemente».

Elminster non se la sentì di ricambiare il sorriso. Ne aveva uccisi parecchi, uomini che avrebbero dovuto proprio in quel momento cavalcare orgogliosamente verso Athalantar. Era tutta colpa loro.

«Sono loro che devono morire», mormorò fra sé, «affinché Athalantar possa vivere».

Helm annuì. «Bella frase, “Sono loro che devono morire, affinché Athalantar possa vivere!” Un grido di battaglia; penso che lo userò».

Elminster sorrise. «Assicurati che chi ti sentirà sappia a chi si riferisce il “loro”».

Helm ricambiò con una smorfia. «Questo è stato un problema di molti, nel corso degli anni».

La volpe che l’aveva seguito per un breve tratto gli diede un’occhiata finale, con gli occhi scuri e scintillanti, poi fuggì tra le felci gelate. El la osservò allontanarsi, chiedendosi se non fosse la spia di un mago, ma il suo istinto gli disse che non era così. Attese qualche istante, poi, più silenziosamente che poté, si avviò tra gli alberi e raggiunse il prato retrostante la locanda. «Cerca la botola vicino al fienile», gli aveva detto Helm, ed ecco il fieno contro il muro posteriore della scuderia, riparato da un tetto infossato, costruito su alcuni pilastri, che conoscevano a malapena il significato del termine «diritto». Tutto corrispondeva alla descrizione del cavaliere: l’ingresso posteriore della Locanda di Woodsedge.

Elminster si avvicinò, sperando che non ci fossero cani a dare l’allarme. Per il momento non ne vide. Ringraziò silenziosamente gli dei e scavalcò il cancello basso del praticello dalla parte della locanda, aggirò furtivamente il fienile e trovò la botola. Era tenuta chiusa soltanto dal suo peso; non dovette nemmeno posare la spada per aprirla e scendere all’interno.

Chiuse il portello dietro di sé e rimase immobile, la stalla era silenziosa, e più calda della notte. Un cavallo si mosse e scalciò pigramente contro una parete del recinto. Il ragazzo esaminò la stalla e notò un recinto pieno di badili, rastrelli, secchi e matasse di redini appese, e un recinto pieno di paglia. Rinfoderò la spada, prese una forca dai denti lunghi, e tastò cautamente il fieno, ma non sentì nulla di solido. Allora aprì il cancelletto ed entrò.