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«Va bene, ragazzo», riuscì a mugugnare Broarn quand’ebbe abbastanza fiato «dicci. Quale sarebbe il nascondiglio?»

«Tra la gente che i maghi non osano uccidere o tormentare, altrimenti non avrebbero nessuno su cui regnare. Nella stessa Hastarl», rispose il giovane.

Helm e molti cavalieri fuorilegge dietro di lui lo fissarono a bocca aperta, sbalorditi.

«Ma tu attaccherai il primo mago che vedrai una volta entrato in città, e noi moriremo tutti!», protestò il cavaliere malconcio.

El scosse il capo. «No», disse. «Fare il pastore mi ha insegnato a essere paziente… E la caccia ai maghi mi sta insegnando l’astuzia».

«Sei impazzito», mormorò uno dei banditi.

«Sì», assentì un altro.

«Aspettate un attimo», esclamò un terzo. «Più ci penso e più mi sembra un’idea geniale».

«Vuoi rischiare di morire tutte le volte che esci allo scoperto?»

«Ora è così… e se vado ad Hastarl, come dice il ragazzo, potrò avere una casa calda in cui dormire d’inverno».

D’un tratto si misero tutti a parlare e a discutere, finché Broarn non sibilò: «Abbassate la voce!» e agitò l’ascia sotto i loro nasi. Ottenuto il silenzio, il grasso locandiere affermò: «Se fate tutto quel baccano, i soldati si sveglieranno e verranno qui a vedere che cosa si stanno perdendo. C’è qualcuno che li vuole qui?»

Rimase un momento in silenzio, poi continuò con calma: «Alcuni di voi vorranno rimanere sulle colline o fuggire verso altre terre, ma qualcuno forse vorrà andare col ragazzo a Hastarl. Qualsiasi cosa decidiate, fatelo nel bosco; vi voglio tutti fuori da qui prima dell’alba. Helm, fai entrare Mauri con tutte le sue cose dalla porta sul retro. Lei resterà qui. Lascia che aiuti solo chi è in grado di muoversi in silenzio. Ora fuori, tutti… e che gli dei vi assistano!»

La riunione stava terminando; adesso era il momento di colpire. Quell’azione gli avrebbe sicuramente fatto guadagnare una posizione di spicco tra i maghi. Non più apprendistato dal vecchio e grasso Harskur… ma il vero potere finalmente!

Shaphardin Olen uscì dal freddo nascondiglio, lasciando scemare l’incantesimo che gli permetteva di origliare. Sollevò le bacchette magiche, e le puntò verso la porta… meglio colpire ora, prima che qualcuno di loro abbandonasse quel luogo.

«Morite, stupidi!» esclamò con un sorriso e poi cadde in avanti come un albero abbattuto, quando un sasso grande quanto un elmo da guerra lo colpì sulla nuca.

Quando la roccia macchiata di sangue si adagiò lentamente nella neve, le due bacchette cadute si sollevarono per conto proprio e, disegnando un arco, sorvolarono gli alberi verso la collinetta successiva dove una donna alta e magra le osservò avanzare con occhi grandi e scuri.

Il suo viso era bianco come le ossa, e i suoi capelli ricci color miele scuro. A prima vista, un contadino si sarebbe inchinato come davanti a una signora comune. La donna protese una mano per afferrare le bacchette magiche che stavano planando sopra di lei, e il suo mantello verde scuro ondeggiò, come mosso da mani invisibili. Fili d’argento lavorati a formare un sigillo di cerchi intrecciati, le ricoprivano le spalle.

La maga osservò i banditi entrare a grandi passi nel bosco e agitò una mano. Il suo corpo scomparve lentamente e divenne solo un’altra delle tante ombre fluttuanti, tra gli alberi spogli dell’inverno, invisibile eccetto che per i grandi occhi neri, liquidi.

Si socchiusero solo una volta, quando vide Elminster che abbracciava Helm in un addio prima di dirigersi verso sud, da solo.

«Il tuo spirito è forte, Principe di Athalantar», mormorò la donna. «Vivi, dunque, e mostraci ciò che sai fare».

PARTE II

Il ladro

4.

Escono la notte

Ladri? Ah, che brutta parola… Pensateli invece come apprendisti re. Sembrate sconvolto, persino polemico. Bene, allora, considerateli come la specie più onesta di mercanti.

Oglar il Re dei ladri, nella commedia anonima Cocci e Spade.
Anno del Topo Urlante

Era solo un altro dell’infinita serie di giorni caldi e umidi d’inizio estate dell’Anno della Fiamma Nera. Gli abitanti di Hastarl avevano iniziato a coricarsi più o meno svestiti, sui balconi e sui tetti terrazzati, dopo il calar del sole, nella speranza di una brezza che regalasse loro qualche fugace istante di sollievo.

Ciò giovava sia al piacere sia agli affari… al piacere più prevedibile e a un affare in particolare.

«Ah», esclamò a bassa voce Farl, sporgendosi per sbirciare dalla fessura della finestra. «Ecco che ricomincia lo spettacolo della carne».

«Quando hai finito di sbavare», replicò secco il giovane magro dal naso adunco alle sue spalle, «tieni la fune mentre scendo».

«Sarà già l’alba, direi», fu la risposta.

«E allora tieni la fune ora, guarderai dopo». Elminster diede un’occhiata sopra la testa del suo compagno e scrutò attorno a sé con aria professionale. «Ah, guarda là che bel tatuaggio… come farà a vederselo con la pancia che si ritrova, lo sanno solo gli dei».

Farl ridacchiò. «Pensa anche a che cosa deve aver sentito quando se l’è fatto fare». Sussultò facendo un gesto esagerato con la mano e aggiunse: «Ma dovresti guardare le ragazze, El, non gli uomini!»

«Ah, devo ancora imparare a distinguerli. E ho qualche difficoltà a farlo», rispose tranquillamente Elminster. Poi, ciò che stavano attendendo accadde: un grande banco di nubi coprì la luna. Senza altre parole, lui scivolò attraverso la finestra stretta, con una mano sull’imbracatura di corda, e scomparve.

Farl sistemò il cursore della corda di cuoio levigato saldamente sul davanzale, e con una forza sorprendente rallentò il passaggio della fune che vi scorreva attraverso con un movimento lieve e continuo, finché uno strattone violento non gli indicò di fermarsi. Infilò un pugnale in uno dei buchi della ruota dalla quale si srotolava la fune, poi si sporse a guardare la finestra.

Direttamente sotto di lui, nel vuoto sottostante, all’altezza della camera superiore della torre, Elminster stava sospeso tranquillamente fuori dalla finestra, con una mano, quella con la fasciatura ricoperta di torta di miele appiccicosa, appoggiata al muro; e si stava mantenendo di lato dalla finestra, fuori dalla vista degli occupanti. Scrutò dentro per ciò che sembrò essere un istante interminabile, poi sollevò la mano a mo’ di segnale, senza neanche alzare la testa.

Farl gli calò gli attrezzi con ulteriori funi.

Sospeso nella vivificante brezza notturna, Elminster li afferrò: due lunghi bastoni di legno terminanti con una gruccia, le cui estremità erano dotate di palline di colla appiccicosa. Da un bastone sporgeva una punta laterale a uncino, imbottita.

El utilizzò delicatamente tale punta per aprire completamente i battenti, poi ritrasse i bastoni e attese pazientemente. Da dentro non giungeva alcun rumore e, poco dopo, si allungò nuovamente. Fece scivolare dentro un bastone finché non si agganciò al davanzale. Poi bilanciò il peso e si spinse in avanti, tastando delicatamente all’interno della stanza. Quando lo ritrasse, una gemma brillava all’estremità appiccicosa. Ritrasse allora il bastone fino a raggiungere la punta con la mano, lo lasciò penzolare dalla fune mentre infilava la gemma nella borsa tubolare di tela robusta, che portava al collo, poi infilò di nuovo il bastone nella stanza, lentamente… delicatamente… silenziosamente.

Ripeté tre volte l’operazione. Farl vide il giovane sotto di lui asciugarsi le mani sudate sui calzoni di pelle scura e impolverata e poi protendersi nuovamente. Trattenne il fiato, sapendo che cosa significasse quel gesto: Eladar il Tenebroso stava per tentare qualcosa di particolarmente imprudente. Farl recitò una preghiera a Maschera, il dio dei ladri.