El infilò di nuovo i bastoni nella camera da letto, facendoli scivolare lentamente sul corpo nudo, addormentato della giovane moglie del mercante, a pochi centimetri dalle morbide curve della sua carne e, giunto all’altezza della gola, li arrestò. Portava un nastro scuro intorno al collo… e appeso a esso un pettorale di smeraldi, sui quali spiccava un ragno di filo metallico nero dal corpo costituito da un unico grande rubino.
Elminster guardò i gioielli sollevarsi e abbassarsi delicatamente a ogni respiro della donna. Se era come quelli che già aveva visto, il ragno poteva essere sganciato per essere indossato da solo come spilla da mantello.
Un lieve tocco, un movimento per assicurarsi che si fosse attaccato… Ecco fatto, lo sollevò lentamente e, facendo attenzione a non solleticare il naso della ragazza, ritrasse il bastone con grande abilità e pazienza.
Quando ripose il gioiello nella borsa e strattonò la fune affinché Farl lo tirasse su, sentì che il ragno emanava ancora il calore del respiro della donna. Elminster annusò il profumo muschiato di cui era impregnato, sospirò silenziosamente, e per un attimo si domandò come dovessero essere le donne…
«Con questi potremo darci all’ozio per almeno due mesi», esclamò Farl, con gli occhi luccicanti nella debole luce del loro tugurio.
«Sì», ribatté Elminster, «ed essere notati nel giro di tre giorni. A chi pensi di poter vendere il ragno in questa città? Dovremo aspettare che un mercante discreto, uno che abbia qualcosa da nascondere e che sappia che noi ne siamo al corrente, lasci la città, e venderglielo prima che parta. No; venderemo l’anello con lo smeraldo questa notte, prima che si sparga la voce; non vi è alcun segno che indichi la sua appartenenza. Poi resteremo tranquilli e ci faremo assumere per un po’ come scaricatori o fattorini».
Farl lo fissò per un momento, la bocca aperta in segno di protesta, ma poi sorrise e annuì. «Hai ragione, come sempre, Eladar. Sei astuto come un gatto randagio».
El si strinse nelle spalle. «Sono ancora vivo, se è questo che intendi. Andiamo a scoprire qualche locale in cui servano da bere a due giovani con la gola secca e le tasche vuote».
Farl rise, infilò nuovamente la sacca nel blocco di pietra incavato, si arrampicò su per le pietre scabrose del camino in rovina e spinse il blocco per tutta la lunghezza del suo braccio, nello spazio buio e vuoto fra il pavimento e il soffitto. Ritraendo il braccio dal buco col bordo scheggiato, ripose il topo morto, ciondolante, mezzo mangiato, che usavano per scoraggiare gli intrusi e ridiscese sul pavimento.
La stanza scura sul retro della bottega del calzolaio puzzava di gabinetto per l’uso occasionale che ne facevano gatti, cani, ubriachi e gente di strada. Il calzolaio era morto di febbre della lingua nera all’inizio della primavera, e la gente sana non si sarebbe sognata di far visita a quel luogo per almeno una stagione. Poi il locale sarebbe stato affumicato per eliminare i vapori della malattia e infine demolito; per quell’epoca i due amici avrebbero trovato un nascondiglio migliore fra i pinnacoli ornamentali delle case per bene, nelle vicinanze delle mura settentrionali di Hastarl. Avevano adocchiato una residenza alta, il cui tetto sfoggiava grondoni sogghignanti scolpiti nella roccia; se fossero riusciti a decapitarne uno e a svuotarlo senza che gli occupanti della grande casa sottostante se ne accorgessero, avrebbero avuto un posto ideale. Rimaneva però il «se».
I due giovani si scambiarono un cenno d’intesa, poi Farl guardò dal foro d’osservazione e poco dopo invitò Elminster a procedere; il giovane uscì con indifferenza nel passaggio esterno stretto e scuro, e scivolò via nella notte. Farl lo seguì, il pugnale in mano, in caso di bisogno. Trascorse qualche istante prima che i ratti osassero uscire allo scoperto per afferrare la fetta di formaggio ammuffito che i due ladri avevano premurosamente avanzato.
Il Bacio della Fanciulla era un locale chiassoso e frequentato da persone decisamente per bene… volgarità, schiaffi e pizzicotti, notti di piacere, beffe e lanci di monete, e tanta birra. Farl e Eladar portarono i boccali nel loro angolo buio preferito, poco lontano dal banco, dal quale potevano vedere chi entrava, ma essere visti soltanto da occhi avvezzi all’oscurità e molto determinati.
Naturalmente, il loro posto era già occupato da ragazze di cui conoscevano bene i nomi, ma solo quelli, data la mancanza persistente di denaro. Era troppo presto per gli affari, pertanto le ragazze si limitavano a bere e a frizionarsi col profumo l’incavo delle ginocchia e le pieghe dei gomiti, e sulle panche vi era ancora posto per sedersi.
«Che ne dite di qualche bacio di prima serata?» domandò Ashanda disinteressata, esaminandosi le unghie. Sapeva già la risposta ancor prima di sentirla. Silenzio assoluto dal tizio con i capelli neri ribelli e il naso adunco, e da Farl…
«No. A noi piace solo guardare». Detto ciò, le lanciò un’occhiatina maliziosa da sopra il boccale.
Stando allo scherzo, la donna lo ricambiò con uno sguardo civettuolo, batté le palpebre e si portò delicatamente le dita alla bocca, fingendo un’espressione scioccata, e poi rispose: «E molti di loro vogliono un pubblico plaudente, quindi va bene. Vedi solo di spostarti e lasciarmi spazio sulle panche quando ce ne sarà bisogno, altrimenti ti farò assaggiare il mio dito affilato!»
L’avevano vista infilzare il suo stivale a punta di pugnale negli stinchi di molti uomini, e una volta nelle viscere di un marinaio, che non aveva saputo dosare la sua forza bruta ed era finito sul pavimento della taverna con le budella di fuori. Entrambi i ladri annuirono rapidamente mentre le altre ragazze ridacchiavano scioccamente.
Farl strizzò l’occhio a una di loro e la giovane si protese per picchiettargli il ginocchio. Chinandosi, sfiorò il braccio di El col suo corpetto di seta, fresco e liscio. Il ragazzo spostò bruscamente il boccale, sentendo improvvisamente crescere l’eccitazione dentro di lui.
Budaera vide il suo rapido movimento e voltò la testa per sorridergli. Il suo profumo, che sapeva di rose, e non era tanto forte come gli intrugli puzzolenti che usavano solitamente le donne, raggiunse le sue narici. Elminster rabbrividì.
«Ogni volta che avrai dei soldi, tesoro», gli sussurrò con voce roca. Elminster fece appena in tempo a portarsi il dorso della mano al naso. Poi starnutì tanto forte che fece traboccare la birra dal bicchiere, e per poco non spinse accidentalmente la donna sul pavimento.
L’angolo dove erano seduti risuonò di fischi e schiamazzi. Budaera gli lanciò un’occhiataccia, che si trasformò quasi subito in un’espressione addolorata quando vide che il disagio e le scuse farfugliate del giovane erano sincere. Gli diede dei colpetti sul ginocchio ed esclamò: «Suvvia. È solo questione di migliorare la tecnica… e quella te la posso insegnare».
«Se puoi permetterti le sue lezioni», schiamazzò una delle ragazze e attorno a loro si udirono risate. El si asciugò gli occhi lacrimanti con il dorso della manica e fece un cenno di ringraziamento a Budaera, ma lei si era già voltata e stava chiedendo a una collega da dove veniva quello smalto ramato e quanto fosse costato.
Farl fece scorrere le dita tra i capelli sopra l’orecchio e abbassò la mano per fissare compiaciuto la moneta d’argento comparsa fra le sue dita, come se non ne avesse mai vista una. «Guarda questa», esclamò rivolto a Elminster. «Magari ce n’è un’altra!»
C’era. Le sollevò trionfante ed esclamò: «Sono pronto, Budaera, e ben disposto, e vedo che non hai clienti al mo…»
«Per due pezzi d’argento», ribatté la ragazza con un tono piatto e freddo, «quello è il prezzo per come sono adesso, “tesoruccio”». Le ragazze scoppiarono a ridere; uomini con enormi caraffe di birra gelata in mano si avvicinarono per vedere che cosa si stessero perdendo.
Farl sembrava mortificato. «Credo non ci sia altro qui dietro, ma non mi sono pettinato stamattina…». Con sguardo speranzoso fece scivolare nuovamente la mano tra i capelli, poi scrollò la testa.