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«No». Una delle ragazze emise un suono di finto dispiacere, ma egli sollevò la mano. «Aspetta un momento, aspetta un momento… non ho ancora controllato tutti i peli, vero?» Assunse un’espressione maliziosa e allungò la mano nella camicia scura per grattarsi l’ascella; le sue dita frugarono avidamente e poi si fermarono. Aggrottò la fronte, estrasse una manciata di pidocchi immaginari, o almeno era ciò che sperava El, e li esaminò con sguardo critico. Poi fece finta di mangiarseli, si leccò accuratamente le dita e, quand’ebbe terminato, introdusse nuovamente la mano nella camicia, cercando nell’altra ascella.

Quasi immediatamente spalancò gli occhi con sguardo incredulo e, lentamente, estrasse una moneta d’oro! La annusò, fece una smorfia di finto disgusto, poi la sollevò con una risata di trionfo. «Visto?»

«Bene», affermò Budaera con soddisfazione, chinandosi ancora in avanti, «quella vale più di uno starnuto. Ne hai un’altra?».

Farl sembrò ferito. «Ma quanto sporche credi che siano le mie ascelle?»

Nell’angolo risuonarono risate schiette e sonore; le donne erano divertite. El osservava impassibile, solo un angolo della bocca sollevato, mentre Budaera si chinava in avanti fin quasi a sfiorare con la lingua l’orecchio di Farl e sospirava: «Se ci aggiungi due pezzi d’argento, potrei fare un’eccezione per un povero… solo per questa volta…».

«Solo per altri due pezzi d’argento», esclamò Farl con dignità elaborata, «potrei essere costretto ad accettare la tua generosa offerta, brava donna. Ora, se qualcuno tra voi fosse tanto buono da prestarmi la misera somma di… ah, due pezzi d’argento?»

Ci furono sbuffi e gesti volgari dalle panche accanto a lui; Elminster estrasse una mano; e quando la voltò due monete d’argento erano attaccate al suo palmo.

Piuttosto dubbioso, Farl si chinò e le staccò, una dopo l’altra. Elminster aveva usato solo una piccola quantità di gomma su entrambe; e quando Farl le porse a Budaera con uno svolazzo, erano ormai pulite.

Budaera fece cenno di darle prima quella d’oro. Ottenutala, infilò la mano sotto un’ascella e fece sparire la moneta nel sacchettino di sicurezza profumato che gran parte di loro portava in quel punto. Poi prese i pezzi d’argento, li rigirò brevemente con dita esperte, li sollevò e li baciò tenendo gli occhi su Farl. «Allora siamo d’accordo, amore mio».

Si chinò in avanti, gli occhi improvvisamente pieni di mistero e, come un serpente silenzioso e attento, Elminster scivolò fuori dalla panca accanto a Farl per far loro spazio. Budaera lo ringraziò silenziosamente, poi portò il suo corpo agile nel posto libero e si mise al lavoro.

Elminster si allontanò, scuotendo il boccale con piccoli movimenti circolari per sentire quanta birra fosse avanzata, e improvvisamente si irrigidì. Un esile dito lo stava accarezzando, più delicatamente che mai. Guardò in basso e trattenne il respiro. La chiamavano Shandathe «l’Ombra» per i suoi movimenti silenziosi. El e Farl erano convinti che fosse un’abile ladra o, se non era tale, si rivelava però esperta quanto loro nel nascondersi. I suoi grandi occhi neri si sollevarono oltre la fibbia della sua cintura e il giovane sentì il bisogno di deglutire, la gola improvvisamente secca.

«Monete da prestare, Eladar il Tenebroso? Hai… monete da spendere?» la sua voce era rauca, i suoi occhi affamati…

Elminster emise un lieve suono di gola e affondò la mano nella manica, il cui polsino era imbottito di pezzi d’oro. «Una o due», rispose con voce tremula.

Gli occhi della ragazza danzarono. «Una o due, mio signore? Sono sicura d’aver sentito tre o quattro… sì, quattro monete d’oro. Una per ogni piacere che ti darò». Gli leccò la mano, il tocco più vellutato mai sentito prima. El tremò.

Poi venne spostato rudemente di lato. Voltandosi, si trovò di fronte il freddo ghigno di una corpulenta guardia del corpo in uniforme. L’uomo sollevò dei guanti borchiati in segno d’avvertimento ed El vide un’altra guardia dietro di lui. In mezzo a loro, al centro di un anello di luce proveniente da una piccola lampada ad olio sostenuta sopra di lui su un palo incurvato da un servitore stanco, vi era un uomo basso, dallo sguardo imbronciato in abiti di seta arancione come il fuoco. I capelli rossicci ricadevano in riccioli molli sulle spalle della sua camicia di seta, aperta sul suo petto glabro, in mezzo al quale spiccava un pezzo d’oro grande quanto il pugno di un uomo: una testa di leone, dal ghigno freddo e interminabile, pendeva da una pesante catena d’oro. Anelli con numerose gemme e metalli luccicavano sulle sue dita, due o tre per dito, El notò con disgusto, e tutti veri.

Farl ed El si scambiarono alcuni sguardi oltre il viso scioccato di Budaera, poi l’uomo portò la sua barchetta, adornata con avorio traforato e lamine d’oro tanto da sembrare la polena di un barcone da divertimento molto decadente del Calishite, proprio davanti al viso di Shandathe.

«Troppo impegnata, mia cara?» biascicò, poi schioccò le dita. Il servo con la lampada gli porse un borsellino e l’uomo rovesciò pigramente una decina di pezzi d’oro lungo la veste di Shandathe. «O hai tempo per un uomo vero… con oro vero da spendere?»

«Quanti anni vuole trascorrere con me il mio signore?» sospirò in risposta Shandathe, sollevando le mani in segno di benvenuto. L’uomo abbozzò un ghigno a denti stretti e fece cenno alle sue guardie del corpo. Queste allungarono le loro brutali mani borchiate per liberare l’angolo, ignorando le improvvise grida di protesta delle altre signore.

Una afferrò le caviglie di Budaera e la trascinò via da Farl facendola cadere duramente per terra. La donna gridò dal dolore e Farl, alzandosi dalla panca, si sentì invaso da una rabbia improvvisa.

«Chi cavolo pensi di essere ad Hastarl?», domandò rivolgendosi all’uomo profumato. La guardia allungò una mano minacciosa verso di lui, e Farl schioccò le dita come aveva fatto prima il suo padrone, facendo apparire come per magia un pugnale scintillante. L’agitò davanti agli occhi della guardia in segno d’ammonimento, e l’uomo esitò.

«Mi chiamo Jansibal», affermò l’uomo con tono arrogante, aspettandosi evidentemente che tutti i presenti tremassero all’udirlo. «Jansibal Otharr».

Farl alzò le spalle. «Hai mai sentito un saggiatore di profumi da due soldi con quel nome, El?» domandò. Elminster agitò un pugnale sotto il naso della guardia che lo aveva fatto scansare e si liberò dalla sua presa.

«No», rispose tranquillamente, «ma un topo assomiglia a un altro». I presenti rimasero a bocca aperta, e nel locale calò il silenzio. La faccia del bellimbusto divenne scura per la collera, e le sue dita si strinsero attorno ai capelli di Shandathe, inginocchiata di fronte a lui. Poi il volto di Jansibal si contorse in un sorriso sbilenco e nauseante, ed Elminster rabbrividì lievemente. Quell’uomo intendeva ucciderli. Le guardie del corpo si avvicinarono.

«Ciò sembra la sorta di insulto a cui un uomo d’onore», la voce squillante che giunse da dietro sembrò voler sottolineare quell’ultima parola, e Jansibal, riconoscendola, impallidì, in preda alla furia, «può rispondere solo con un duello formale, non certo con una rissa che gli costerebbe almeno due guardie del corpo».

Jansibal e i suoi uomini si voltarono per trovare un altro bellimbusto, elegante quanto il primo, che li guardava con uno sguardo divertito negli occhi. Anch’egli indossava abiti di seta, con draghi striscianti ricamati sulle maniche a sbuffo. Aveva tra le mani un boccale ed era affiancato, da ambo le parti, da uomini in uniforme, con spade sottili, puntate contro i bastoni biforcuti delle guardie del corpo di Jansibal. Cadde il silenzio, e tutti gli avventori della taverna scura allungarono il collo per vedere ciò che stava accadendo.

«Buona sera, Jansibal», esclamò tranquillamente il nuovo venuto, sfregandosi un abbozzo di baffi con il bordo della caraffa. «Laryssa ti ha di nuovo respinto? Diaera non è rimasta soddisfatta della tua… ah, gloria rampante?»