Jansibal ringhiò. «Vattene Thelorn! Non potrai pavoneggiarti per sempre all’ombra di tuo padre!»
«La sua ombra è più lunga di quella del tuo, Janz. Io e i miei uomini siamo entrati per farci una bevuta… ma un puzzo spaventoso ci ha condotti in quest’angolo per vedere chi fosse morto. Devi davvero smettere di spruzzarti addosso quella roba, Janz. Attento che qualche cameriera non svuoti un vaso di piscia dalla finestra per cercare di eliminare la tua puzza!»
«La tua linguaccia ti porterà alla tomba, Selemban!», sbottò Jansibal. «Ora sparisci. O ti farò sfregiare il tuo bel visino da una delle mie guardie con una scheggia di vetro!»
«Oh, davvero, Jansibal. Quale dei tuoi due uomini? Ai miei sei piacerebbe tanto saperlo». Dietro di lui, sbucarono altri due uomini in uniforme, con spade scintillanti nel bagliore della piccola lampada dondolante che il servo tremante teneva ancora sollevata.
«Non accetterò un duello con tutte le tue guardie intorno», rispose Jansibal, rizzandosi impettito. «Conosco la tua inclinazione per le “disgrazie” casuali».
«Mentre sfregi coraggiosamente qualcuno con quella spada intinta nel sonnifero? Non sei stanco di questi inganni, Janz? Non ti senti un verme ogni volta che ricorri a tali sotterfugi? O fanno ormai tanto parte della tua natura che non te ne accorgi nemmeno più?»
«Chiudi la bocca, bugiardo», grugnì Jansibal, «altrimenti…»
«Altrimenti metterai in atto il tuo trucchetto, è così? E, senza dubbio, per sfogare la tua rabbia punzecchierai tutti i ragazzi e le ragazze della taverna. E che cosa farai loro quando cadranno addormentati? Li deruberai, naturalmente… hai delle abitudini tanto dispendiose, Janz… Ho notato che le donne hanno alzato i costi della tua via, Janz…»
Jansibal ringhiò senza pronunciare alcuna parola e si lanciò in avanti. Vi furono un lampo di luce e una nube di scintille quando le spade delle due guardie del corpo più vicine si scontrarono con uno scudo invisibile intorno a Otharr. Questi si fermò improvvisamente quando Thelorn Selemban, muovendosi apparentemente senza fretta, sguainò la spada e la puntò al naso di Jansibal. Alcune piccole luci bianche vorticarono lungo la lama quando il suo incantesimo penetrò lo scudo di Jansibal. Le rispettive guardie del corpo avanzarono minacciose.
«Fermatevi, uomini di Otharr e di Selemban, in nome del re!» esclamò improvvisamente una voce profonda dietro di loro, in direzione del bancone. Gli uomini in uniforme si arrestarono e i loro padroni si irrigidirono; la folla che si era formata intorno a loro si aprì come di fronte a una spada sguainata.
Un uomo dalla barba corta e brizzolata si fece avanti, con un boccale in mano. «Maestro di spada Adarbron», si presentò bruscamente. «Riferirò ai maghi qualsiasi morte o spargimento di sangue si verifichi in questo luogo, quando li vedrò questa notte… E comunicherò loro una vostra eventuale disobbedienza, signori miei. Adesso ordinate ai vostri uomini di uscire di qui, e tornatevene a casa, immediatamente!»
Rimase immobile, lo sguardo severo, e i due bellimbusti videro alcuni uomini alzarsi e portarsi alle sue spalle. Erano soldati in congedo, sicuramente, facce che non mascheravano del tutto la loro allegria. Se quei due spacconi avessero sfidato il maestro di spade, i soldati avrebbero fatto del loro meglio per uccidere o menomare «accidentalmente» entrambi, e nessuna delle guardie del corpo sarebbe uscita viva dalla taverna.
«I miei uomini, comunque, hanno già bevuto abbastanza», affermò tranquillamente Thelorn, ma una vena gli pulsava vicino alla mascella. Evitò di guardare in direzione di Otharr e, rivolgendosi quasi con gentilezza agli uomini intorno a lui esclamò: «Potete andare. Io vi seguirò dopo aver bevuto alla salute di questo eccellente e fedele ufficiale, che sostengo totalmente per l’onore di Athalantar».
«Per l’onore di Athalantar», gli fecero eco una cinquantina di uomini, agitando caraffe e boccali con poco entusiasmo. Impassibile, il maestro di spada osservò gli uomini uscire dal locale. Poi, ignorando il sorriso di Thelorn Selemban, lanciò uno sguardo freddo a Jansibal Otharr, ed esclamò: «Mio signore?»
Burberamente, senza rispondere, Jansibal fece un cenno ai suoi uomini. Poi si voltò nuovamente verso Shandathe, che per paura era ancora inginocchiata nella nicchia, e ribatté freddamente: «Signori miei, ero occupato prima che Selemban mi interrompesse. Se volete scusarmi…»
«Da quella parte», mormorò Elminster, indicandogli la direzione, «è molto più intimo. Sono sicuro che le persone che sedevano qui prima che i vostri scagnozzi li facessero sgombrare, vorrebbero riprendere quello che stavano facendo prima della vostra interruzione, mio signore».
Il bellimbusto ringhiò, promettendogli di ucciderlo con gli occhi, ma il maestro di spada esclamò fermamente: «Segui il consiglio del giovane, Otharr. Sta solo cercando di salvare il buon nome della tua famiglia… e di ricordarti le semplici basi della cortesia».
Otharr non si guardò in giro, ma le sue spalle si irrigidirono, si voltò senza dire parola, affondò le dita nei capelli di Shandathe, che emise un grido e si mise a camminare in ginocchio per evitare di essere trascinata.
Elminster fece un passo avanti, ma il nobile si era già fermato per aprire le tende. «Una luce qui dentro», ordinò bruscamente. Una giovane nell’alcova tolse il panno da una lampada, accese lo stoppino e scomparve frettolosamente.
La cabina privata, normalmente, costava sei falconi d’oro, ma davanti alla furia del nobile e allo sguardo attento del maestro di spada, la giovane non si fermò a discutere il prezzo… e le guardie del corpo che dovevano difendere lei e la sua richiesta restarono vicino ai muri e rimasero in silenzio. Jansibal Otharr osservò il letto imbottito e drappeggiato che quasi riempiva completamente l’alcova, annuì soddisfatto e burberamente indicò a Shandathe il letto. Le tende si chiusero bruscamente dietro a loro.
Farl allungò lentamente una mano sul muro e oscurò la lampada schiacciando in giù lo stoppino. Incrociò gli occhi di una donna oltre le panche, e lei ricambiò lo sguardo, facendo ricadere quella parte di taverna nuovamente nella semioscurità.
Il maestro di spada si voltò, tenendo cautamente Thelorn Selemban al suo fianco. Insieme tornarono al banco.
Farl e El si scambiarono occhiate complici. Con una mano Farl delineò la protuberanza di un seno immaginario, indicò la tenda, poi se stesso, con il pollice. El sbatté le palpebre lentamente, solo una volta, poi indicò la latrina e si toccò il petto; l’amico annuì ed Elminster attraversò la stanza per andare dove poteva liberarsi. In caso di lotte o litigi si sarebbe sentito più a proprio agio.
Era così prima che i maghi arrivassero ad Hastarl? Scivolando e facendosi largo a spallate tra gli avventori ubriachi fino a raggiungere la latrina, El si domandò come era stata quella stessa taverna quando suo nonno sedeva sul Trono del Cervo. Tutti gli uomini potenti erano tanto crudeli come i due nobili che vi avevano quasi ingaggiato un duello? E quanto erano più rispettabili, o più malvagi, di Farl ed Eladar il Tenebroso, due ladri giovani e impudenti?
Chi è più ben visto dagli dei? Un mago, un nobile lezioso, o un ladro? La scelta è dura; i primi due hanno più potere per fare il male, e il ladro almeno è più onesto e chiaro in quello che fa… Hmm… forse non sarebbe stato sicuro porre domande simili a un sacerdote o a un saggio di Hastarl. Nemmeno il fetido canale davanti a lui aveva una risposta pronta e sarebbe stato meglio uscire di lì, prima che Farl facesse qualcosa di avventato. Voleva sapere se stavano per essere ricercati da tutti i soldati della città…
Quando tornò camminando lungo il muro, trovò Farl seduto vicino alla tenda. Questi incrociò lo sguardo di El e poi scivolò silenziosamente dietro di essa, mantenendosi accucciato. El si sedette, notò che la coppia accanto a lui era ben lungi dal notare ciò che facevano gli altri e lo seguì.