I due amici giacevano immobili, fianco a fianco, sul pavimento coperto da un tappeto scuro, mentre i gemiti nell’alcova fiocamente illuminata crescevano e diventavano più incalzanti. Farl avanzò strisciando lentamente mentre i versi amorosi raggiungevano il culmine, e sollevò silenziosamente una mano per afferrare il bicchiere di vino, un omaggio della casa a chi affittava l’alcova, situato nel suo solito posto. Poi, con abile gesto gettò il suo contenuto sullo stoppino della lampada.
L’alcova precipitò in un’improvvisa, tremebonda oscurità. Elminster si alzò dal tappeto come un serpente vendicativo, e, da dietro, mise una mano sulla bocca del bellimbusto, e con l’altra tentò di tramortirlo.
Le mani di Farl erano già sulla bocca dell’Ombra. La ragazza si dimenò e gorgogliò sotto di lui, cercando di prendere fiato per urlare, ma i suoi occhi si spalancarono quando riconobbe l’uomo che stava su di lei e smise di lottare. Elminster vide una delle sue mani sottili smettere di graffiare e sollevarsi per accarezzare la spalla di Farl. Immediatamente dovette tornare a occuparsi del signorotto sotto di lui.
Jansibal era oleoso e profumato, scivoloso tra le mani di Elminster. Non aveva conosciuto tempi duri e ardue battaglie come il giovane di Heldon, ma era più basso e più pesante e la furia alimentava la sua forza. Si gettò di lato, trascinando Elminster con sé e cercò di mordere le dita che lo soffocavano.
Elminster tirò indietro un braccio e, preso il pugnale, colpì duramente la mandibola dell’uomo con l’impugnatura. La testa di Jansibal si spostò di lato e dalla bocca gli uscì sangue misto a saliva. Il bellimbusto emise un lieve grugnito, scosse il capo e si accasciò di traverso sul letto, privo di sensi. Un occhio aperto fissava ciecamente Elminster; soddisfatto, il ragazzo si guardò alle spalle per assicurarsi che nessuno avesse notato l’improvviso buio dietro la tenda o sentito i rumori poco usuali di una notte d’amore. La gente non aveva smesso di fare baccano e i lamenti lievi e improvvisi indicavano che Farl stava pienamente approfittando del generoso pagamento del nobile a Shandathe. Le monete d’oro si erano sparpagliate sul pavimento quando Otharr le aveva strappato il corpetto; El le ignorò per chinarsi sulla coppia intrecciata e staccare delicatamente un orecchino da dove i capelli dell’Ombra si arricciavano intorno all’orecchio.
Shandathe staccò le labbra da quelle di Farl per un tempo sufficiente a sussurrargli un brusco, «Cosa…?»
Elminster si portò un dito alle labbra e mormorò: «Per adescare l’altro; lo rivedrai, te lo prometto».
Tenendolo delicatamente nell’incavo della mano, il giovane uscì dalla tenda senza farsi notare, e si fece largo senza fretta attraverso il locale. Come si era augurato, il maestro di spada e Thelorn erano al bancone, fianco a fianco.
«Senz’altro riconoscerete», stava dicendo l’ufficiale con tono stanco, «che i figli dei maghi devono essere d’esempio affinché la gente li senta vicini e in mezzo a loro, non distanti. La magia e quelli che la esercitano sono molto temuti; se il regno deve essere forte, allora…»
Si interruppe poiché Elminster si intrufolò fra loro, mostrò l’orecchino e mormorò: «Chiedo perdono per l’interruzione, signori, ma mi hanno mandato per una missione d’amore. La signora che Lord Otharr era così ansioso di conoscere, confessa di essere in qualche modo delusa dalla sua… ah, breve prestazione, e spera che un altro uomo importante, come voi, mio signore, sia fatto di materiale più rigido. Mi ha raccomandato di dirvi che è rimasta colpita dalle vostre parole e dal vostro portamento, e che vorrebbe conoscere meglio entrambi».
Thelorn sollevò gli occhi verso Elminster e sogghignò improvvisamente; il maestro di spada scosse il capo, fece roteare gli occhi e se ne andò. Lo sguardo del giovane nobile attraversò la stanza e si posò sulla tenda. Elminster annuì e si diresse a grandi passi verso l’alcova, facendogli strada tra la folla.
Quando raggiunsero la tenda, El lanciò uno sguardo intorno a essa e la tenne leggermente scostata; Thelorn sbirciò dentro.
Un cumulo di vestiti e di lenzuola giaceva lì vicino; più oltre, un moccolo di candela scintillava nell’ombelico della ragazza distesa sul letto, nuda. Aveva il viso semicoperto da un lembo di seta e sorrideva attraverso i capelli lunghi che le velavano la bocca. Quando vide l’uomo incrociò le braccia dietro la testa. «Entrate, mettetevi a vostro agio», mormorò, «mio signore».
Thelorn fece un ampio sorriso e un passo avanti. Quando la tenda si richiuse, Elminster avanzò dietro al nobile, sollevò il manico del suo fedele pugnale e colpì, facendo un saltello per assestare meglio il colpo.
Thelorn si accasciò sull’estremità del letto come un alberello tagliato; Farl saltò fuori dal suo nascondiglio sotto un mucchio di cuscini per spostare i piedi di Shandathe prima che l’uomo vi cadesse sopra.
I due amici si scambiarono un sorriso e si misero rapidamente al lavoro. Evitarono di prendere gli anelli magici, diedero a Shandathe i soldi che le spettavano: glieli lanciarono mentre lei si vestiva in fretta e vennero ricompensati con un bacio appassionato. Era bella come El se l’era immaginata; un’altra notte, magari.
Spogliarono velocemente Selemban, estrassero il corpo incosciente di Jansibal da sotto i drappeggi, e sistemarono i due signorotti nudi in un abbraccio perché gli altri li trovassero. Sostenendo l’Ombra tra di loro come se fosse svenuta, le braccia attorno alle sue spalle, l’aiutarono ad attraversare la stanza, diretti verso l’uscita accanto alla latrina.
Da un angolo scuro, spuntò uno scippatore, ma non appena vide lo sguardo ammonitore di Farl e il pugnale di El, indietreggiò nuovamente. Senza parlare il trio si diresse a nord, verso la casa di Hannibur.
Il vecchio fornaio brizzolato viveva da solo sopra la sua bottega. Il suo volto stagionato, il piede di legno, la lingua aspra e la naturale avarizia lo rendevano poco attraente per le donne di Hastarl. Spesso lanciava i resti di pane invenduto e secco, e talora anche intere pagnotte, fuori dalla porta posteriore ai monelli affamati e fiduciosi che giocavano nella strada. Quella notte il suo russare risuonava debolmente nel vicolo attraverso le imposte chiuse della camera da letto.
«Dove stiamo andando, signori miei?» Shandathe era ancora divertita per lo scherzo, e grata per l’oro extra, ma nella sua voce c’era una nota d’allarme. Aveva sentito delle voci sui suoi due giovani accompagnatori.
«Ti dobbiamo nascondere prima che quelle due bestie si sveglino e mandino le guardie del corpo a prendersi ciò che gli hai negato… ed anche la tua pelle», le sussurrò Farl all’orecchio, abbracciandola.
«Sì, ma dove?», domandò l’Ombra, mettendogli le braccia al collo. Farl indicò la finestra sopra di loro dove si sentiva russare.
Shandathe lo fissò. «Sei impazzito?» sibilò con rabbia improvvisa. «Se pensi che abbia intenz…»
Le mani di Farl scivolarono proprio nei punti giusti quando pressò le sue labbra contro quelle della ragazza. Lei lottò rabbiosamente per un momento, riuscendo a pronunciare mormorii di protesta… e poi si afflosciò. Farl prontamente la passò a Elminster. «Ecco», commentò soddisfatto. Si voltò, e in un attimo eresse una piramide di cassette. Elminster fissò l’amico e poi la ragazza tra le sue braccia. Era morbida e bella, anche se un po’ pesante, e stava già iniziando a muoversi; in un attimo o due, avrebbe ripreso conoscenza… e per quel poco che la conosceva, sapeva che si sarebbe infuriata non poco. Si guardò intorno con circospezione in cerca di un luogo in cui posarla.
«È la notte fortunata di Hannibun», esclamò Farl con un sorriso, mentre scendeva velocemente dalla piramide di cassette. In alto, le imposte erano aperte ora e il russare si era fatto più forte. Indicò Elminster e Shandathe, poi ancora la finestra.
«Naturalmente», El mormorò in risposta, arrampicandosi su per la piramide con l’Ombra a peso morto sulle spalle. Il suo profumo delicato gli solleticava le narici e, ansimando, aggiunse: «Più fortunato di me, questo è certo».