Arrivato in cima, scavalcò cautamente il davanzale della finestra, mentre Farl teneva ferme braccia e gambe della ragazza per evitare che sbattessero da qualche parte facendo rumore. Shandathe iniziò a muoversi mentre percorrevano il pavimento di legno fino al letto di Hannibur.
Tolsero le coperte di lana rattoppate e la deposero cautamente al fianco del fornaio dormiente. Poi entrambi si allontanarono non riuscendo più a soffocare le risate: il vecchio indossava un abito di taglio audace, ornato di gale, da ragazza impudica. Polpacci pelosi e venati e ginocchia ossute sporgevano dalla seta pura.
El si morse il labbro e si portò barcollante verso la finestra, scuotendo le spalle silenziosamente. Farl riuscì a dominarsi e delicatamente scostò gli indumenti dei due, che si agitarono lievemente. Accarezzò i due corpi e raggiunse la finestra in punta di piedi. El era già a metà piramide.
I due ladri si sorrisero con aria complice e tolsero la cassetta che sosteneva tutte le altre… e la piramide cadde con un baccano che avrebbe svegliato anche un morto. Poi corsero a nascondersi dietro un angolo.
Quando si fermarono a prendere fiato in un cortile a numerosi isolati di distanza, Farl esclamò: «Whew! Una serata fruttuosa. Peccato che non abbia avuto il tempo di svuotare il boccale prima che quel culo da ippopotamo ti infastidisse».
Elminster sogghignò e gli porse l’orecchino di Shandathe. Farl lo guardò e sorrise. «Bene, una ricompensa per il duro lavoro».
Poi, con un sorriso ancora più ampio, gli mise nell’altra mano tre pesanti anelli della catena d’oro di uno dei due signorotti. «L’ho aperta e accorciata di qualche anello», affermò innocentemente. «Il leone era troppo in basso per fare il giusto effetto».
Farl scoppiò in una risata divertita e si abbracciarono, ridacchiando finché Farl non adocchiò un’insegna nei paraggi. «Che ne dici di un boccale?», ansimò.
«Cosa?» gli occhi grigio-blu di Elminster guizzarono pericolosamente. «Ancora?»
Da quella notte Selûne era sorta tre volte sopra le alte torri di Athalgard, e le chiacchiere sui due giovani e sui figli molto intimi dei maghi si erano ormai diffuse in tutta la città. Le guardie del corpo di entrambi si aggiravano furtivamente per le taverne delle zone più povere di Hastarl, cercando ovviamente un giovane dal naso aquilino e dai capelli neri e il suo amico dalla lingua sciolta… pertanto Eladar e Farl avevano ritenuto prudente prendersi una breve vacanza finché i segugi non fossero stati derubati da qualche ladro di strada troppo disperato per essere prudente, e non avessero in tal modo diretto le loro ricerche altrove.
Essere esposti alla vista e agli archi di guardie annoiate sugli spalti merlati di Athalgard faceva sentire entrambi a disagio, perciò avevano iniziato a chiacchierare, rilassarsi e organizzare colpi nell’isolamento del cimitero cintato, dall’altra parte della città: un luogo abbandonato, ricoperto di vegetazione, dove le volte di pietra delle tombe di famiglie benestanti iniziavano a frantumarsi e a crollare tra gli alberi rachitici che vi crescevano in mezzo, ramificandosi in tutte le direzioni.
Personaggi altezzosi e ladri arricchiti, finivano tutti lì… e i loro vanti, le loro trame e le loro monete d’oro non consentivano loro che di comprare pietre tombali sgretolate, incise di bugie sulla loro grandezza e sul loro buon carattere. Magra consolazione, pensò El, per le ossa in rovina giacenti sotto di loro.
All’ombra tranquilla degli alberi, i due amici stavano sdraiati sulla superficie inclinata della tomba di Ansildabar sapendo, senza tuttavia preoccuparsene, che le ossa dell’esploratore, un tempo famoso, giacevano erose ed esposte nel sepolcro saccheggiato. Si passavano un otre di vino, guardando le ombre gettate dal sole che si insinuavano tra tombe sbilenche e mausolei collassati, preannunciando il crepuscolo.
«Stavo pensando», esclamò improvvisamente Farl, allungando la mano per afferrare l’otre.
«Ahi, brutto segno», ribatté Elminster affabilmente, porgendogli l’otre di pelle.
«Hah-ha», rispose Farl, «tra le varie orge selvagge, intendo».
«Ah, mi chiedevo proprio che cosa fossero quelle pause momentanee», commentò Elminster, allungando nuovamente la mano. Farl, che non aveva ancora bevuto, lo guardò offeso facendogli gesto di attendere, poi bevve a lungo. Sospirando di soddisfazione, si pulì la bocca e gli porse il contenitore.
«Ti ricordi quanto mi chiedeva Budaera per una notte d’amore?»
Elminster sogghignò. «Sì. Un prezzo basso… solo per te».
Farl annuì. «Esattamente. Quelle ragazze fanno un sacco di soldi… sarebbe facile, stavo pensando, scoprire dove alcune di loro nascondono il proprio bottino… e servirci mentre dormono o sono indaffarate nelle taverne e nei locali dei ricchi mercanti.»
«No», affermò deciso El, «io non ci sto. Se tosi quelle pecore, lo farai da solo».
Farl lo guardò: «Bene, considera il piano abbandonato. Ma adesso dimmi perché».
Elminster iniziò la discussione: «Non ruberò a chi riesce a mala pena a mangiare, per non parlare di tasse e risparmi».
«Principi?», Farl si impadronì dell’otre quasi vuoto.
«Ne ho sempre avuti. Lo sai». El gli fece segno di tenersi il vino e l’amico felicemente lo terminò.
«Pensavo che volessi uccidere tutti i maghi di Athalantar».
Elminster annuì. «Tutti i signori maghi. Sì, ho fatto un giuramento… lentamente, con i piedi di piombo, mi appresto a compierlo», rispose, fissando oltre il fiume dov’era visibile la pertica di una barca lontana, che si dirigeva verso i moli. «Tuttavia, qualche volta mi domando che cos’altro dovrei fare, come dovrebbe essere la vita».
«Feste con cinghiale arrosto tutte le notti», asserì Farl. «Essere tanto ricco da potermelo permettere e non dover più sentire la lama di un coltello addosso o nascondermi nell’immondizia con le guardie che tastano con le loro alabarde».
«Nient’altro?» domandò El. «Niente… di più elevato?»
«A che pro?», domandò Farl con una nota di disprezzo. «Esistono i sacerdoti per quelle cose, e mi sembra che in Faerûn ce ne siano a sufficienza, e la mia pancia vuota non si stanca mai di dirmi ciò a cui dovrei aspirare». Contento che l’ultima goccia di vino fosse caduta nella sua bocca aperta, abbassò l’otre, l’arrotolò e l’infilò nella cintura. Poi guardò di traverso l’amico.
Eladar il Tenebroso lo fissava accigliato. «Quali dei dovrei venerare?»
Farl scrollò le spalle, sconcertato, e allargò le mani. «Un uomo deve scoprirlo da solo… dovrebbe. Solo gli sciocchi obbediscono al primo sacerdote che incontrano».
El parve divertito. «Che cosa fanno, allora, i sacerdoti?»
Farl alzò le spalle. «Cantano, sbraitano e uccidono chi venera altri dei».
Con il medesimo tono grave Elminster domandò: «A cosa servono allora le fedi?»
Farl sollevò esageratamente le spalle, assumendo un’espressione perplessa, ma gli occhi seri di El rimasero fissi nei suoi e, dopo un momento di silenzio, Farl rispose lentamente: «La gente deve sempre credere che, da qualche parte, ci sia qualcosa di meglio di ciò che ha ora, e che potrebbe un giorno ottenerlo. All’uomo piace appartenere a qualcosa, far parte di un gruppo. Ecco perché la gente frequenta club ed entra nelle congregazioni».
Eladar lo guardò. «E poi si accoltellano alle spalle nei vicoli bui. Per questo si sentono superiori?»
Farl sogghignò: «Esattamente». Guardò una barca fermarsi contro un molo distante e proseguì con indifferenza. «Se continueremo ad affrontare insieme la morte, notte dopo notte, sarebbe probabilmente opportuno che conoscessi questo tuo codice morale. So che al ladrocinio preferisci fare la guardia alle botti, scaricare le barche, e portare pacchi, ma a chi non piacerebbe?»
«Ai pazzi che amano il brivido», rispose seccamente El.