Attese uno scroscio di risa e, quando l’udì, si calò lungo la corda sottile sul balcone sottostante. Per tutto il tragitto sarebbe stato chiaramente visibile a chiunque si fosse premurato di guardare in alto; sudava abbondantemente mentre i suoi stivali si avvicinavano al pavimento del balcone, e quando finalmente toccò terra, poté acquattarsi dietro il parapetto, completamente nascosto alla vista dei commensali. Non si udì alcun grido e, passato qualche secondo, si rilassò sufficientemente da potersi guardare attentamente intorno. Il balcone era sporco e in disuso, pertanto cercò di non sollevare polvere, onde evitare di starnutire o di lasciare tracce che potessero tradirlo.
Poi rivolse la sua attenzione alle chiacchiere degli individui sottostanti, e dopo aver ascoltato poche parole si irrigidì per la paura e la crescente eccitazione. Si portò spontaneamente una mano al petto, dove teneva nascosta la Spada del Leone.
«Mi sono giunte voci, Havilyn, che dubiti dei nostri poteri», affermò una voce fredda e arrogante, creando improvvisamente nella stanza un silenzio carico di tensione, «che ci ritieni capaci solo di spaventare la gente comune affinché obbedisca alla Corona del Cervo, che non saremmo veri maghi e non oseremmo mettere piede fuori dal nostro regno… che i nostri incantesimi sarebbero appariscenti ma servirebbero a ben poco contro i ladri e i concorrenti della notte, lasciando indifesi i nostri investimenti comuni.»
«Non ho mai detto nulla del genere».
«Forse no, ma il tuo tono ora mi dà conferma che credi a quelle voci. No, riponi la tua spada, non intendo farti del male questa notte. Sarebbe inopportuno uccidere un uomo nella sua casa, e da sciocchi sarebbe distruggere una buona alleanza e un sostenitore ricco. Voglio solo che guardi una piccola dimostrazione».
«Che sorta di magia hai intenzione di fare, Hawklyn?», chiese Havilyn con tono circospetto. «Ti avverto che non tutti qui sono protetti da amuleti e scudi come lo sono io – e hanno certo meno ragioni di amarti di quante ne abbia io. Non sarebbe saggio giungere alle armi a questa tavola».
«Non ho piani tanto violenti. Desidero semplicemente mostrarti l’efficacia della mia magia, gettando per te un incantesimo che ho perfezionato recentemente. Un incantesimo che può piegare la volontà di ogni mortale di cui pronunci il nome».
«Di ogni mortale?»
«Di tutti i mortali viventi. Ma prima che nomini vecchi nemici su cui desideri mettere le mani, voglio mostrarti il vero potere della magia che esercitiamo qui ad Hastarl… quella stessa magia che hai sminuito parlando di semplici trucchi e sfere di fuoco, adatti solo a intimorire la gente comune».
Si udì un rumore strano, acuto, quasi metallico. «Prendi questa catena», ordinò la voce fredda di Neldryn Hawklyn, Mago Reale di Athalantar. «Appoggiala per terra e allontanati; molte grazie». Ci fu un tintinnio e poi si udì uno scalpitio leggero e rapido di piedi che indietreggiavano.
Di nuovo il tintinnio e, improvvisamente, dei riverberi di fiamma si misero a danzare sul muro sopra a Elminster. Lui li osservò attentamente e vide che la catena trasparente si sollevava dal pavimento e si attorcigliava, formando lentamente una grande spirale sospesa nell’aria.
Hawklyn parlò nuovamente con la sua voce priva di calore. «Questa è la Catena di Cristallo Vincolante, forgiata a Netheril molto tempo fa. Elfi, gnomi e uomini, tutti la cercarono e, non trovandola, pensarono che fosse andata perduta per sempre. Io l’ho ritrovata; osservate la catena che può imprigionare qualsiasi mago e impedire ogni suo incantesimo. È meravigliosa, vero?»
Si udirono mormorii sommessi e il più potente dei signori della magia continuò: «Chi è il mago più potente di tutta Faerûn, Havilyn?»
«Vuoi che ti risponda che sei tu, suppongo… ma in verità, non lo so. Sei tu l’esperto in magia, non io… quel Mago Pazzo di cui ci è giunta voce, credo…»
«No, pensa più in grande. Non ricordi nulla degli insegnamenti di Mystra?»
«Lei? Hai intenzione di incatenare una dea?»
«No; un mortale, ho detto, ed è un mortale a cui sto pensando».
«Ora basta con i misteri, parlate», si intromise una voce aspra. «C’è un tempo per le prove di abilità e un tempo per parlar chiaro – e credo sia giunto il momento di farlo».
«Dubiti dei miei poteri?»
«No, signor Mago, credo ne abbiate da vendere. Vorrei solo che la smetteste di esibirvi in giochi di parole arroganti e vi comportaste più come un grande mago che come un ragazzino che tenta di impressionare con il suo talento».
Tali parole terminarono con un grido improvviso di disgusto, a cui seguì un mormorio. Elminster arrischiò una breve occhiata sopra il parapetto, ma subito si riabbassò. Uno dei commensali stava guardando con orrore il suo piatto, dal quale una testa umana lo fissava, senza vederlo.
«Quella è la testa dell’ultimo individuo che ha tentato di rubare dal vostro magazzino, decapitata da una lama magica da me evocata. Ecco, ora non c’è più. Goditi pure il resto della cena, Nalith; era solo un’illusione».
«Penso anch’io che dovresti parlare chiaro, Hawklyn», affermò un’altra voce, più anziana della prima. «Basta con i giochetti».
«Va bene», rispose il mago reale. «Allora guardate, e rimanete in silenzio».
Mormorò parole confuse, poi vi fu un lampo di luce, e si udì un suono stridulo di cristallo infranto.
«Di’ a tutti chi sei». Vi era una nota di freddo trionfo nella voce di Hawklyn.
«Io sono l’Alchimista», rispose una nuova voce, calma ma tremolante, vecchia di anni. I commensali rimasero senza fiato, ed Elminster non poté trattenersi. Quello era il mago che indossava il mantello del potere di Mystra. Il più grande di tutti i maghi. Doveva assolutamente guardare. Lentamente e con molta cautela, sollevò la testa per vedere al di là del parapetto e si irrigidì, colto da un pensiero improvviso: se i maghi controllavano la magia più potente di tutta Faerûn, come poteva sperare di sconfiggerli?
Sotto di lui si estendeva il lungo tavolo del banchetto; tutti gli uomini attorno a esso stavano fissando una figura esile e barbuta con indosso una tunica che se ne stava, avvolta in un’aurea, in posizione eretta, a poca distanza da loro. La spirale formata dalla catena, vuota fino a quel momento, ora girava lentamente attorno a lui, e piccole scintille luminose si rincorrevano tra le sue spire.
«Sai dove ti trovi?», gli domandò freddamente il mago reale.
«Non conosco questa stanza – ma sicuramente in una dimora sontuosa. Mi trovo ad Hastarl, nel Regno del Cervo».
«E che cosa ti avvolge?», chiese Hawklyn protendendosi mentre pronunciava quelle parole impazienti. La luce delle lampade si rifletté sulle rune magiche adorne di gemme, che costellavano le sue vesti nere, ed esse brillarono, catturando gli sguardi dei presenti. Aveva un aspetto sparuto ma pericoloso e, allargando le sue dita lunghe sul tavolo davanti a sé, si alzò lievemente per sfidare il mago nella morsa della catena.
L’Alchimista guardò l’oggetto di cristallo con moderata curiosità, come un uomo che osserva la merce dopo essere entrato pigramente in una bottega dall’aspetto insignificante. Allungò un braccio per toccarlo, ignorando l’improvviso crepitio di scintille incandescenti attorno alla sua mano rugosa, e dopo averla picchiettata pensosamente rispose: «Sembra essere la Catena di Cristallo Vincolante, forgiata molto tempo fa a Netheril, e creduta persa. È proprio quella o si tratta di una catena nuova creata da te?»
«Sono io che faccio le domande», comandò imperiosamente Neldryn, «tu devi solo rispondere, altrimenti userò questa balestra, e Faerûn avrà un nuovo Alchimista». Mentre pronunciava tali parole, una balestra pronta a scoccare il dardo apparve fluttuando da dietro una tenda. I mercanti si scambiarono sguardi stupiti.