Lasciando i cadaveri sospesi in un macabro schieramento, l’Alchimista si voltò a guardare il giovane rannicchiato che aveva osservato tutta la scena dall’angolo del balcone. Gli occhi del vecchio scintillarono pericolosamente quando incontrarono lo sguardo intimorito di Elminster. «Sei un mago, ragazzo, o un servo del palazzo?»
«Nessuno dei due». Dopo aver distolto a fatica lo sguardo, El saltò giù dal balcone, atterrando duramente sulle pietre insanguinate. Il vecchio mago socchiuse gli occhi e sollevò un dito, al che una parete di fiamme circondò il ladro, che subito si voltò, impugnando una vecchia spada affilata.
La paura alimentò la sua rabbia, e con voce tremante si rivolse al mago sospeso sopra di lui. «Non riuscite a vedere che non sono un mago sputaincantesimi? Non siete migliore di questi stregoni crudeli che governano Athalantar?» Fece ondeggiare la spada verso le fiamme che lo circondavano. «Oppure tutti coloro che esercitano la magia sono tanto presi dal loro potere che diventano tiranni, che si divertono a mutilare, distruggere e incutere paura tra la gente onesta?»
«Non stai con loro?», domandò l’Alchimista, indicando con la mano i corpi silenziosamente sospesi attorno a lui.
«Con loro?», sbottò El. «Io li combatto ogniqualvolta ne ho l’occasione… e spero un giorno di riuscire a distruggerli tutti, affinché gli uomini possano vivere nuovamente liberi e felici nel regno di Athalantar!» Il suo volto si contorse per un pensiero improvviso. «Parlo come un menestrello, vero?», aggiunse con più calma.
L’Alchimista lo osservò pensieroso. «Pensi bene, ragazzo», affermò tranquillamente, «se sopravvivi ai pericoli che comporta parlare in tal modo». Un sorriso improvviso gli illuminò il volto, ed Elminster non poté non ricambiarlo.
Nascosti alla vista di entrambi, un paio di occhi apparvero in un turbinio di puntini luminosi, tra le fiamme che guizzavano intorno alla carcassa rovesciata del tavolo del banchetto. Guardarono il ragazzo e il mago fluttuante, e si fecero pensierosi.
«Potete realmente vedere ciò che gli uomini sono e pensano?», chiese Elminster, pronunciando goffamente la domanda.
«No», rispose l’Alchimista semplicemente. I suoi vecchi occhi castani si fissarono in quelli grigio-azzurri, impassibili, del giovane, mentre il muro di fiamme scoppiettanti si spegneva senza lasciare traccia.
El diede un’occhiata per vedere che cosa fosse accaduto, ma non accennò ad alcun movimento di fuga. In piedi sul pavimento cosparso di frantumi di roccia e di macchie di sangue, volse nuovamente lo sguardo al vecchio mago. «Avete intenzione di farmi esplodere o di lasciarmi andare?»
«Non ho alcun interesse nel distruggere gli individui onesti – tanto meno nell’immischiarmi negli affari di chi non ha nulla a che fare con la magia. Vedo che hai uno sguardo da mago, ragazzo… perché non ti dedichi alla stregoneria?»
Elminster gli lanciò un’occhiata cupa e, con voce sprezzante, sbottò: «Quelle cose non mi interessano, non voglio diventare come quelli che esercitano la magia. Ogni volta che guardo i maghi, vedo serpenti che utilizzano i loro incantesimi per spaventare il popolo – come una frusta che costringe all’obbedienza. Uomini senza cuore, arroganti, che possono togliere la vita», guardò con durezza la distruzione tutt’intorno a lui, al che, gli occhi che osservavano dalle fiamme si abbassarono per non essere notati, «o distruggere una sala in un momento, senza curarsi di ciò che fanno, solo per soddisfare i loro capricci. Lasciatemi fuori da queste storie, signore».
Poi, guardando il volto calmo del vecchio, El fu colto da un’improvvisa paura. Le sue parole erano state forti, e l’Alchimista, dopotutto, era un mago come gli altri. I suoi occhi miti, tuttavia, sembrarono… approvare?
«Coloro che non amano il potere diventano i maghi migliori», rispose l’Alchimista. Poi i suoi occhi sembrarono penetrare profondamente nell’anima del ragazzo, alla ricerca di qualche cosa, e, con una nota di tristezza nella voce, aggiunse, «e coloro che vivono rubando, quasi sempre finiscono per derubare se stessi della vita».
«Rubare non mi arreca alcun piacere», ribatté El. «Lo faccio per mangiare e per combattere i maghi ogniqualvolta mi si presenta l’occasione».
Il vecchio annuì. «È per questo che dovresti ascoltarmi», esclamò. «Altrimenti non avrei sprecato il fiato».
Elminster lo guardò pensieroso, poi si irrigidì all’udire il rumore improvviso e minaccioso di passi rapidi e pesanti echeggiare nel corridoio. Poteva trattarsi di un’unica cosa: soldati di Athalantar.
«Mettetevi in salvo!» sbraitò, senza soffermarsi a pensare quanto fosse ridicolo mettere in guardia l’arcimago più potente al mondo, e si precipitò verso il passaggio a volta più vicino, che non risuonasse di passi.
Gli mancavano pochi passi per raggiungere il corridoio, quando uomini con alabarde e balestre irruppero nella sala, e il mercante ansimante che li guidava puntò un dito verso il mago fluttuante e gridò: «Laggiù!»
Nel tempo in cui la raffica di dardi e le fiamme evocate frettolosamente squarciarono l’aria improvvisamente vuota, sia il ragazzo in fuga sia gli occhi tra le fiamme, che lambivano ciò che rimaneva del tavolo di Havilyn, una volta maestoso, erano scomparsi. Un attimo dopo, i cadaveri fluttuanti si schiantarono sul pavimento di pietra con tonfi sordi, pesanti. I soldati impalliditi indietreggiarono, invocando a gran voce Tempus, affinché li proteggesse, e Tyche, perché li aiutasse.
Elminster imboccò una porta che usciva dalla cucina, ma si trovò in una dispensa senza uscita, allora ritornò freneticamente sui suoi passi e prese l’altra porta, più piccola, pregando silenziosamente Tyche che non si trattasse di un altro vicolo cieco, quando improvvisamente udì la voce furiosa di Havilyn gridare: «Trovate quel ragazzo! Non fa parte della mia servitù!»
Imprecando ad alta voce, Elminster aprì la porta. Sì, proprio da lì erano fuggiti i cuochi terrorizzati. Fece le scale a due gradini per volta finché, su un pianerottolo, numerose alabarde caddero una sopra l’altra davanti a lui, facendo scintille. Soldati rabbiosi tentarono di liberarle dalla ringhiera delle scale e di puntarle verso il basso, ma El aveva già visto un terzo soldato sbarrargli il passaggio soprastante con una balestra carica. Si voltò, scese le scale con un solo balzo, atterrò duramente sulle anche ed entrò rapidamente in una nicchia puzzolente.
Un secondo più tardi, un dardo di balestra sfiorò il muro vicino e andò a finire nelle cucine. Seguì una seconda freccia, che si conficcò nella gola del soldato più avanzato che correva su per le scale.
Elminster non perse tempo a guardare l’uomo gorgogliare e cadere, e scrutò intorno a sé, nella nicchia scura, alla ricerca della porta del retrocucina. Eccola! La spalancò con uno strattone e scivolò nella stanza fetida, in mezzo a un labirinto di assi inclinate, sulle quali veniva lavata la carne, e di secchi pieni di frattaglie, nella speranza che la casa fosse abbastanza vecchia da avere… sì!
El afferrò il batacchio e sollevò la botola del pozzo dei rifiuti. Poteva udire le acque del Run scorrere nell’oscurità sotto di lui, mentre si calava di piedi per raggiungerle.
Il tuffo fu più alto di quanto non aveva pensato, e l’acqua era gelida. Toccò per un attimo, con i talloni, un fondo lurido, dopodiché iniziò a dimenarsi per risalire in superficie.
Cercando di ignorare i grumi viscidi che galleggiavano con lui nell’oscurità dell’acqua, riemerse ansimando, giusto in tempo per udire un dardo colpire la botola da qualche parte sopra e dietro di lui, seguito dal grido, «le fogne! È sceso di sotto!»
Elminster nuotò nel fiume impetuoso, cercando di non fare rumore. Conoscendo l’avidità dei soldati, temeva che si sarebbero lanciati dietro di lui, o quantomeno, che avrebbero cercato di colpirlo illuminando il tunnel con le torce. Il gelo dell’acqua si insinuò nel suo corpo mentre la corrente lo trasportava lontano.