Elminster con lo sguardo suo malgrado inchiodato sentì di nuovo quella sensazione orribile, le proprie membra governate dalla volontà crudele di un’altra persona, e si ritrovò a fissare gli occhi dell’uomo. Guardare il drago era stato terribile, ma in qualche modo splendido. Quello era peggio. Quegli occhi freddi promettevano dolore e morte… e forse qualcosa di più. El assaporò il gusto metallico della paura.
Negli occhi a mandorla dell’uomo si leggeva un divertimento crudele. El si sforzò di guardare un po’ più in basso e di lato, e vide la pelle bruna intorno a quegli occhi spietati, i riccioli ramati, e un ciondolo scintillante sul petto glabro dell’uomo. Sotto di esso, sulla pelle, erano visibili alcuni segni, seminascosti dalla tunica color verde scurissimo. Portava inoltre anelli d’oro e di un metallo blu scintillante, e morbidi stivali, i più raffinati che El avesse mai visto. Il debole bagliore blu della magia – fenomeno che suo padre aveva detto che solo lui poteva vedere e del quale non doveva fare parola con nessuno – emanava dal ciondolo, dagli anelli e dai segni sul petto dell’uomo, nonché da ciò che sembravano essere le estremità di bacchette di legno liscio, sporgenti da fessure nella parte superiore ed esterna degli stivali. Lo strano bagliore era più intenso attorno al braccio proteso dell’uomo… ma Elminster non ebbe bisogno di altri segni segreti per capire che quello era un mago.
«Qual è il nome di quel villaggio?» la domanda fu fredda, rapida.
«Heldon». Elminster pronunciò quel nome senza nemmeno pensare. Sentì la saliva, mista a sangue, inondargli la bocca.
«Ora c’è il suo signore?»
«S-sì», mormorò Elminster contro la sua volontà.
Gli occhi del mago si assottigliarono. «Dimmi il suo nome». Sollevò la mano e il bagliore blu si fece più intenso.
Egli sentì il desiderio improvviso di rivelare ogni cosa a quello straniero rude, ogni cosa. Fu colto da una paura gelida. «Elthryn, Signore», rispose con labbra tremanti.
«Descrivimelo».
«È alto, signore, e magro. Sorride spesso e ha sempre modi gent…»
«Di che colore sono i suoi capelli?» sbottò il mago.
«C-Castani, signore, con sfumature grigie sulle tempie e sulla barba. È…»
Il mago fece un gesto brusco, ed Elminster sentì nuovamente il corpo muoversi autonomamente. Tentò di opporre resistenza, piagnucolando, ma si ritrovò improvvisamente a correre pesantemente fra l’erba, impotente contro la magia, che lo faceva inciampare per la fretta e lo spingeva all’impazzata giù dal pendio erboso verso il punto in cui il pascolo terminava… in un precipizio. Mentre si dibatteva in mezzo ai cespugli e l’erba alta, El si aggrappò mentalmente a una piccola vittoria: almeno non aveva svelato al mago che Elthryn era suo padre.
Piccola vittoria, indubbiamente. L’orlo del precipizio sembrò balzargli addosso; il vento della sua corsa folle urlava nelle sue orecchie; le morbide colline della campagna di Athalantar, sotto di lui, apparivano meravigliose nella nebbia.
Elminster precipitò a capo fitto oltre il burrone e percepì improvvisamente che quell’orribile forza che controllava il suo corpo era svanita. Mentre le rocce sottostanti si avvicinavano rapidamente, lottò contro la paura e la furia, nel tentativo di salvarsi la vita.
Talvolta riusciva a spostare le cose col pensiero. Talvolta… per favore, o dei, fate sì che accada anche ora!
La forra era stretta, le rocce molto vicine. Solo un mese prima un agnello vi era caduto dentro ed era morto prima ancora che il suo corpicino malconcio e ciondolante toccasse il fondo. Elminster si morse il labbro. Poi, il bagliore bianco che stava cercando, apparve e pervase a poco a poco la mente, nascondendogli la vista delle rocce che gli sfrecciavano accanto. Tentò disperatamente di aggrapparsi all’aria e si voltò lateralmente, come se per un istante gli fossero cresciute le ali.
Improvvisamente si ritrovò a ruzzolare nei rovi, la pelle bruciante come se avesse ricevuto una decina di frustate. Urtò il terreno e la roccia, poi qualcosa di elastico, una vite?, e venne sbalzato via, continuando la caduta.
«Ahi!» Questa volta atterrò duramente sulla roccia. Il mondo gli roteava attorno. Gli riusciva difficile riprendere fiato, e una nebbiolina biancastra gli offuscò gli occhi.
O dei proteggete…
La nebbia si sollevò e poi si allontanò e, dall’alto, si udì un rumore orribile di ossa spezzate.
Qualcosa di scuro e umido cadde e gli passò accanto, proseguendo il volo nelle oscure profondità sottostanti. El scrollò la testa per schiarirsi la mente e si guardò intorno: le rocce vicine erano chiazzate di sangue fresco. Il cielo sopra di lui si rabbuiò, ed Elminster, immobile, con il capo reclinato da una parte, si sforzò di apparire morto. Le braccia, le costole e un fianco pulsavano e dolevano… ma era ancora in grado di muovere tutto. Il mago o la bestia sarebbero scesi per assicurarsi che fosse morto davvero?
Il drago si librò sopra il pascolo, con una zampa di pecora penzolante dalla mandibola, e sparì dalla sua vista. Quando ripassò languidamente sopra il dirupo, due pecore lottavano nella sua bocca, e mentre la bestia si allontanava, El udì di nuovo quello scricchiolio.
Elminster rabbrividì, in preda alla nausea e a un senso di vuoto. Si aggrappò alla roccia, come se la sua durezza e la sua solidità potessero suggerirgli che fare. Poi udì nuovamente il fragore delle ali e rimase quanto più possibile immobile, la testa ancora goffamente reclinata, a fissare il cielo limpido con la bocca aperta.
Sorvolando il dirupo, il mago, a cavalcioni del drago, lanciò un’occhiata dura al ragazzo rannicchiato, poi si protese e urlò qualcosa che Elminster non riuscì a capire, e che echeggiò sibilante nell’imboccatura della forra. Allora le spalle possenti del drago avanzarono impetuosamente e la bestia si sollevò lievemente, solo per poi lanciarsi in picchiata verso Heldon, tanto rapidamente che il battito secco delle sue ali si trasformò in un urlo acuto.
El riuscì ad alzarsi in piedi, e con passo incerto e traballante si trascinò verso il fondo del precipizio, mugugnando di dolore a ogni minimo movimento. Vi era una parete che aveva già scalato in precedenza… le dita sanguinanti si aggrapparono alle rocce taglienti. Una paura tremenda si stava impadronendo di lui, quasi lo soffocava.
Finalmente raggiunse il margine erboso del pascolo, vi rotolò sopra, ansimando, e guardò in basso verso il suo villaggio. Gli era rimasto un po’ di fiato per gridare.
Fuori, una donna urlò. Poco dopo, l’incessante baccano proveniente dalla fucina si arrestò improvvisamente.
Accigliato, Elthryn Aumar si alzò frettolosamente dalla sedia e rovesciò le mattonelle d’argilla con cui stava facendo i conti della fattoria. Sospirò di fronte alla propria goffaggine, prese la spada dal muro e si incamminò a grandi passi verso la strada, sfoderando nel contempo l’arma. Conti che non avrebbero quadrato per tutta la mattina, e ora quel… che cosa stava accadendo adesso?
La Spada del Leone, il più antico tesoro di Athalantar, ostentò tutto il suo splendore nella luce del sole. Magie potenti erano sopite nell’antica lama assetata di sangue, massiccia nelle mani di Elthryn. Gli abitanti del villaggio urlavano e si precipitavano verso sud, lungo la strada, i volti bianchi di terrore. Elthryn dovette scansarsi bruscamente per lasciare il passo a una donna tanto grassa che era strano riuscisse a correre, una delle cucitrici di Tesla, poi si voltò a guardare verso nord, la massa scura della Grande Foresta. La via era invasa dai suoi vicini, che gli passavano accanto in preda al panico, diretti a sud, verso la strada principale; alcuni stavano addirittura piangendo. Nella direzione da cui provenivano si vedeva una strana foschia, fumo. Briganti? Orchi? Qualcosa uscito dai boschi?