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«Uccisi? Chi avrà mai potuto uccidere il Mago Reale?»

«Ah». Il venditore si protese in modo confidenziale, fingendo di non vedere le altre dieci persone che si assembravano o che si sporgevano dalla fila per ascoltare. «Alcuni dicono che sia stato un mago che dormiva in una tomba dagli anni della caduta di Netheril!»

«No», si intromise una donna vicina, «È stato…»

«Altri», continuò l’uomo, alzando la voce per sovrastarla, «affermano che era un povero disgraziato che avevano catturato e stavano per mangiare, vivo, così dicono, per qualche incantesimo malvagio, ma quando si sono seduti al tavolo, lui si è trasformato in un drago e li ha bruciati tutti! C’è poi chi dice sia stato uno di quegli orribili mostri dalla pelle rossa o con un occhio enorme, o quant’altro di peggio!»

«No, no», ripeté la donna, «niente di tutto ciò…»

«Io però penso», la interruppe il venditore di salsicce, scansandola con un gomito e alzando nuovamente la voce, tanto che si udì l’eco dal muro di pietra al di là della via, «penso che la prima storia che ho udito sia quella vera: la loro malvagità è stata punita dalla visita di Mystra in persona

«Sì! È ciò che volevo dire! È proprio quello che è accaduto, ve lo assicuro!» Ora la donna saltellava su e giù per l’eccitazione, e il petto le ballonzolava di qua e di là come una barca in porto mossa dal vento. «Il Mago Reale pensava di conoscere un incantesimo che l’avrebbe fatta inginocchiare ai suoi piedi, in modo da poter usare il suo potere per distruggere tutti i maghi, esclusi i nostri, e conquistare tutte le terre da qui al Grande Mare oltre Elembar! Ma si sbagliava, e lei…»

«Lei li ha trasformati tutti in cinghiali, ha infilato loro uno spiedo nel didietro, e li ha abbrustoliti nel fuoco della terra!» L’allegra voce apparteneva a un uomo che si trovava lì accanto e che puzzava di pesce.

«Noo! Ho sentito che ha staccato le loro teste… e le ha mangiate!», esclamò fieramente un’anziana donna, come se gliel’avesse detto Re Belaur in persona.

«Ah, finiscila. Perché l’avrebbe fatto, sentiamo?» L’uomo che le stava accanto le schiacciò forte il piede.

Questa sobbalzò per il dolore, poi, agitandogli un dito sotto il naso esclamò, «staremo a vedere, signor Io-so-tutto! Aspetta e vedrai: se avranno teste di legno quando sfileranno davanti a noi, o se saranno coperte da lenzuola funebri, allora ho ragione io! E Berdeece Hettir ha sempre ragione, lo sanno tutti qui ad Hastarl! Vedrai!»

Farl ed Elminster si stavano scambiando occhiate divertite, ma sentito ciò il primo sorrise ed esclamò, cambiando voce in modo che suonasse rauca e distante: «Suppongo che non scommettereste dei soldi, eh?»

In un attimo, la via si trasformò in un manicomio di gente urlante, dal volto paonazzo, che alzava le dita per indicare la propria puntata.

«Aspettate un attimo, aspettate un attimo», gridò El e tutti ammutolirono: Eladar il Tenebroso non parlava mai. «Mi addolora vedervi scommettere in questo modo», continuò, guardandosi intorno con aria seria, «perché dopo nascono le discussioni e la gente diventa furiosa con chi non paga. Pertanto, se dovete scommettere – sapete che io non sperpero i miei soldi – scriverò le vostre puntate, e sistemeremo tutto dopo».

Vi fu un gran parlare… e alla fine tutti furono d’accordo. Elminster strappò la manica dalla sua camicia sudicia, si fece dare un po’ d’inchiostro dallo scrivano ambulante, in cambio di una penna che aveva rubato da una finestra una decina di giorni addietro, e che ancora teneva nello stivale, e si mise al lavoro, incidendo le somme con un ago dalla punta dura.

Nella calca, nessuno si accorse che Farl raccoglieva le puntate più alte, rimanendo sempre dalla parte di chi scommetteva per le teste mozzate. Elminster, nel frattempo, si era diretto verso l’inizio della fila, scivolò all’interno del bagno per continuare a ricevere puntate, appese la manica scarabocchiata a un chiodo alto, e si tuffò di testa e completamente vestito nel vecchio mastello per la pigiatura dell’uva, che fungeva da vasca. L’acqua era già grigia di sudiciume, ed El ne uscì altrettanto rapidamente, inseguito dal proprietario furioso. Corsero attorno alla pompa del risciacquo mentre Farl azionava la manovella, bagnando entrambi con acqua un po’ più pulita, al che Elminster lanciò quattro pezzi d’argento all’uomo, corse a recuperare la manica delle scommesse e uscì rapidamente.

«Che gli dei ti fulminino! Oggi costa un pezzo d’oro a testa!», abbaiò l’uomo ai due amici.

El si voltò, disgustato, e lanciò una manciata di pezzi d’argento in direzione del proprietario del bagno. «È un ladro peggiore di noi», borbottò a Farl mentre andavano alla ricerca di un posto sicuro dove nascondere la manica. Non c’era da stupirsi che gli abitanti di Hastarl fossero disposti a pagare oro per vedere l’ultimo viaggio del Mago Reale e di un buon numero dei suoi colleghi.

«O migliore», concluse Farl. In tutta la città giravano chiacchiere su ciò che era accaduto; la gente attorno a loro non parlava d’altro e regnava una sorta di atmosfera di festa. El scosse il capo udendo ridere a squarciagola persino le pattuglie di soldati. «È logico che siano felici», spiegò Farl all’amico perplesso. «Non accade tutte le notti che un servizievole giovane ladro – anche se preferisce dare tutto il credito a un mago misterioso che appare convenientemente dal nulla e altrettanto vantaggiosamente scompare – sconfigga l’uomo più odiato e temuto di tutto Athalantar e molti suoi colleghi… senza menzionare un gruppo di uomini a cui molti bottegai di questa città devono un sacco di soldi. Tu, al loro posto, non lo saresti?»

«Sì, ma non hanno pensato alla possibilità che un mago ancora più crudele si faccia avanti per proclamarsi Mago Reale», ribatté Elminster con pessimismo.

Gli ampi viali lungo il percorso della processione funebre si stavano già riempiendo; chi possedeva abiti eleganti (e un bagno proprio per prepararsi a indossarli) spingeva per ottenere i posti migliori, ignaro della marea di vicini, meno gentili e più poveri, che di lì a poco non avrebbero certo badato a chi pensava di esserseli conquistati. In molte processioni simili un gran numero di persone finiva schiacciato sotto le ruote dei carri, spinto dalla calca urlante.

«Stai pensando a quali case in questo grande giorno potrebbero essere vuote, scricchiolanti per il peso delle monete, mentre tutta Hastarl si riversa nelle strade per veder sfilare i cadaveri?» domandò Farl a bassa voce.

«No», rispose El. «Stavo pensando di scambiare il secchio su cui siede il proprietario dei bagni, prendendo quello che sta riempiendo con i soldi in questo momento, e mettendo al suo posto un secchio pieno di…»

«Letame?», Farl sogghignò. «Troppo rischioso, e poi metà della gente in fila ci vedrebbe».

«Pensi che non sappiano come ci guadagniamo da vivere, Farl? Nemmeno tu puoi essere tanto idiota!», ribatté Elminster.

Farl si drizzò con l’aria di chi è stato ferito nell’orgoglio. «Non si tratta di questo, perdinci… è che abbiamo una reputazione da difendere. Certo, forse tutti sanno che rubiamo, ma nessuno dovrebbe mai vederci mentre lo facciamo. Dovrebbe essere magico, capisci? Come quei maghi che stimi tanto».

El gli lanciò un’occhiata. «Mettiamoci all’opera», esclamò, e andarono a prepararsi per la giornata di lavoro.

In cima alla lista delle case da saccheggiare ve n’era una particolare; si affrettarono perciò a raggiungerla, vestiti con uniformi che servivano a nascondere i sacchi attaccati alla schiena e alla pancia e numerosi pugnali.

Scavalcarono il muro sul retro e si calarono in un grazioso giardino, lo attraversarono come due ombre affamate, e si arrampicarono sull’edera fino a un balcone. Un servo stava dormendo al sole nella stanza attigua, approfittando dell’assenza del padrone di casa.