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«È troppo facile», esclamò Farl mentre salivano di corsa le scale verso una porta indorata. Infilò il pugnale nel leone intagliato nel mezzo e attese che i dardi scoccassero a vuoto lungo le scale. «Ma questi idioti non si accorgono che le botteghe che vendono loro trappole per ladri sono gestite dai ladri stessi?»

Affondò la lama in uno degli occhi di vetro del leone, e questo uscì dall’orbita rimanendo appeso all’estremità di un nastro di tessuto. Trovato il filo d’acciaio nell’apertura dietro l’occhio, Farl lo tagliò e spalancò la porta. El guardò le scale alle sue spalle, ma la casa era silenziosa.

La camera da letto era un tripudio di tappezzerie, cuscini e divani rossi e rosa carico. «Mi sembra di essere all’interno di uno stomaco», esclamò Farl mentre attraversavano quel mare rosso.

«O di nuotare in una ferita aperta», ribatté Elminster, avvicinandosi a un portagioielli d’argento.

Non vi aveva ancora posato la mano sopra, che un dardo sfrecciò oltre le sue dita. Farl si voltò, pugnale in mano… e si trovò faccia a faccia con due donne e un uomo che stavano entrando rapidamente da una finestra. Erano tutti vestiti di nero e portavano un sigillo sul petto: una luna e un pugnale incrociati.

«Questo bottino appartiene ai Moonclaw», affermò una delle donne con tono inflessibile e sguardo minaccioso.

«Ah, no», ribatté Farl con disgusto, scagliando il pugnale.

La sua lama volteggiò nell’aria per infilzarsi nella mano di una delle donne, pronta a lanciare un dardo. Questa emise un grido e cadde in ginocchio sul pavimento.

Elminster lanciò un pugnale colpendo volutamente il volto dell’uomo con l’impugnatura, gli lanciò un cuscino e poi venne colto da una rabbia improvvisa. Fece un balzo in avanti e gli sferrò un calcio nelle budella, tanto forte che gli salì un lamento dalla gola quando il piede colpì l’armatura, ma l’uomo che vi stava dentro finì gridando fuori dalla finestra e cadde nel giardino sottostante, agitando inutilmente una garrotta nelle mani.

«Così rumorosi… così poco professionali», mormorò Farl, afferrando il cofanetto. La donna ferita stava fuggendo verso la corda con la quale era entrata, singhiozzando per il dolore e spargendo sangue sui tappeti già rossi. «Ehi, quello è uno dei miei pugnali migliori!» si lamentò il ragazzo, mentre l’altra donna si lanciava su di lui, scagliando un pugnale e agitandone un secondo.

Farl si chinò e sollevò il cofanetto; la lama lo colpì, schizzò verso il soffitto e si conficcò tremolante in un asse del tetto. La donna tentò di raggiungere il portagioielli e di sfregiargli il volto, ma Farl le girò semplicemente intorno, tenendo lo scrigno fra loro, con la testa abbassata fuori tiro, mentre la respingeva con un’estremità della cassetta. La donna scivolò sul tappeto, e fu allora che Farl la colpì duramente sulla testa. Cadde a terra con un tonfo sordo, ed Elminster depose delicatamente la sua compagna sopra di lei, restituendo a Farl il suo pugnale.

Farl ne esaminò la punta insanguinata e la pulì sulla donna. «Morta?»

Elminster scosse il capo. «Dorme, è troppo malconcia per difendersi». Si inginocchiarono entrambi sul portagioie gemmato, agguantando frettolosamente gli oggetti, finché Farl non esclamò, «Basta! Usiamo la loro corda… svignamocela».

Si soffermarono a verificare la tenuta del rampino, e si calarono frettolosamente, Farl per primo. L’altro complice era disteso nell’erba privo di sensi, e un servo sbalordito lo stava osservando. Vedendo la corda ondeggiare, alzò lo sguardo. Poi si mise a urlare e corse via, e dalla finestra i due ladri udirono un grido arrabbiato.

«Che gli dei siano dannati! Speriamo non abbiano balestre!», ringhiò Farl, lasciandosi scivolare lungo la fune, incurante delle mani che bruciavano.

Poi, improvvisamente, il rampino si staccò e precipitarono. Si udirono un tonfo e un lamento quando Farl atterrò. El si irrigidì al pensiero che presto sarebbe caduto addosso al compagno, ma l’amico si era già scansato, perciò tentò di rilassarsi mentre l’erba si avvicinava sempre più rapidamente.

L’atterraggio fu duro. Si alzò, e trasalì; il piede destro gli doleva e accanto a lui giaceva l’uomo a cui aveva sferrato il calcio, la bocca aperta e il volto bianco. Fu colto da una sensazione di nausea, ma mentre si alzava, vide che la mano dell’uomo si muoveva lievemente, come per afferrare un davanzale che non c’era. Elminster e Farl attraversarono di corsa il giardino e scavalcarono rapidamente il muro. Atterrarono sulla strada e si misero a camminare con noncuranza verso l’incrocio più vicino, quando un dardo sorvolò basso il muro e andò a colpire l’alto cancello di legno della casa di fronte a loro.

Farl alzò lo sguardo. «Caspitina, un arciere provetto! Filiamocela!»

Fu così che i due se la batterono poco dignitosamente a gambe levate, e raggiunsero ansimanti la bottega sbarrata con assi per alleggerirsi del bottino e dei vestiti. Poi Farl si batté una mano sulla fronte. «Sono sempre in tanti, devono aver appostato qualcuno!», sibilò. Quindi si voltò e iniziò a correre per dove erano venuti, facendo cenno a El di continuare lungo la strada.

Elminster riprese a fuggire, senza però mettersi a correre, guardandosi di tanto in tanto attorno con circospezione. Aveva già oltrepassato due vie quando Farl saltò giù da un tetto vicino, col fiato grosso, ed esclamò, «Bene… sbarazziamoci della merce e compriamoci qualche panino caldo col burro da Hannibur! Ci siamo meritati un banchetto pomeridiano!»

«E la sentinella?»

«Le ho lanciato un pugnale e l’ho mancata per un soffio… ma si è tanto spaventata che è caduta di schiena dal tetto… e si è spaccata la testa sul bordo di un carro sottostante. Non potrà mai più spiare nessuno». El rabbrividì.

Farl scosse il capo e si incupì. «Non ti avevo avvertito? Hastarl non è più come una volta!»

6.

Squallore nel mondo dei ladri

Esiste una città peggiore di quella in cui i ladri dominano le strade notturne: quella in cui i ladri governano giorno e notte.

Urkitbaeran di Calimport, Il libro delle maree nere.
Anno dei Crani Fracassati

Le migliori sete del Calishite compivano di rado il lungo e pericoloso viaggio lungo la costa del Grande Mare, infestata dai pirati e sferzata dalle tempeste, in numero tale da non venire acquistate tutte a Elembar, Uthtower, e Yarlith e da proseguire, sempre sulle chiatte a pertica, fino a Delimbiyr. E ancora più raro era che i mercanti che possedevano tali chiatte si fermassero nella minuscola e provinciale città di Hastarl, dove la stoffa tessuta in casa era l’indumento preferito e un bel fodero di spada era più ammirato di un giustacuore finemente cucito. Non accadeva poi quasi mai che i tessuti del Tashtan, lucenti, ornati di porpora e smeraldi, confezionati nelle città favolose del Seebreeze, nel sud, accompagnassero le sete. La gente si accalcò numerosa sulle banchine. Alcuni mercanti grassi e impettiti non si disturbarono nemmeno a risalire le strade fino alle botteghe, alte e strette, dei maestri sarti, ma vendettero tutta la merce al porto.

Farl ed Elminster decisero saggiamente di non toccare neanche un filo di quel primo carico favoloso. Ne seguì un secondo, ma rinunciarono anche a quello, e guardarono da lontano uno sfortunato artista del furto, della banda dei Moonclaw, mentre veniva sorpreso a rubare le sete, veniva scorticato e appeso alle mura della città.

I maestri sarti non avevano alcuna corporazione, in quanto i maghi non le approvavano. Tuttavia, si riunirono a discutere seriamente del problema davanti a un bicchiere di vino e a un arrosto di cinghiale, alla Driade Danzante, la casa dei banchetti, e giunsero a un accordo di mutuo vantaggio. Una fanciulla che li serviva a tavola e collezionava un po’ troppi pizzicotti per i suoi gusti, riferì a Farl ed Elminster (in cambio di quattro monete d’oro) ciò che era stato deciso. «Soldi spesi bene», giudicò Farl, mentre El rimase zitto come d’abitudine.