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Dunque, quella notte senza luna li vide sul tetto di un magazzino sovrastante una banchina, in attesa di udire lo scricchiolio di remi e di intravedere lo scintillio furtivo delle lanterne accese, che avrebbe segnalato ai maestri sarti l’arrivo della spedizione privata, che includeva (così si mormorava) vestiti d’oro e bottoni d’ambra.

Era una notte fresca e ariosa, annunciatrice dell’autunno e di un altro inverno freddo e umido, ma, avvolti nel loro mantello nero, i due non ebbero tempo di avvertire il freddo perché intravidero ben presto il bagliore delle lanterne sull’acqua scura sottostante.

I ladri attesero pazienti in silenzio che le loro vittime caricassero servizievolmente i carri, quattro in tutto, stracarichi di merce, poi si calarono silenziosamente dal loro nascondiglio, evitando le guardie che si muovevano pesantemente intorno ad essi. Fu questione di un attimo: gettarono una pietra nel mucchio di pannelli di metallo arrugginito, accatastati nel vicolo dietro il negozio del pasticcere, e, mentre le teste e le spade si volgevano in quella direzione, si arrampicarono nel quarto carro, dall’altra parte della strada. Poco dopo avrebbero avuto bisogno di un altro diversivo per coprire la loro fuga.

Erano passati pochi istanti quando udirono un’imprecazione allarmata a pochi passi dal carro, il nitrito di un cavallo ferito e il rumore stridulo dell’acciaio. «Concorrenza?» sussurrò El all’orecchio dell’amico, e Farl annuì.

«Il nostro diversivo», mormorò, «fornitoci dai Moonclaw, senza dubbio. Aspetta un attimo… quel cavallo significa che hanno almeno un arco. Lasciamo che la battaglia entri nel vivo prima di uscire allo scoperto».

La lotta imperversò e i due compagni si affrettarono a scegliere e riporre il loro bottino. Una volta terminato, sfoderarono i pugnali e tagliarono il saliscendi della porta posteriore del carro per sbirciare cautamente fuori, nella notte.

Una faccia con una spada pronta accanto al carro li stava osservando. Farl balzò in alto per evitare il colpo, atterrò con entrambi i piedi sulla lama, e saltò sul braccio dello spadaccino, affondando il pugnale nel suo volto, prima che l’uomo avesse il tempo di gridare.

Mentre El saltava sui ciottoli accanto a loro, barcollando sotto il peso del bottino, Farl estrasse il pugnale e lo scagliò nel buio, che sembrava brulicare di uomini in fuga e di spade sguainate. Colpì il sopracciglio di una guardia, la quale imprecò, si portò una mano alla testa sanguinante e si mise a correre.

Farl raccolse la lunga spada abbandonata dalla prima vittima e sussurrò: «Coraggio, andiamocene da qui!»

Si diressero a destra, verso una delle strade laterali, abitate da gente troppo rispettabile per vivere in baracche, ma non sufficientemente ricca per avere case circondate da mura. Sfrecciavano pugnali in ogni direzione, ma tra i Moonclaw non vi erano lanciatori abili. Sembrava che le guardie fossero incapaci, codarde, o corrotte: la battaglia era già finita. Tutti gli individui vivi che occupavano ora la strada erano Moonclaw.

Farl ed El non sprecarono il fiato a imprecare. Iniziarono a spostarsi rapidamente da una parte all’altra per scoraggiare l’arciere e si lanciarono ansimanti lungo la strada. Il sibilo atteso di una freccia in cerca di bersaglio giunse alle loro orecchie, accompagnato da un’imprecazione a breve distanza dietro ai due. La freccia stranamente li oltrepassò, Farl corrugò la fronte e guardò indietro. Un membro della banda, che li aveva inseguiti, inciampò mentre si massaggiava una spalla.

«Oseranno… riprovarci?», chiese El ansimando. «Con… la loro gente…»

«Credo di sì», rispose a fatica Farl. «Continua a zigzagare!»

La seconda freccia arrivò mentre, con la testa abbassata, stavano per raggiungere la fine della strada e svoltare in una laterale. Il sibilo si fece più forte, ed entrambi si gettarono a terra, sui ciottoli. La freccia passò bassa sopra di loro, e si spezzò contro le baracche dall’altra parte della strada, proprio mentre una pattuglia di soldati, con le alabarde alzate, sbucava dalla via. Il capitano cercò di scrutare nel buio le due figure distese davanti a lui e ordinò: «Portate qui quella lampada! Sta succedendo qualcosa! Sguainate le …»

I Moonclaw avevano, a quanto pare, un secondo arciere. Il suo dardo colpì il bersaglio con un tonfo, e il capitano gorgogliò, si girò, e cadde a terra, strangolato dalla lunga freccia scura che gli trapassava la gola.

Farl ed El balzarono in piedi, mentre le guardie sorprese stavano ancora armeggiando per abbassare le alabarde, e corsero oltre la pattuglia, facendo lo sgambetto all’unica che tentò di bloccar loro la strada.

Il soldato cadde a terra, e Farl si arrampicò su una scala di legno esterna di una bottega, seguito a breve distanza da El. I due raggiunsero il tetto con un semplice balzo, ma questo era scivoloso a causa delle pozzanghere d’acqua piovana: Quello successivo, grazie al cielo, era fatto di paglia, quindi si nascosero nella parte più distante e ripresero fiato.

Si guardarono nell’oscurità, esausti. «Non ci resta altro», esclamò Farl tra un respiro e l’altro, «che formare una nostra banda».

«Che Tyche ci assista», mormorò Elminster.

Farl lo guardò. «Non intendi piuttosto Maschera, il Dio dei ladri?»

«No», rispose El. «Pregavo affinché questa “banda” non ponga termine alla nostra amicizia… o alla nostra vita».

Farl rimase a lungo in silenzio. Poi Elminster lo udì mormorare: «Oh, Lady Tyche, ascoltami…».

«Ah, Naneetha! Quelle mani vellutate…» Farl stava ridendo, ma d’un tratto divenne serio. «Ecco! Ci chiameremo “Mani di Velluto”!»

La piccola stanza risuonò di mormorii e di risate. Era polverosa e maleodorante dopo aver ospitato per decenni pesce salato, ma il proprietario del magazzino era morto, e grazie ai due carri sgangherati che avevano accostato all’imbocco della via, le pattuglie non si sarebbero avvicinate a sufficienza per udirli. La stanza ospitava più di una decina di individui, che tenendosi a cauta distanza tra loro, le armi in pugno, si scrutavano attentamente.

Farl li guardò e sospirò. «So che l’idea non piace a nessuno… ma sapete tutti che se non ci uniamo verremo uccisi, oppure dovremo lasciare Hastarl per tentare la fortuna altrove… in luoghi sconosciuti, dove saremo considerati stranieri sospetti e troveremo bande di ladri locali pronte ad affondare i loro coltelli nelle nostre carni».

«Perché non ci uniamo ai Moonclaw?», esclamò Klaern con voce stridula. Era uno dei fratelli Blaenbar, che stavano seduti vicino a una finestra in modo da poter fare segnali in caso di necessità.

«A che condizioni?», chiese ragionevolmente. «Ogni volta che io o Eladar ci siamo imbattuti in loro, hanno tentato di accoltellarci prima ancora che scambiassimo una sola parola. Senz’altro non si fiderebbero di noi e ci sacrificherebbero senza problemi».

«E c’è di più», si intromise Elminster, attirando su di sé gli sguardi sbalorditi di tutti i presenti. «Mi sono chiesto da dove vengano tutte quelle pelli e i distintivi che portano. Sono costosi, e li hanno indossati fin dall’inizio, prima ancora di raggranellare due soldi. Per non parlare delle armi di buona qualità. Tutto ciò non vi fa pensare a nulla? Non si tratterà di un corpo di guardie privato? Di un esercito che attacca i ladri di Hastarl – noi – ogniqualvolta li incontrano? Sembra opera di qualcuno al servizio di un mago, o del re, o di qualcuno ricco e importante. Quale modo migliore per ripulire la città dai ladri e organizzare “incidenti” per noi, i rivali, se non quello di sguinzagliare per le strade la propria banda?»

Ora tutti annuivano pensosamente. «Questo», esclamò la vecchia e grassa Chaslarla, grattandosi, «spiega la confusione che hanno causato. E anche perché alcune guardie sembrano voltarsi dall’altra parte quando i Moonclaw agiscono: si attengono probabilmente agli ordini».