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Fu sbigottito nel vedere il cavaliere sudicio sogghignare, non un ghigno beffardo, bensì un sorriso di piacere.

«Che cosa c’è?» domandò El, improvvisamente imbarazzato, nascondendo ancora la spada. «Perché ridi?»

«Ragazzo, ragazzo», mormorò l’uomo gentilmente, «sediamoci là». Ripose la spada nel fodero e indicò una roccia vicina. Elminster lo guardò sospettoso, e l’uomo sospirò, si sedette e sganciò una fiaschetta metallica dalla cintura. Gliela porse. «Vuoi bere?»

Elminster lo guardò e si rese improvvisamente conto di avere molta sete. Si avvicinò di un passo. «Se mi dici ciò che voglio sapere», rispose, «e prometti di non uccidermi».

Helm lo guardò quasi con rispetto e rispose: «Hai la mia parola, la parola di Helm Spadadipietra, cavaliere della Corona del Cervo». Si schiarì la voce e aggiunse: «E ti risponderò se vorrai dirmi un’ultima cosa». Si protese verso il ragazzo. «Qual è il tuo nome?»

«Elminster Aumar, figlio di Elthryn».

«Figlio unico?»

«Basta», sbottò Elminster prendendo la fiaschetta. «Hai ricevuto la tua risposta; ora dammi le mie».

L’uomo sogghignò ancora. «Per favore, Signor Principe? Solo un’altra!»

Elminster lo fissò. «Mi prendi in giro? “Signor Principe”?»

Helm scosse la testa. «No, ragazzo, Principe Elminster. Ti prego, devo sapere. Hai fratelli? Sorelle?»

Elminster scrollò il capo. «Nessuno, né vivo né morto».

«Tua madre?»

Elminster allungò le mani. «Avete trovato sopravvissuti al villaggio?» chiese improvvisamente, ancora arrabbiato. «Vorrei le mie risposte, adesso, Signor Cavaliere». Bevve un sorso lungo e lento dal fiasco.

Un fuoco ribollente gli invase il naso e la gola, e iniziò a tossire; le sue ginocchia urtarono duramente il terreno roccioso e attraverso le lacrime Elminster vide Helm protendersi rapidamente per salvare lui e la fiaschetta. Due mani forti lo aiutarono a sedersi e lo scossero gentilmente.

«L’acquavite non è di tuo gradimento, ragazzo? Tutto bene ora?»

Elminster riuscì a fare un cenno, con la testa inclinata. Helm lo picchiettò rozzamente sul braccio e affermò: «Benissimo. Sembra che i tuoi genitori abbiano pensato che fosse meglio non dirti niente. Sono d’accordo con loro».

El sollevò rabbiosamente la testa, ma attraverso gli occhi lacrimanti vide Helm che, sollevando una mano guantata, gli chiedeva di aspettare.

«Tuttavia ti ho dato la mia parola… e tu sei un principe di Athalantar. Un cavaliere mantiene le sue promesse, se pur avventate».

«Parla dunque», lo incalzò Elminster.

«Che cosa sai dei tuoi genitori? Della tua stirpe?»

Elminster alzò le spalle. «Nulla» rispose amaramente, «oltre ai nomi dei miei genitori. Mia madre era Amrythale Goldsheaf; suo padre era un abitante della foresta. Mio padre era orgoglioso di questa spada, era magica, ed era contento che non potessimo vedere Athalgard da Heldon. Questo è tutto».

Helm roteò gli occhi, sospirò, e ribatté: «Bene allora. Siediti e ascolta. Se vivrai, tieni per te ciò che ti dico. I maghi di Athalantar, di questi tempi, danno la caccia alla gente del tuo sangue».

«Sì», gli rispose Elminster amaramente, «lo so».

Helm sospirò. «Io… perdonami, Principe. Mi ero dimenticato». Allargò le mani guantate come per farsi strada, e continuò: «Questo regno, Athalantar, è chiamato Regno del Cervo dal nome di un uomo: Uthgrael Aumar, il Re Cervo, un grandioso guerriero, nonché tuo nonno».

Elminster annuì. «Questo lo sospettavo dal tuo discorso sul “principe”. Allora perché ora non indosso ricche vesti e non mi trovo in qualche palazzo di Athalgard?»

Helm gli offrì ancora quel sorriso compiaciuto e ridacchiò. «Sei veloce – e hai nervi d’acciaio – proprio come lui, ragazzo». Allungò un braccio dietro di sé, trovò un sacco di tela malconcia, e rovistò al suo interno, continuando a parlare. «Per risponderti ti racconterò ciò che accadde. Uthgrael era il mio signore, ragazzo, e il più grande spadaccino che abbia mai conosciuto». La voce si trasformò in un sussurro e ogni traccia di sorriso svanì dal suo volto. «Morì nell’Anno dei Ghiacci, combattendo contro un orco vicino a Jander. Molti morirono durante quell’inverno da lupi, e con loro la colonna portante di Athalantar».

Helm trovò ciò che cercava: un tozzo di pane duro e grigio. Glielo porse senza parlare. Elminster lo prese, ebbe un moto di ringraziamento, e fece segno al cavaliere di continuare. Le labbra di Helm abbozzarono nuovamente un sorriso.

«Uthgrael era vecchio e pronto a morire; dopo i funerali della Regina Syndrel, si incupì e attese ansiosamente l’occasione di morire in battaglia; più di una volta glielo lessi negli occhi. Il capotribù degli orchi che lo sconfisse lasciò il regno nelle mani dei sette figli del re, solo maschi».

Helm scrutò nelle profondità della caverna, rievocando altri tempi e altri luoghi, e volti che Elminster non conosceva. «Cinque dei principi erano guidati dall’ambizione, e furono tutti uomini crudeli e spietati. Uno di loro, Felodar, era interessato all’oro più che a ogni altra cosa e lo cercò dappertutto – fino al caldo regno di Calimshan e oltre, ragazzo, dove si trova tuttora, per quel che ne so – ma gli altri rimasero tutti ad Athalantar».

Il cavaliere si grattò per un momento, lo sguardo ancora lontano, e aggiunse: «Vi erano altri due figli. Uno era troppo giovane e timido per costituire una minaccia per qualcuno. L’altro – tuo padre, Elthryn – era un uomo calmo e giusto, e agli intrighi di corte preferì una vita da contadino. Si ritirò qui e sposò una ragazza comune. Pensammo che ciò significasse la sua rinuncia al trono. E, temo, anche lui».

Helm sospirò, incontrò lo sguardo intenso di Elminster, e continuò il suo racconto. «Gli altri principi lottarono per il controllo del regno. La gente di città distanti come Elembar, sulla costa, li chiama “I Principi Belligeranti di Athalantar”. Esistono perfino canzoni su di loro. Il vincitore, finora, è stato il figlio maggiore, Belaur».

Il cavaliere si protese improvvisamente e afferrò le braccia di Elminster. «Mi devi ascoltare bene», affermò con urgenza. «Belaur ha avuto la meglio sui fratelli, ma la sua vittoria è costata a lui, e a tutti noi, il regno. Ha comprato i servizi dei maghi di tutta Faerûn per conquistare la Corona del Cervo. Oggi siede sul trono, ma il suo intelletto è offuscato dal bere e dalla loro magia e i suoi signori maghi sono i veri governatori di Athalantar. Perfino i mendicanti di Hastarl lo sanno».

«Quanti sono i maghi? Come si chiamano?» domandò con calma Elminster.

Helm lo lasciò e si risedette, scuotendo la testa. «Non lo so, e dubito che lo sappia qualcuno in Athalantar al di sotto dei capitani di spada del Cervo, tranne forse i domestici di Athalgard». Lanciò un’occhiata penetrante a Elminster. «Hai giurato di vendicare i tuoi genitori, Principe?»

Elminster annuì.

«Aspetta», esclamò bruscamente il cavaliere. «Aspetta finché sarai più grande, e avrai accumulato denaro a sufficienza per poter comprare tu stesso dei maghi. Ne avrai bisogno, a meno che tu voglia trascorrere il resto dei tuoi giorni come una rana purpurea nella vaschetta di profumo in qualche palazzo, per il divertimento di qualche apprendista minore dei signori maghi. Sebbene abbiano dovuto coalizzarsi, e fare a pezzi la Torre del Drago pietra per pietra, due estati fa sconfissero il vecchio Shandrath – l’arcimago più potente mai esistito in tutte le terre degli uomini». Sospirò. «E quelli che non poterono eliminare con gli incantesimi, li eliminarono con la spada o col veleno. Theskyn, il mago di corte, ha fatto quella fine. Era l’amico più anziano e più fidato di Uthgrael».

«Li vendicherò tutti», dichiarò tranquillamente Elminster. «Prima che io muoia, Athalantar sarà libera dai maghi, fino all’ultimo, anche se dovessi farli a pezzi con le mie stesse mani. Lo giuro».