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Verde dalla rabbia, Belaur si alzò dal letto, spingendo da parte le ragazze, e afferrò la spada appesa al muro. Per un istante pensò di conficcarla nella schiena del mago reale, che stava attraversando la stanza davanti a lui, diretto verso un quadro che nascondeva una porta per il vecchio castello. Undarl si voltò rapido come un fulmine, spostando da parte la punta della spada protesa, e con voce minacciosa, fredda e nitida, esclamò: «Che. Non. Ti. Venga. Mai. Più. In. Mente. Una. Cosa. Del. Genere.» Si protese ulteriormente e, con un sussurro aspro, aggiunse: «La tua sopravvivenza quotidiana dipende dalla mia magia».

La spada nelle mani del re si trasformò in un serpente che si rivoltò e sibilò, attorcigliandosi intorno al suo polso.

Mentre lo fissava terrorizzato tornò alla sua natura originale, e la lama scintillò beffarda. Belaur rabbrividì, sollevò riluttante lo sguardo per incontrare gli occhi freddi e severi del mago, e annuì lievemente. Poi proseguì ubbidientemente quando Undarl gli indicò il passaggio.

«Sai che devo farlo da solo», affermò tranquillamente Elminster mentre erano nel passaggio buio.

Myrjala gli appoggiò una mano sul braccio e gli rivolse un sorriso. «Non sarò lontana. Chiamami se hai bisogno».

El la salutò con ciò che rimaneva della Spada del Leone e si allontanò lungo il corridoio, tra le mani una spada più utile.

All’ultimo principe di Athalantar rimanevano pochi incantesimi, e avanzò con passo stanco e vacillante. Con i suoi abiti malconci non sarebbe certo passato inosservato nelle grandi sale centrali di Athalgard, nel suo cammino verso la stanza del trono. I servi che incontrava – e ve ne erano molti – tenevano lo sguardo basso e si scansavano al suo passaggio, come se fossero ormai abituati a far spazio a guerrieri boriosi. I cortigiani tendevano a fissarlo, e poi distoglievano rapidamente lo sguardo o cambiavano strada o si affrettavano a entrare in qualche stanza, chiudendosi la porta dietro.

Eccezion fatta per gli sguardi alle sue spalle, Elminster sembrava stesse facendo una passeggiata casuale. Vedendolo avanzare, le guardie si irrigidirono nelle loro postazioni, ma il principe aveva fatto un determinato incantesimo prima di separarsi da Myrjala, e quando si prepararono a fermarlo, rimasero impietrite, bloccate dal suo incantesimo.

Quando El si avvicinò a sette guardie che volgevano le spalle a una doppia porta ad arco, spade sguainate, mormorò un incantesimo che le fece cadere in un sonno profondo, sotto un mantello magico che copriva ogni rumore.

Le spade sollevate contro di lui caddero sul pavimento, in uno strano silenzio, seguite subito dopo dai loro proprietari. El scavalcò tranquillamente le guardie, aprì lievemente una porta, e si infilò all’interno.

La stanza dall’alto soffitto era costeggiata da vessilli e circondata da una galleria sopraelevata; le pareti erano riccamente tappezzate, e una serie di colonne fiancheggiava un tappeto color verde scuro, che si estendeva dalla porta fino alla sedia alta dall’altro lato della stanza.

Il Trono del Cervo. Ciò per cui aveva combattuto finora: non semplicemente una sedia, ricordò a se stesso, ma una terra libera dai signori maghi. Molti uomini e qualche donna erano radunati oltre la porta, tutti intorno a lui; parlavano e si spostavano da un piede all’altro con aria piuttosto stanca: cortigiani, mercanti, e delegati, attendevano nervosamente il ritorno del re per l’udienza del mattino.

Elminster ignorò i loro sguardi curiosi, si fece strada fra la gente, e si incamminò con sicurezza lungo il tappeto verde.

I gradini che conducevano al Trono del Cervo erano protetti da un uomo grande come una montagna in un’armatura scintillante, che impugnava pazientemente una mazza da guerra alta quanto lui. Non indossava alcun elmo, e la sua testa calva scintillava alla luce delle torce mentre guardava freddamente l’intruso, i baffi grigi lievemente tremolanti. «Chi sei, giovanotto?» domandò ad alta voce, facendo un passo avanti e preparando la mazza sulla spalla.

«Principe Elminster di Athalantar», fu la risposta tranquilla. «Fatti da parte, per favore».

Il guerriero sogghignò. Elminster rallentò il passo e gli fece segno con la spada di spostarsi. La guardia gli rivolse un sorriso freddo e incredulo, e rimase dov’era, agitando minacciosa il martello.

El ricambiò l’uomo con un sorriso fugace e fece un affondo con la spada. Il guerriero la fermò con la mazza da guerra, torcendo i polsi in modo che la punta posteriore dell’arma aprisse la testa di quell’idiota arrogante col movimento di ritorno. Elminster indietreggiò rapidamente a distanza di sicurezza, e mormorò alcune parole, sollevando la mano libera come per lanciare qualcosa di leggero e di fragile.

Quel qualcosa si staccò rapidamente dalle dita lievemente allargate, e la guardia del trono sbatté le palpebre, scosse il capo come per dissentire violentemente, e si accasciò sulle mattonelle lucide di fianco al tappeto. Elminster la superò lentamente e si sedette sul Trono del Cervo, appoggiando la spada sulle ginocchia.

Un mormorio si innalzò dal gruppo di cortigiani sbalorditi, ma subito calò un silenzio carico di tensione quando apparve improvvisamente una luce dall’alto. Nel centro di una sfera di una luminosità pulsante color porpora e bianco, il mago reale apparve nella galleria soprastante, fiancheggiato da una decina di soldati, le balestre cariche e pronte a sparare.

La mano di Undarl Cavalcadrago si abbassò bruscamente. In risposta, sei dardi sfrecciarono verso l’uomo seduto sul trono.

Il giovane intruso li osservò tranquillamente fendere l’aria di fronte a lui, colpire qualcosa di invisibile e cadere sul pavimento.

Le mani del mago stavano eseguendo i gesti complicati di un incantesimo quando la guardia più anziana ordinò: «Caricate di nuovo!»

Elminster sollevò le mani e gesticolò rapidamente, ma la gente che osservava vide l’aria intorno al trono danzare e scintillare di luce improvvisa. El sapeva che nessuna magia avrebbe fatto effetto nel luogo in cui sedeva ora; non poteva innalzare alcuna barriera per fermare proiettili o spade che reclamavano la sua vita.

Il mago reale rise e ordinò ai soldati che non avevano ancora scoccato i loro dardi di farlo ora. Il principe balzò in piedi.

Un grasso mercante accanto a una colonna tremolò e divenne una donna alta e magra dalla pelle bianca e dagli occhi scurissimi. Una delle sue mani era alzata in un gesto ammonitore – e i dardi di balestra scoccati contro il Trono del Cervo presero improvvisamente fuoco, sfolgorarono e scomparvero.

La guardia più anziana si voltò e mirò alla donna. «Uccidetela!», ordinò, e due balestre scattarono all’unisono.

Aggirando rapidamente il trono, mentre decideva quale incantesimo usare quando si fosse allontanato a sufficienza dal campo magico di Undarl, Elminster vide i dardi saettare attraverso la sala verso la sua compagna. Alla sua vista emanavano un bagliore blu vivido.

Guardò la scena con orrore: gli incantesimi emettevano una luminosità rabbiosa intorno a essi, e Undarl rise freddamente quando un lampo improvviso indicò la distruzione di uno scudo attorno alla maga. Subito si vide un secondo bagliore e anche la barriera interna si infranse – e Myrjala vacillò, si portò le mani al petto, nel quale tremolava un dardo, si voltò lateralmente, così che El poté vedere la seconda freccia nel fianco – e cadde a terra. La risata acida di Undarl risuonò forte nella sala del trono. Elminster si lanciò giù per i grandini, la sua sicurezza dimenticata; gli mancavano pochi passi per raggiungere Myrjala quando la donna scomparve.

Il tappeto verde sul quale era accasciata un momento prima, era vuoto. Elminster si voltò, gli occhi fiammeggianti, e sputò un incantesimo. A una parola dal termine, gli occhi crudeli e trionfanti del Mago Reale, fissi nei suoi, scomparvero nel vuoto. Anche il mago se ne era andato.

L’incantesimo completo di El stava già facendo effetto. Un fuoco improvviso imperversò lungo la galleria, e i soldati gridarono cupamente dentro le loro armature, dimenandosi e barcollando. Le balestre caddero oltre la ringhiera, seguite da una guardia, l’armatura annerita e fiammeggiante, che si schiantò sopra un mercante, schiacciandolo sul pavimento. Anche i cortigiani si misero a urlare e fuggirono verso l’uscita.