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Finalmente libero di alzarsi! Elminster si tirò in piedi, scosse il capo, tossì debolmente, e si guardò intorno per assicurarsi che nessuna guardia si fosse avvicinata.

Un cortigiano si stava allontanando dalla sua barriera, sibilando di dolore per una ragnatela di tagli dai quali fuoriusciva sangue fresco. Un altro uomo, che aveva tentato di penetrare la barriera, giaceva immobile con la faccia sulle piastrelle. Il principe scosse il capo e si voltò.

Quand’ebbe recuperato il fiato e l’equilibrio, si alzò, si pulì il sangue di Belaur dalla faccia, e vide che i cortigiani erano addossati lungo le pareti sotto la galleria. Alcuni avevano la spada sguainata, ma nessuno aveva l’aria di voler dare battaglia. Il re esalò un ultimo rantolo e poi si spense, il volto immerso nel suo sangue. Elminster emise un sospiro profondo e tremolante, poi si voltò, la Spada del Leone in pugno. Laggiù, in fondo al tappeto verde, Undarl Cavalcadrago, che era ovviamente riuscito a guarirsi con un incantesimo, stava tentando l’impossibile per infrangere la gabbia magica di El.

Un incantesimo scaturì dal mago intrappolato, indugiò vanamente contro la gabbia luminosa, e poi rimbalzò su di lui. Il mago reale rabbrividì. El sorrise a denti stretti e avanzò faticosamente nella gabbia che aveva creato. L’energia percorse brevemente le sue membra come un fulmine affamato, invadendolo fino a farlo tremare incontrollabilmente.

Le mani di Undarl stavano gesticolando più rapidamente di quanto avesse mai visto fare a un mago. Questi era però a poca distanza dal principe, che conficcò la Spada del Leone nella bocca aperta del mago reale. Undarl emise un verso soffocato, poi El si avventò su di lui, singhiozzando, e lo pugnalò ripetutamente.

«Per Elthryn! Per Amrythale!», gridò l’ultimo principe di Athalantar. «Per Athalantar! E… per me, che gli dei ti maledicano!»

Il corpo sotto la sua lama iniziò a contorcersi. Improvvisamente timoroso di un incantesimo, Elminster balzò indietro. Il sangue sulla sua spada gocciolante era… nero!

El fissò con orrore il corpo sanguinante e in rovina del padrone dei signori maghi. Undarl si rialzò barcollando, fece un passo incerto, e tentò debolmente di afferrare El… con mani divenute improvvisamente squamose e artigliate. Il suo volto deformato dal dolore si allungò in un muso nero quando il mago si accasciò, e una lingua, lunga e biforcuta, ricadde sulle piastrelle prima che il corpo venisse improvvisamente circondato da luci scintillanti. In quel bagliore, l’essere squamato scomparve lentamente e tranquillamente, lasciando solo una pozza di sangue nero sulle piastrelle.

Elminster guardò il punto in cui il suo più grande nemico era scomparso, sentendosi improvvisamente tanto stanco da non riuscire a règgersi in piedi… Il principe si accasciò per terra, il pezzo di spada che aveva ucciso sia il re sia il mago reale, scivolò dalla sua mano. La barriera di spade luminose svanì rapidamente.

La stanza piombò nel silenzio. Solo dopo parecchi interminabili istanti, un cortigiano sbucò esitante da dietro le colonne, sguainando la sua esile spada di corte. Fece un cauto passo avanti, e poi un altro… e sollevò la spada per colpire lo straniero.

Una lama gli saltò subito alla gola, e l’uomo balzò all’indietro con un grido. La spada del re scintillò nella luce quando il fornaio che l’impugnava scorse la stanza con uno sguardo. «State indietro!», ringhiò Hannibur, «tutti!»

Mercanti e cortigiani fissarono la figura robusta in piedi di fianco allo straniero, che agitava la Spada del Cervo con fare incerto ma con feroce determinazione… finché una grande luce invase la stanza. Le loro facce sbalordite si voltarono verso di essa, solo per stralunare ulteriormente gli occhi.

Dalle doppie porte aperte entrò la fonte di tale luminosità: una signora alta, snella, regale, dalla pelle chiarissima, gli occhi neri, e i modi sicuri. Teneva per mano un’altra donna, una ragazza disorientata, a piedi nudi, con indosso una veste elegante troppo grande per lei, e che quando vide il fornaio urlò e si mise a correre verso di lui. «Hannibur! Hannibur!»

«Shan!», ruggì l’uomo, e la Spada del Cervo tintinnò, dimenticata, sul pavimento. Singhiozzando, corsero una nelle braccia dell’altro.

Un bagliore brillante sembrò emanare dal corpo regale della donna quando sorrise alla coppia abbracciata e si incamminò tranquillamente sul tappeto insanguinato, verso il corpo di Elminster accasciato sul pavimento. Fece un gesto della mano, e improvvisamente qualche cosa scintillò e sibilò nell’aria intorno a entrambi. In piedi, nella luce che aveva evocato, la donna sembrava una sorta di dea-maga, quando sollevò il mento e si guardò intorno con occhi scuri e misteriosi. La gente che incontrava il suo sguardo rimaneva immobile, rapita; Myrjala continuò a scorrere la stanza con lo sguardo finché tutti gli occhi non furono concentrati su di lei.

Poi parlò, e uomini e donne giurarono fino al giorno della morte che la donna aveva parlato loro, e a loro soltanto.

«Questa è l’alba di un nuovo giorno in Athalantar», cominciò. «Voglio vedere gli individui che erano benvenuti in questa sala quando Uthgrael era re. Portatemeli qui davanti al trono prima di sera. Se Belaur e i suoi signori maghi li hanno lasciati vivere tanto a lungo, portateli qui e date loro il benvenuto! Un nuovo re li convoca!»

Myrjala schioccò le dita, e i suoi occhi si scurirono. Improvvisamente tutti si mossero, e in fretta e furia uscirono dalle porte.

Quando schioccò di nuovo le dita, nella stanza erano rimasti solo Hannibur e Shandathe, sorridenti fra le lacrime e, voltandosi, i due videro uno scrigno ornato, apparire improvvisamente dal nulla.

Myrjala sollevò lo sguardo, sorrise, e fece segno loro di restare, mentre lei estraeva un fiasco dallo scrigno. Quando si inginocchiò accanto a Elminster e stappò il recipiente di vetro, il bagliore luminoso iniziò a svanire dalla sua pelle.

Le strade si riempirono presto di cittadini curiosi, alcuni avevano addosso ancora l’odore di una cena abbandonata frettolosamente. Entrando esitanti nei cancelli di Athalgard, passarono accanto alle guardie dei maghi e ad alcuni guerrieri poco noti, ancora impegnati in combattimento, e si affollarono a centinaia nella sala del trono. Vi erano bambini che si guardavano intorno eccitati, bottegai dall’aria guardinga, e uomini e donne anziani dagli occhi scintillanti, che barcollavano e strascicavano i piedi appoggiandosi a bastoni o alle spalle dei più giovani.

Orgogliosi, ma nel contempo umili, si accalcarono nella stanza, fissando con aria scioccata il sangue, i corpi anneriti e penzolanti delle guardie, e più di tutto il Re Belaur, disteso mezzo nudo accanto al Trono del Cervo.

Un giovane sconosciuto, dal naso adunco, era seduto sul trono, e una donna alta e snella, dagli occhi immensi e scuri era in piedi accanto a lui. L’uomo sembrava un vagabondo esausto nonostante la Spada del Cervo sulle sue ginocchia – ma lei era una regina.

Quando la stanza fu tanto affollata che la calca di corpi spinse Shandathe contro la barriera scintillante facendole emettere un grido di paura, Myrjala decise che il momento era arrivato. Fece un passo avanti e indicò l’uomo dall’aspetto stanco seduto sul trono. «Popolo di Athalantar, ecco Elminster, figlio del Principe Elthryn! Ha conquistato il trono per diritto d’armi: qualcuno fra i presenti nega il suo diritto di sedere sul Trono del Cervo e di governare il regno che era di suo padre?» Nessuno aprì bocca. Myrjala si guardò attorno. «Parlate, o inginocchiatevi al nuovo re!»

Qualcuno si agitò a disagio, ma tutti rimasero in silenzio. Un istante dopo, Hannibur il fornaio si inginocchiò, trascinando con lui anche Shandathe. Lo stesso fece un mercante di vino, e poi un venditore di cavalli… seguiti da tutti i presenti nella stanza.