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Myrjala chinò il capo in segno di soddisfazione, un lungo travaglio terminato, ed esclamò: «E così sia».

Sul trono, Elminster sospirò. «Finalmente, tutto è terminato». E lacrime improvvise gli rotolarono lungo il viso.

Myrjala guardò, oltre la folla inginocchiata, verso il gruppo dei più anziani in fondo alla stanza, scrutando le molte facce, poi improvvisamente sorrise e sollevò la mano in segno di saluto.

«Mithtyn», esclamò rivolta a un vecchio barbuto, «tu eri araldo alla corte di Uthgrael. Registra che nessuno ha contestato il diritto al trono di Elminster».

Il vecchio si inchinò e con voce resa bassa dal suo scarso uso, rispose: «Signora, sarà fatto… ma chi siete? Voi mi conoscete, ma io giuro di non avervi mai visto prima».

Myrjala sorrise e affermò: «Allora avevo un altro aspetto. Una volta tu dissi, dopo avermi visto, che non sapevi fossi capace di ballare».

Mithtyn la fissò e impallidì. Si accorse di avere la bocca aperta, deglutì, e indietreggiò d’un passo, sopraffatto dal timore. Poi cadde in ginocchio, tremante.

La donna gli sorrise nuovamente ed esclamò: «Ti ricordi. Non aver paura, bravo araldo. Non voglio farti del male. Alzati e rilassati».

Poi si voltò verso il trono: «Come d’accordo, El?»

Il giovane annuì, sorridendo fra le lacrime: «Come d’accordo».

Myrjala annuì, e raggiunse il centro della stanza camminando sul tappeto verde. Gli abitanti di Hastarl si divisero come se la donna fosse preceduta da una schiera di lance spianate. «Indietro, popolo della corte!», esclamò affabilmente. «Fate spazio, qui davanti a me!»

Indietreggiarono frettolosamente… e quando ebbero lasciata libera un’ampia zona di piastrelle, la maga schioccò le dita e protese una mano.

Lo spazio vuoto si riempì improvvisamente. Una ventina di uomini armati, sudati e sanguinanti, apparvero davanti a lei, le spade rosse sollevate, e si guardarono intorno selvaggiamente.

«Pace!», esclamò Myrjala. D’improvviso sembrò più alta, e il suo corpo fu di nuovo avvolto da una luminosità pulsante. Tale fu la forza della sua voce che i guerrieri non si mossero, e rimasero in silenzio, sbalorditi.

«Guardate, popolo di Hastarl!» gridò Myrjala. «Questi uomini sono rimasti fedeli ad Athalantar, uomini che desiderano la libertà per il proprio regno e la fine della tirannia di maghi crudeli. Sono i cavalieri di Athalantar, e ricordate colui che li guida: Helm Spadadipietra, un vero cavaliere di Athalantar!»

Elminster si alzò dal trono e raggiunse la donna. I due si guardarono, si scambiarono un sorriso, annuirono: e il giovane dal naso aquilino si portò nel mezzo della banda armata, ammutolita. Le spade oscillarono verso di lui, ma nessuno sferrò un colpo.

Elminster si avvicinò a Helm. «Sorpreso, vecchio amico?»

Helm annuì, senza parlare. La sua faccia, sporca e sudata, esprimeva stupore e un po’ di soggezione. Elminster gli sorrise, poi guardò la folla ed esclamò ad alta voce: «Per diritto d’armi, e per lignaggio, il Trono del Cervo mi appartiene! Tuttavia, so di non esserci portato. Chi saprà regnare meglio di me è proprio qui davanti a voi! Popolo di Athalantar, inginocchiatevi e rendete omaggio al vostro nuovo re: Helm di Athalantar!»

Helm e i suoi uomini rimasero attoniti. Un coro di acclamazione stridulo si innalzò, ma subito si spense. Persino ad Hastarl, stretta più che mai nella morsa dei signori maghi, la gente aveva udito del ribelle temerario dell’entroterra.

Elminster abbracciò Helm, gli occhi colmi di lacrime, ed esclamò: «Mio padre è stato vendicato. La terra la lascio a te».

«Ma… perché?» domandò il cavaliere, incredulo. «Perché rinunciare al trono?»

El rise, scambiò un’occhiata con Myrjala, e rispose: «Ora sono un mago, e sono fiero d’esserlo. La magia è… diciamo che mi si addice. È ciò per cui ero destinato. Avrei poco tempo per le cure che un regno richiede, e ancora meno pazienza per gli intrighi e lo sfarzo». Sogghignò e aggiunse: «Inoltre, penso che Athalantar ne abbia avuto abbastanza dei maghi al potere».

Sinceri mormorii di assenso si udirono in tutta la sala, quando le porte si spalancarono e una banda di furfanti entrò nella stanza, spade scintillanti alla mano. Farl e Tassabra stavano alla testa dei ladri delle Mani di Velluto. El fece loro un allegro cenno; Helm scosse il capo, come se vedesse già dei guai per i giorni a venire, sospirò e poi non poté fare a meno di sorridere.

«C’è una cosa che desidereremmo prima di andarcene», esclamò dolcemente Myrjala avvicinandosi a entrambi.

Helm la guardò con circospezione: «Sì, Signora?»

«Una festa, naturalmente. Se non hai nulla in contrario, farò un incantesimo che farà sparire tutto il ferro freddo da questa stanza, cosicché nessuno questa notte dovrà temere le armi – nemmeno le frecce – e potremo fare una grande baldoria!»

Helm la fissò. Improvvisamente gettò il capo all’indietro e proruppe in una gran risata. «Naturalmente», ruggì, «è il minimo che posso fare!»

Mithtyn si stava facendo largo tra la folla per raggiungerli, conducendo un giovane paggio tremante, che portava la corona di Athalantar su un cuscino. Elminster sorrise, la prese con un inchino, e la depose sulla testa di Helm. Poi urlò: «Inginocchiatevi, popolo di Athalantar, davanti a Helm Spadadipietra, Signore di Athalantar, Re della Corona del Cervo!» Vi fu un gran movimento, e tutti i presenti – eccetto Elminster e Myrjala – caddero in ginocchio.

Helm chinò il capo, ringraziò i due con un sorriso e batté le mani. «Alzatevi, tutti!» tuonò. «Portate cibo e vino e tavoli! Chiamate tutti i menestrelli della città e venite a divertirvi!» I suoi uomini gettarono a terra le spade e gridarono la loro approvazione, e la grande sala fu improvvisamente piena di grida festanti. Il popolo ondeggiò alla vista di Elminster… e il giovane si ritrovò la faccia nuovamente bagnata di lacrime. «Madre… padre…», sussurrò, la voce coperta dal tumulto, «ho fatto la cosa giusta».

Le braccia di Myrjala furono improvvisamente attorno a lui, calde e confortanti, ed El le appoggiò la testa sul petto e pianse. È grandioso essere finalmente liberi.

Sparì più cibo di quanto Helm credeva fosse possibile. Osservò sogghignando la gente che russava sulle panche… e il suo sorriso si allargò quando vide i suoi uomini danzare e far roteare fanciulle dal viso paonazzo, mentre i menestrelli stanchi continuavano inesorabilmente a cantare. Tra loro, la maga dagli occhi scuri danzava senza sosta, ma sembrava fresca e riposata come una regina appena uscita dalle sue stanze.

Là sul pavimento, mentre roteavano a ritmo di musica, un guerriero sporco, dalla barba ispida, si chinò sulla mano di Myrjala e guidò la donna nei passi di una danza intricata. D’un tratto si abbassò e le domandò curiosamente: «Signora, non vi offendete, ma perché non vi siete inginocchiata al nuovo re?»

«Io non mi inginocchio davanti ad alcun uomo, Anauviir», rispose, sorridendo. «Se vuoi sapere il perché, chiedilo a Mithtyn domani mattina».

Lasciò il guerriero a domandarsi come facesse a conoscere il suo nome, e si allontanò tra la folla danzante, in cerca di Mithtyn.

Era con altri anziani, appoggiato ai pilastri e stava osservando le danze. Quando la vide avvicinarsi, il vecchio impallidì e si voltò frettolosamente per allontanarsi, ma si ritrovò circondato da gente che spingeva per guardare. Non poteva scappare.

Myrjala lo prese saldamente per mano. «Dopo il tuo elogio per il mio modo di danzare, non vuoi unirti a me per un ballo? Mi ferisci, coraggioso Mithtyn! Non mi scapperai questa notte!»

Intorno a loro si udirono mormorii scherzosi e parole di gelosia quando la maga trascinò il vecchio araldo in una danza, ma quando più tardi Mithtyn tornò al suo posto, sorrideva, e camminava eretto, come se avesse vent’anni di meno.

Elminster era stanco, e gli doleva la gola, ma Tassabra lo aveva trascinato fermamente nel mezzo del ballo e l’aveva guidato abilmente in una danza di avidi baci e carezze – e quando Farl l’aveva reclamata sorridente, dandogli una manata sulla schiena tanto forte da farlo quasi cadere, le donne della corte si erano fatte avanti.