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El sentiva la notte scorrere lentamente sotto i suoi piedi, ormai instabili, ma ogni volta, una bellissima e zelante fanciulla, gli occhi scintillanti di eccitazione, gli prendeva la mano, e il principe era costretto a danzare.

I piedi cominciavano a fargli male, per non parlare della gola, e gocce di sudore rotolavano lungo la sua schiena sotto la camicia già inzuppata… ma la musica non accennava a smettere, e le fanciulle che lo circondavano non davano segni di stanchezza. Scuotendo il capo, El scrutò fra le spalle roteanti e i visi sorridenti, in cerca di una faccia regale con sereni occhi neri. D’un tratto li vide, e nonostante una cinquantina di persone stessero danzando fra loro, la voce di Myrjala sembrò un lieve sussurro al suo orecchio, «Va’ e divertiti! Ci incontreremo qui all’alba!»

Elminster domandò rivolto all’aria: «Ma tu che cosa farai?»

Pochi giri di danza più tardi, Myrjala gli passò accanto e gli strizzò l’occhio. El la guardò danzare verso Helm, sottrarlo abilmente alle braccia di Isparla, e voltare la testa per incontrare il suo sguardo interrogativo. «Escogiterò qualcosa!», rispose al suo allievo, e si rituffò nella mischia, trascinando Helm per la mano. Il vecchio cavaliere scosse la testa, sorrise a Elminster, e alzò le spalle.

Il giovane li guardò, sbalordito dalla voce traboccante di allegria della sua compagna – e poi, incontrollatamente, iniziò a ridere. Stava ancora sobbalzando per le risate quando mani lisce e delicate lo trascinarono oltre una porta, in un’anticamera meno illuminata, dove vi erano cuscini, vino, e labbra ansiose…

Nelle prime luci dell’alba, Elminster tornò barcollante nella stanza del trono. La testa gli martellava e aveva la bocca molto secca. C’era qualcosa che non andava col suo equilibrio, e si stava ancora riallacciando e sistemando ciò che restava dei suoi vestiti malconci, quando giunse alla porta doppia e si ritrovò a fissare gli occhi divertiti di Myrjala. Era in piedi di fronte al Trono del Cervo, impeccabile, i suoi abiti e il suo aspetto regale immutati dalla sera precedente. «Athalantar ti ha ringraziato come si deve?», gli domandò con tono canzonante.

Elminster le diede un’occhiata. Le sue dita, ancora occupate ad agganciare bottoni qua e là, scivolarono su qualche cosa di setoso, ed estrassero un velo di donna da sotto la sua cintura. Scuotendo il capo, lo porse a Myrjala. «Vuoi che rinunci a tutto ciò?», le domandò tristemente.

La donna scoppiò a ridere. «Ti stancheresti dei complotti e dei tradimenti dopo soli dieci giorni… Non è necessario essere re per mangiare, danzare, e passare una notte d’amore, lo sai».

Elminster sospirò e osservò intorno a sé gli scudi e i vessilli dei suoi antenati. Poi, riemergendo da ricordi distanti, posò nuovamente lo sguardo su di lei, e si stiracchiò.

«Ai cavalli, dunque», esclamò vivacemente, «e via di qui prima che Helm si svegli».

Myrjala annuì e avanzò per prenderlo sotto braccio e uscire insieme dalla stanza del trono.

Le stalle erano enormi e fiocamente illuminate, ma silenziose, era molto presto infatti. Myrjala scelse tranquillamente due dei migliori cavalli, e ordinò a uno stalliere assonnato di sellarli.

«Qui, adesso…» protestò, corrugando la fronte. «Quei…» Si interruppe bruscamente, guardando gli occhi severi della donna. Il suo sguardo cadde sulle sue mani, che stavano per fare un incantesimo, allora deglutì ed esclamò: «Un momento, Signora… saranno pronti in un baleno!»

Myrjala sorrise brevemente, poi si voltò verso El e schioccò le dita. Lucenti selle imbottite si materializzarono lentamente ai suoi piedi. Il giovane le lanciò un’occhiata interrogativa.

«Mi sono presa la libertà», affermò con un sorriso sereno e innocente, «di riempirle questa mattina presto. Chi conquista i regni e poi li dà via merita almeno di mangiare decentemente».

Elminster ne sollevò una e scoprì che era dannatamente pesante e che tintinnava. Monete, o non era mai stato ladro. Sciolse abilmente i nodi e aprì una tasca. Era piena di monete d’oro.

Myrjala gli sorrise innocentemente e allargò le mani. «Quanto oro può spendere un re? Ne abbiamo bisogno lungo il cammino della nostra prossima avventura…»

«Dove ci condurrà, se posso saperlo?», Elminster si abbassò, intrecciò le mani, e la donna vi appoggiò la punta di un soffice stivale e saltò leggiadra in sella.

«Quest’avventura non è ancora conclusa, temo», rispose Myrjala con tono allarmato. Elminster la guardò pensieroso, ma la maga non disse nulla e spronò il cavallo verso i cancelli.

Uscirono nella foschia mattutina e trovarono Mithtyn che appoggiato al suo bastone, li aspettava. Sollevò lo sguardo, deglutì e abbozzò un sorriso. «Qualcuno di Athalantar deve pur ringraziarvi come si deve. Temo di trovare le parole… ma non vorrei che ve ne andaste senza neanche un saluto!»

Myrjala si inchinò lievemente sulla sella, ed esclamò: «I nostri ringraziamenti, Mithtyn. Tuttavia, ti vedo turbato… e vorrei sapere di che si tratta, se non ti dispiace».

Il vecchio la fissò per un momento e poi parlò frettolosamente. «La profezia di Alaundo, Signora! Non si è mai sbagliato, e disse che “il lignaggio degli Aumar sopravviverà al Trono del Cervo”! Ciò può solo significare che Athalantar non sopravviverà senza un Aumar come re… e ora voi ve ne andate!»

Elminster rivolse al vecchio un sorriso storto. «Fintanto che vivrò, il lignaggio degli Aumar continuerà, e questo regno crescerà forte e felice nei giorni a venire».

Mithtyn non rispose, il viso turbato, ma si inchinò. I due sollevarono le mani in segno di addio, e partirono in silenzio. Mentre avanzavano, il sole toccò i tetti di Hastarl con una luce rossastra. Il vecchio araldo li guardò allontanarsi, immobile e silenzioso.

El e Myrjala si fermarono in cima alla strada. Il giovane dal naso adunco guardò il vecchio cimitero e sussurrò qualcosa all’orecchio della donna alta che cavalcava con lui, puntando un dito. L’araldo allungò il collo, cercando di vedere che cosa stesse indicando il principe che aveva rinunciato al suo regno… e poté vedere soltanto un cumulo di vestiti.

Si trattava di… un mantello, disteso sopra un uomo e una donna dormienti. Mithtyn si schiarì la gola, imbarazzato, ma ormai li aveva riconosciuti: l’uomo sorridente di nome Farl e la sua ragazza, piccola e meravigliosa. Sì, Tassabra, si chiamava. E dietro di loro, sedeva qualcosa, e stava guardando proprio lui! Un elfo! Un elfo maschio, alto e silenzioso, con un bastone di legno sulle ginocchia… Mithtyn deglutì, sollevò la mano in un goffo saluto, e si vide ricambiato.

Poi l’elfo girò la testa. Mithtyn guardò nella sua stessa direzione in tempo per vedere il principe e la maga, – se voleva essere conosciuta come tale – svanire dietro un angolo di una vecchia casa imponente. Quando scomparvero, il vecchio rabbrividì una volta. Poi si voltò verso il castello, gli occhi umidi di lacrime. Sapeva che non avrebbe più visto nulla di tanto importante nel resto dei suoi giorni. Ed era un pensiero difficile da sopportare di prima mattina.

Forse, ci sarebbe riuscito dopo un buon fritto, qualche tazza di tè caldo e con la presenza della moglie, a cui raccontare tutto. Mithtyn sperò – non per la prima volta – di poter vivere abbastanza a lungo affinché la figlia fosse sufficientemente grande per dargli retta, e ascoltare, e apprezzare ciò che le diceva. Le avrebbe raccontato un centinaio di volte di quella mattina.

Mentre attraversava il cortile, uno dei cavalieri di Helm si avvicinò a lui e un po’ titubante raccontò all’araldo ciò che Myrjala gli aveva detto mentre danzavano la notte precedente. Mithtyn guardò l’uomo negli occhi e scoprì di avere qualcuno con cui parlare, dopo tutto. Dunque condusse Anauviir verso le cucine, e si sentì subito meglio.