— Sì, Raul Endymion. Voglio che la Pax sia distrutta e che il potere della Chiesa sia abbattuto.
Annuii. Due o trecento pianeti si erano uniti spontaneamente alla Pax. Trilioni d’esseri umani avevano ricevuto spontaneamente il battesimo della Chiesa. L’esercito della Pax era più potente di quanto la FORCE dell’Egemonia non si fosse mai sognata al massimo del suo splendore. — D’accordo — dissi. — Me ne occuperò io. Altro?
— Sì. Devi impedire allo Shrike di nuocere a Aenea o di spazzare via la razza umana.
Qui esitai. Secondo il poema epico del vecchio, lo Shrike era stato distrutto dal soldato Fedmahn Kassad in un’imprecisata epoca futura. Pur conoscendo la futilità di far entrare la logica nella conversazione con un pazzo, misi in evidenza questo particolare.
— Sì! — sbottò il vecchio poeta. — Ma è una questione di tempo! Devi fermare lo Shrike adesso, non fra vari millenni!
— D’accordo — risposi. A che scopo discutere?
Martin Sileno si lasciò ricadere contro la spalliera, come se tutta la sua energia si fosse dissipata. Vidi di nuovo in lui la mummia animata: nelle pieghe della pelle, negli occhi infossati, nelle dita ossute. Ma nei suoi occhi brillava ancora una luce intensa. Provai a immaginare la forza della personalità di quell’uomo nel pieno del suo vigore: non ci riuscii.
Sileno rivolse un cenno agli androidi. A. Bettik portò due calici e versò lo champagne.
— Allora accetti, Raul Endymion? — domandò il poeta, con voce forte e formale. — Accetti l’incarico di salvare Aenea, di viaggiare con lei e di portare a termine le altre imprese?
— A una sola condizione — dissi.
Sileno corrugò la fronte e aspettò che continuassi.
— Voglio prendere con me A. Bettik. — L’androide era ancora accanto al tavolo. Teneva in mano la bottiglia di champagne. Guardava dritto davanti a sé; non si girò a guardare l’uno o l’altro di noi, né lasciò trasparire una qualsiasi emozione.
Il poeta si mostrò sorpreso. — Il mio androide? Parli sul serio?
— Parlo sul serio.
— A. Bettik è con me da prima che alla tua bis-bis-bisnonna venissero le tette — gracchiò il poeta. Calò sul tavolo la mano, con tanta forza che mi preoccupai per le sue fragili ossa. — A. Bettik — disse, brusco — Vuoi andare con lui?
L’uomo dalla pelle azzurra annuì senza girare la testa.
— Vaffanculo — disse il poeta. — Prendilo pure. Vuoi altro, Raul Endymion? La mia poltrona a cuscino d’aria, forse? Il mio respiratore? I miei denti?
— Nient’altro — risposi.
— E allora, Raul Endymion — disse il poeta, in tono di nuovo formale — accetti l’incarico? Salverai, servirai e proteggerai Aenea, finché il destino della bambina non si sarà compiuto… o morirai nel tentativo?
— Accetto.
Martin Sileno alzò il bicchiere e io lo imitai. Troppo tardi pensai che pure l’androide avrebbe dovuto bere con noi: il vecchio poeta già faceva il brindisi.
— Alla pazzia — disse. — Alla divina follia. Alle insane mete e ai messia che gridano nel deserto. Alla morte dei tiranni. Alla confusione dei nostri nemici.
Cominciai a portare alle labbra il bicchiere, ma il vecchio poeta non aveva terminato.
— Agli eroi. Agli eroi che si fanno tagliare i capelli. — Vuotò il bicchiere in un solo sorso.
Lo imitai.
9
Nato di nuovo, il Padre Capitano Federico de Soya si guarda intorno, con stupore infantile, mentre attraversa piazza S. Pietro fra gli eleganti archi del colonnato del Bernini e si avvicina alla basilica. La giornata è magnifica: sole non troppo caldo, cielo azzurro, aria frizzante (l’unico continente abitabile di Pacem si trova a millecinquecento metri sul livello standard del mare e l’aria è rarefatta, ma fin troppo ricca d’ossigeno) e ogni cosa è bagnata dalla pastosa luce del pomeriggio che crea un’aura intorno alle maestose colonne, attorno alla testa della gente frettolosa; una luce che imbianca le statue di marmo ed evidenzia lo splendore delle tonache rosse dei vescovi e delle strisce rosse, azzurre e arancioni della divisa delle Guardie Svizzere ferme sul riposo; luce che dipinge l’alto obelisco al centro della piazza e i pilastri scanalati della facciata della basilica, che accende di splendore la cupola stessa, alta più di cento metri. Colombi si levano in volo e vengono colpiti da quella luce pastosa, mentre girano sopra la piazza, con ali ora bianche contro il cielo, ora scure contro l’abbagliante cupola della basilica di S. Pietro. Un mucchio di gente si muove ai lati, semplici ecclesiastici in tonaca nera e bottoni rosa, vescovi in bianco con bordo rosso, cardinali in rosso scarlatto e magenta scuro, cittadini del Vaticano in farsetto nero inchiostro, calzoni alla zuava e gorgiera bianca, suore in tonaca frusciante e copricapo bianco ad ala di gabbiano, preti maschi e femmine in semplice nero, ufficiali della Pax in alta uniforme scarlatta e nera come quella che lo stesso de Soya indossa oggi, e un piccolo numero di fortunati turisti e ospiti civili, che godono del privilegio d’assistere alla messa del Papa, abbigliati con i loro abiti più eleganti, per la maggior parte neri, ma tutti di stoffe così sfarzose da far risplendere anche la fibra più scura. La folla si muove verso la sublime basilica di S. Pietro, parlando a bassa voce, con atteggiamento animato ma grave. Una messa del Papa è un evento importante.
Oggi, a soli quattro giorni dal fatale congedo dalla task force MAGI e a un giorno dalla risurrezione, il Padre Capitano de Soya è accompagnato da padre Baggio, dal capitano Marget Wu e da monsignor Luca Oddi: Baggio, grassoccio e amabile, è il cappellano della risurrezione di de Soya; Wu, snella e silenziosa, è l’aiutante di campo dell’ammiraglio Marusyn della Flotta della Pax; Oddi, che ha ottantasette anni standard ma è tuttora vispo e arzillo, è lo stretto collaboratore del potente segretario di stato del Vaticano, cardinale Simon Augustino Lourdusamy. Si dice che il cardinale Lourdusamy sia la seconda persona più potente della Pax, l’unico membro della Curia romana cui Sua Santità presti orecchio, e individuo d’intelligenza incredibilmente vivace e pronta. Il potere del cardinale si riflette anche nel fatto che ricopre la carica di Prefetto della Sacra Congregano pro Gentium Evangelizatione vel de Propaganda Fide, il leggendario istituto per l’evangelizzazione delle genti, noto come Propaganda Fide.
Per il Padre Capitano de Soya la presenza di quelle due persone tanto potenti non è più sorprendente della luce del sole sull’alta facciata, mentre lui e gli altri tre salgono i larghi gradini verso la Basilica. La folla, già silenziosa, si zittisce del tutto, mentre i quattro sfilano nell’ampio sagrato, oltrepassano altre Guardie Svizzere sia in uniforme da parata sia in divisa da combattimento ed entrano nella navata. Lì anche il silenzio echeggia e de Soya si commuove fino alle lacrime davanti alla bellezza della grande chiesa e alle eterne opere d’arte che oltrepassa per andare ai banchi: la Pietà di Michelangelo, nella prima cappella a destra; l’antico bronzo di Arnolfo di Cambio, raffigurante san Pietro, il cui piede destro è quasi consumato da secoli di baci; e, vividamente illuminata dal basso, l’impressionante figura di Giuliana Falconieri vergine e santa, scolpita da Pietro Campi nel XVI secolo, più di millecinquecento anni fa.
Il Padre Capitano de Soya piange senza ritegno, quando con l’acqua santa si fa il segno di croce e segue padre Baggio nel banco a loro riservato. I tre preti e l’ufficiale della Pax s’inginocchiano in preghiera, mentre gli ultimi rumori si spengono. Ora la basilica è quasi buia: solo minuscoli faretti alogeni illuminano di luce dorata i tesori artistici e architettonici. De Soya guarda, fra le lacrime, i pilastri scanalati e le colonne barocche bronzo scuro di un’altra opera del Bernini, il baldacchino dorato e riccamente ornato sopra l’altare centrale dove solo il Papa può celebrare messa, e contempla le meraviglie delle ultime ventiquattro ore dalla propria risurrezione. Ha provato dolore, certo, e confusione, come se si riprendesse dallo stordimento causato da un forte colpo alla testa; e il dolore era in tutto il corpo, più penoso di qualsiasi emicrania, come se ogni cellula ricordasse l’indegnità della morte e ancora adesso vi si ribellasse; ma ha provato anche meraviglia. Meraviglia e stupore reverenziale per le cose più insignificanti: il sapore del brodo che padre Baggio gli ha fatto sorbire; la prima occhiata, dalla finestra del presbiterio, al cielo azzurro chiaro di Pacem; l’opprimente essenza umana delle facce viste quel giorno, delle voci udite. Il Padre Capitano de Soya, pur sensibile, non ha più pianto da quand’era bambino e aveva cinque o sei anni standard, ma oggi piange, piange apertamente e senza vergogna. Gesù Cristo gli ha fatto per la seconda volta dono della vita, il Signore ha condiviso con lui, fedele e onorato figlio di poveri genitori su di un pianeta arretrato, il sacramento della risurrezione e le singole cellule di de Soya ora sembrano ricordare il sacramento della rinascita, oltre al dolore della morte. De Soya è soffuso di gioia.