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— Aenea — disse lui.

— Mi piacerebbe strappare Aenea a quei tipi, ma se riveste per la Pax l’importanza a cui lei accennava prima… insomma, tremila Guardie Svizzere, Dio buono… non abbiamo modo d’entrare in un raggio di cinquecento chilometri dalla Valle delle Tombe, neppure con questa nave eccezionalmente perspicace.

Nonostante la distorsione olografica, lessi il dubbio negli occhi di Sileno, perciò continuai: — Parlo sul serio. Anche se non ci fossero la copertura spaziale e aerea, le navi torcia, i caccia e gli avioradar, ci sarebbero sempre le Guardie Svizzere. Voglio dire… — mi accorsi di stringere i pugni — che quelle sono micidiali! Addestrate a operare in squadre di cinque… e ogni squadra può abbattere una nave spaziale come questa.

Sileno inarcò le sopracciglia da satiro, per la sorpresa o per il dubbio.

— Stia a sentire — dissi. — Nave?

«Sì signor Endymion?»

— Hai schermi difensivi?

«No, signor Endymion. Ho campi di contenimento migliorati dagli Ouster, ma solo per uso civile.»

Non sapevo che cosa fossero i "campi di contenimento migliorati dagli Ouster", ma continuai: — Possono fermare un raggio compatto standard di nave torcia o una lancia al plasma?

«No» disse la nave.

— Puoi respingere torpedini C-più o cinetiche convenzionali?

«No.»

— Puoi batterle in velocità?

«No.»

— Puoi impedire l’ingresso a una squadra d’abbordaggio?

«No.»

— Hai capacità offensive o difensive in grado di vedersela con navi da guerra della Pax?

«A meno di considerare la capacità di correre come un’indemoniata, signor Endymion, la risposta è no.»

Guardai Martin Sileno. — Siamo fottuti — mormorai. — Anche se riuscissi ad avvicinarmi alla bambina, quelli catturerebbero anche me, oltre lei.

Martin Sileno sorrise. — Forse no — disse. Rivolse un cenno ad A. Bettik; l’androide andò alla scala a chiocciola, salì al piano superiore e tornò in meno di un minuto. Portava un rotolo di chissà quale materiale.

— Se quella è l’arma segreta — dissi — è meglio che sia buona.

— È buona — confermò l’ologramma, con un sorrisetto compiaciuto. Rivolse un cenno all’androide. A. Bettik srotolò il cilindro.

Era un tappeto, lungo un po’ meno di due metri e largo poco più d’un metro. Il tessuto era logoro e sbiadito, ma si scorgeva l’intricato disegno. Una complessa trama di filo d’oro manteneva ancora la lucentezza di quando…

— Oddio — dissi. Avevo riconosciuto quell’affare e l’effetto era stato come un pugno alla bocca dello stomaco. — Un tappeto volante.

L’ologramma di Martin Sileno si schiarì la gola come per sputare. — Non un tappeto volante — brontolò. — Il tappeto volante!

Arretrai di un passo. Quel tappeto era pura leggenda e io ci stavo quasi sopra.

Erano esistite solo alcune centinaia di tappeti volanti e quello era il primo, creato da Vladimir Sholokov, studioso di lepidotteri e ingegnere di sistemi EM, poco dopo la distruzione della Vecchia Terra, quando lo scienziato, già settantenne, si era follemente invaghito della nipote Alotila ancora ragazzina e aveva inventato quel marchingegno per conquistarne il cuore. Dopo un interludio appassionato, la ragazzina aveva respinto il vecchio Sholokov, che si era suicidato sulla Nuova Terra solo qualche settimana dopo il perfezionamento dell’attuale motore Hawking. Il tappeto era andato perduto per secoli, finché Mike Osho non l’aveva comprato al Mercato Carvnel e l’aveva portato su Patto-Maui, usandolo col suo commilitone Merin Aspic in quella che sarebbe stata un’altra leggendaria storia d’amore, la relazione tra Merin e Siri. Naturalmente questa seconda leggenda era entrata nei Canti di Martin Sileno, perché, se vi si prestava fede, Siri era la nonna del Console. Nei Canti, il Console dell’Egenomia aveva usato proprio quel tappeto hawking (con l’h minuscola perché prendeva nome dal falco terrestre e non da Hawking, lo scienziato pre-Egira il cui lavoro aveva portato al superamento del muro della luce, grazie al motore interstellare migliorato) per attraversare Hyperion in un’ultima leggenda, l’epico volo dalla Valle delle Tombe del Tempo alla città di Keats per liberare proprio la nave in cui ci trovavamo e riportarla nella valle.

Piegai il ginocchio e toccai con reverenza il tappeto.

— Cristiddio — disse Sileno — è solo un merdoso tappeto. Anche brutto, per giunta. A casa mia non lo terrei… fa a pugni con tutto.

Alzai gli occhi.

— Sì — disse A. Bettik — è proprio quel tappeto.

— Funziona ancora? — domandai.

A. Bettik si mise in ginocchio accanto a me e toccò l’aggrovigliato disegno. Il tappeto divenne rigido come un’asse e si librò a dieci centimetri dal pavimento.

Scossi la testa. — Non ho mai capito… I sistemi EM su Hyperion non funzionano a causa delle anomalie del campo magnetico locale…

— I grossi sistemi EM — precisò, brusco, Martin Sileno. — Veicoli elettromagnetici. Chiatte a levitazione. Roba grossa. Il tappeto funziona. Ed è stato migliorato.

Inarcai il sopracciglio. — Migliorato?

«Sempre gli Ouster» intervenne la nave. «Non ricordo bene, ma hanno armeggiato in un mucchio di cose, quando andammo da loro, due secoli e mezzo fa.»

— Ah, certo — dissi. Mi alzai e con la punta del piede diedi un colpetto al leggendario tappeto: ondeggiò avanti e indietro, come fissato su solide molle, ma rimase librato dov’era. — D’accordo — dissi — abbiamo il tappeto volante di Merin e di Siri, che, se ricordo la storia, volava a circa venti chilometri all’ora…

— Ventisei chilometri, velocità massima — precisò A. Bettik.

Annuii e colpii di nuovo il tappeto. — Ventisei chilometri, con un buon vento a favore. E la Valle delle Tombe del Tempo quanto dista da qui?

«1689 chilometri» rispose la nave.

— E quanto tempo abbiamo, prima che Aenea esca dalla Sfinge?

— Venti ore — rispose Martin Sileno. Probabilmente si era stancato dell’immagine di se stesso più giovane, perché adesso la proiezione olografica era quella del vecchio che avevo visto la sera prima, poltrona a cuscino d’aria e tutto il resto.

Guardai il cronometro da polso. — Sono in ritardo — dissi. — Avrei dovuto iniziare il volo un paio di giorni fa. — Mi accostai di nuovo al pianoforte. — E anche se fossi partito allora? Quella è la nostra arma segreta? Possiede forse un supercampo di difesa che protegga me e la bambina dai raggi e dai proiettili delle Guardie Svizzere?

— No — disse A. Bettik. — Non ha alcuna capacità difensiva, a parte un campo di contenimento per deviare il vento e tenere al loro posto i passeggeri.

Scrollai le spalle. — Allora cosa faccio? Porto nella valle il tappeto e offro alla Pax un baratto? Un vecchio tappeto hawking in cambio della bambina?

A. Bettik rimase in ginocchio accanto al tappeto sospeso a mezz’aria. Continuò ad accarezzare il tessuto sbiadito. — Gli Ouster lo hanno modificato in modo da mantenere più a lungo la carica… fino a mille ore.

Annuii. Fantastica tecnologia dei superconduttori, ma del tutto irrilevante, nel nostro caso.

— E ora vola a più di trecento all’ora — continuò l’androide.

Mi mordicchiai il labbro. Così potevo arrivare laggiù l’indomani. Se decidevo di stare seduto su un tappeto volante per cinque ore e mezzo. E poi?

— Pensavo che dovevamo portarla via su questa nave — dissi. — Farla uscire dal sistema di Hyperion…

— Sì — disse Martin Sileno, con voce a un tratto stanca come l’aspetto dell’immagine olografica — ma prima devi portarla alla nave!

Mi allontanai dal pianoforte, mi fermai accanto alla scala e mi girai di colpo verso l’androide, l’ologramma e il tappeto. — Voi due non volete proprio capire, vero? — dissi, con voce più alta e più aspra di quanto non volessi. — Quelle sono Guardie Svizzere! Se pensate che il maledetto tappeto mi possa far passare sotto i loro radar, i rivelatori di movimento e gli altri sensori, siete pazzi. Sarei solo un facile bersaglio che svolazza a trecento all’ora. Credetemi, i grugniti delle Guardie Svizzere… per non parlare dei pulsorazzi delle pattuglie aeree… per non parlare delle navi torcia in orbita… colpirebbero quell’affare in un nanosecondo.