Tengo la mano sui fili d’accelerazione, timoroso di far rallentare a passo d’uomo il tappeto proprio qui, dove sono destinato a essere un facile bersaglio. Avevo detto che solo un miracolo avrebbe impedito alle Guardie Svizzere di spararmi addosso; il poeta me ne aveva promesso uno. Ci siamo.
Sabbia turbina nell’apertura della tomba, copre come cascata asciutta il vano. Sarebbe questo, il miracolo? Mi auguro di no. I soldati possono vedere con facilità anche in una tempesta di sabbia. Fermo il tappeto al limitare del vano, prendo dallo zaino un fazzoletto e gli occhiali da sole, col fazzoletto mi copro naso e bocca, torno a distendermi bocconi, poso le dita sui disegni di volo e premo i fili d’accelerazione.
Il tappeto hawking varca il portale ed esce all’aria aperta.
Scatto a zigzag sulla destra, facendo alzare e abbassare il tappeto in una rapida manovra evasiva, pur sapendo che simili tentativi sono inutili contro armi a ricerca automatica del bersaglio. Non importa… l’istinto di conservazione ha la meglio sulla logica.
Non vedo niente. La tempesta è così violenta che a due metri del bordo del tappeto tutto è oscurato. È una pazzia… con il vecchio poeta non abbiamo mai considerato la possibilità che qui ci fosse una tempesta di sabbia. Ignoro perfino a quale altezza mi trovo.
All’improvviso un arco rampante affilato come rasoio passa a meno d’un metro sotto il tappeto lanciato a grande velocità; subito dopo, passo io sotto un altro puntello metallico munito di barbi; capisco d’essere finito quasi contro il Palazzo dello Shrike. Punto proprio nella direzione sbagliata, sud, e invece mi devo dirigere all’estremità nord della Valle. Guardo la bussola, ho la conferma dell’errore, faccio girare il tappeto. Dalla fuggevole occhiata al Palazzo dello Shrike calcolo che il tappeto voli a circa venti metri da terra. Fermo il tappeto, scopro che è sballottato dal vento, mi abbasso come su di un ascensore fino a toccare la roccia spazzata dai turbini. Poi mi alzo a tre metri, mantengo questa quota e punto dritto a nord, a velocità di poco superiore al passo d’uomo.
Dove saranno i soldati?
Come in risposta alla domanda inespressa, accanto a me saettano sagome scure in armatura da guerra. Ho un sussulto, quando mettono in funzione le barocche lance a energia e i tozzi fucili a fléchettes, ma capisco che non sparano a me. Sparano dietro di loro. Guardie Svizzere in fuga! Non ho mai sentito una cosa simile.
A un tratto m’accorgo che, sotto l’ululato del vento, la Valle risuona di grida umane. Non capisco come sia possibile… in una simile tempesta, i soldati terrebbero l’elmetto ben chiuso e i visori calati. Ma le urla ci sono, le odo benissimo.
Un jet, o skimmer, romba all’improvviso in alto, a non più di dieci metri da me, con i cannoni automatici che sparano da tutt’e due i lati (rimango vivo solo perché mi trovo proprio sotto) e sono costretto a frenare di colpo, perché di colpo la tempesta davanti a me avvampa per una terribile esplosione di luce e di calore. Lo skimmer, jet o chissà cosa, si è schiantato contro una delle tombe più avanti. Il Monolito di Cristallo, immagino, o la Tomba di Giada.
Altri spari alla mia sinistra. Punto a destra, poi di nuovo a nordovest, nel tentativo di girare intorno alle tombe. Fulmini di plasma infuocato squarciano la tempesta. Stavolta qualcuno spara davvero su di me! Spara e mi manca? Com’è possibile?
Non aspetto di scoprirlo e faccio abbassare il tappeto hawking come un ascensore superveloce. Sbatto a terra e rotolo di lato, mentre fulmini d’energia ionizzano l’aria, meno di venti centimetri sopra la mia testa. Mentre rotolo, la bussola inerziale, ancora appesa al cordoncino che ho al collo, mi sbatte in viso. Non ci sono massi dietro cui nascondersi, non ci sono rocce; qui la sabbia è una distesa piatta. Cerco di scavarmi con le dita una buca, mentre fulmini azzurrini ricamano l’aria sopra la mia testa. Nugoli di fléchettes saettano in alto, con quel caratteristico fruscio simile al rumore di uno strappo. Se mi fossi trovato in volo, a quest’ora io e il tappeto hawking saremmo ridotti a minuzzoli.
Qualcosa di gigantesco è fermo a meno di tre metri da me nel turbinio di sabbia. Sta a gambe larghe, ben piantate. Pare un gigante in corazza da guerra rivestita di punte uncinate… un gigante con troppe braccia. Un fulmine di plasma lo colpisce, per un attimo mette in risalto i contorni della figura tutta punte. La figura non si fonde né cade né vola in pezzi.
Impossibile. Fottutamente impossibile. Una parte della mia mente nota con distacco che penso in termini volgari, come ho sempre fatto durante un combattimento.
L’enorme figura è scomparsa. Ci sono altre grida alla mia sinistra, esplosioni proprio davanti a me. Come cazzo dovrei trovare la bambina in mezzo a questo massacro? E se ci riesco, come ritrovo la via per la Terza Tomba Grotta? L’idea… il Piano… era di raccogliere al volo Aenea approfittando del miracolo/diversivo promesso dal vecchio poeta, correre a razzo di nuovo nella Terza Grotta e dare il via alla parte conclusiva del programma di volo automatico per i trenta chilometri di fuga verso Castel Crono sul bordo della Briglia, dove A. Bettik e la nave spaziale dovrebbero aspettarmi fra… tre minuti.
Anche in tutta quella confusione, non importa da che diavolo causata, non c’è modo che le navi torcia in orbita o le batterie antiaeree a terra manchino un oggetto della grandezza di una nave, se si trattiene al suolo più dei trenta secondi che ci siamo concessi. La missione di salvataggio è andata a farsi fottere.
La terra trema e un rimbombo riempie la Valle. O è esploso qualcosa di molto grosso, un deposito di munizioni come minimo, oppure è precipitato un velivolo più grande degli skimmer. Un tempestoso bagliore rossastro illumina l’intera parte nord della Valle, fiori di fiamma visibili anche attraverso la tempesta di sabbia. In risalto contro quel bagliore scorgo decine di figure corazzate in fuga, che sparano, volano in aria, cadono. C’è una figura più piccola delle altre, senza corazza. Il gigante uncinato è lì accanto. La figura più piccola, ancora stagliata contro l’infuocato bagliore di pura distruzione, assale il gigante, coi piccoli pugni colpisce barbi e punte.
— Merda! — Striscio verso il tappeto hawking, non lo trovo, mi sfrego gli occhi per togliere la sabbia, striscio in cerchio, sento della stoffa sotto la destra. Nei secondi in cui sono rotolato lontano, il tappeto è stato quasi sepolto. Scavo come un cane rabbioso per dissotterrarlo, porto alla luce i disegni di volo, li attivo e lancio il tappeto verso il bagliore che si affievolisce. Le due figure non sono visibili, ma ho avuto la presenza di spirito di dare un’occhiata alla bussola. Due scariche di lancia al plasma bruciano l’aria… una, qualche centimetro sopra il mio corpo disteso; l’altra, qualche millimetro sotto il tappeto.
— Merda! Maledizione! — grido a nessuno in particolare.
Il Padre Capitano de Soya è solo in parte cosciente, mentre sobbalza sulla spalla corazzata del sergente Gregorius. Intuisce vagamente altre sagome in corsa con loro nella tempesta di sabbia, sagome che di tanto in tanto lanciano scariche al plasma contro bersagli invisibili, e si domanda se siano i resti della squadra di Gregorius. Mentre perde e riprende conoscenza, ha il disperato desiderio di rivedere la bambina, di parlare con lei.
Gregorius rischia di sbattere contro qualcosa, si ferma, ordina alla squadra di serrare le fila. Un veicolo corazzato, uno scarabeo, privo dello schermo di mimetizzazione, sta di traverso sopra un masso. Manca del cingolo sinistro, le canne dei minicannoni posteriori sono fuse come candele nel fuoco. L’occhio-bolla destro è in frantumi, lascia un vuoto.