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— Bambina? — ripete Lempriere. Il sergente Gregorius dice al capitano qualcosa che de Soya non afferra: ha nelle orecchie un forte ronzio.

— Ah, sì — dice Lempriere — l’obiettivo da acquisire. Una nave l’ha prelevata dal pianeta e accelera verso la traslazione C-più…

— Una nave! — esclama de Soya. Con un puro e semplice atto di volontà riesce a non perdere i sensi. — Da dove diavolo spunta, una nave?

Risponde Gregorius, senza staccare lo sguardo dalla paratia. — Dal pianeta, signore. Da Hyperion. Mentre ci facevano il… durante l’evento Charlie Papa, la nave ha fatto un viaggetto nell’atmosfera, è atterrata al castello… Castel Crono, signore… e ha prelevato la bambina e lo sconosciuto che la trasportava in volo…

— Che la trasportava in volo? — lo interrompe de Soya. Ha difficoltà a udire, tormentato dal crescente ronzio nelle orecchie.

— Una sorta di VEM monoposto — spiega il sergente. — Anche se i cervelloni del settore tecnico non capiscono come possa funzionare. In ogni caso, la nave li ha prelevati, ha attraversato la formazione di combattimento orbitante mentre era in corso il massacro e ora corre verso la traslazione C-più.

— Massacro — ripete ottusamente de Soya. Si accorge di sbavare. Col dorso della mano si asciuga il mento e cerca di non guardare, mentre si pulisce, i resti della propria gamba. — Massacro. Cosa l’ha provocato? Contro chi combattevamo?

— Non sappiamo, signore — risponde Lempriere. — Era come ai vecchi tempi… i giorni della FORCE dell’Egemonia, quando le truppe d’assalto giungevano via teleporter, signore. Voglio dire, migliaia di… di "cose" corazzate sono comparse dappertutto, nello stesso istante, signore. La battaglia è durata solo cinque minuti. Quelle "cose" erano migliaia. E poi sono sparite.

De Soya si sforza di sentire, fra le tenebre che lo avvolgono e il ronzio che lo assorda, ma non cava senso da quelle parole. — Migliaia? Di cosa? Sparite dove?

Gregorius muove un passo avanti e guarda il Padre Capitano. — Non migliaia, signore. Uno solo. Lo Shrike.

— Quella è una leggenda… — comincia Lempriere.

— Solo lo Shrike — continua il gigantesco nero, senza badare al capitano del trasporto truppe. — Ha ucciso gran parte delle Guardie Svizzere e metà dei soldati regolari su Equus, ha abbattuto tutti i caccia Scorpione, ha tolto di mezzo due navi torcia, ha ucciso tutti a bordo della nave Tre-C, ha lasciato qui il suo biglietto da visita ed è svanito in meno di trenta secondi. Fine. Il resto è colpa dei nostri, che si sparavano addosso l’un l’altro in preda al panico. Lo Shrike.

— Idiozie! — sbotta Lempriere, con il cranio calvo che diventa rosso per l’agitazione. — Questa è pura fantasia, un’enorme balla e un’eresia per giunta! Chi ci ha colpito oggi non era…

— Silenzio! — dice de Soya. Ha l’impressione di guardare e di parlare dal fondo di un lungo tunnel tenebroso. Ciò che ha da dire, deve dirlo in fretta. — Ascolti… capitano Lempriere… per la mia autorità, per l’autorità del Papa, autorizzi il capitano Sati a prendere a bordo della Sant’Antonio i superstiti della San Bonaventura per completare l’equipaggio. Ordini a Sati di seguire la bambina… la nave spaziale con a bordo la bambina… di seguirla al punto di traslazione, di rilevare le coordinate e di seguirla…

— Ma, Padre Capitano… — comincia Lempriere.

— Mi stia a sentire! — grida de Soya, per superare il rumore di cascata che gli romba nelle orecchie. Ormai vede solo un turbinio di puntini neri. — Ascolti… ordini al capitano Sati di seguire quella nave in qualsiasi luogo… anche se impiegherà una vita… e di catturare la bambina. Questa è la direttiva primaria e assoluta. Catturare la bambina e portarla su Pacem. Gregorius?

— Sissignore.

— Non permettere che mi operino, sergente. La nave corriere è intatta?

— La Raffaele? Sì, signore. Durante la battaglia non aveva nessuno a bordo; lo Shrike non l’ha toccata.

— Hiroshe… il pilota della mia navetta… è ancora in giro?

— Nossignore. È stato ucciso.

De Soya riesce appena a sentire la voce del sergente rimbombare sopra il rimbombo di fondo. — Requisisci un pilota e una navetta, sergente. Porta me e il resto della squadra…

— Solo due uomini, signore.

— Ascolta. Portaci sulla Raffaele. La nave saprà cosa fare. Comunica alla nave che dobbiamo seguire la bambina… la nave sconosciuta… e la Sant’Antonio. Dovunque vada la bambina, andiamo noi. Sergente?

— Sì, Padre Capitano!

— Tu e i tuoi uomini siete cristiani rinati, vero?

— Sì, Padre Capitano!

— Bene, preparatevi a rinascere sul serio.

— Ma la sua gamba… — dice il capitano Lempriere, da una distanza molto, molto remota. La sua voce, mentre si allontana, pare modificata da un effetto Doppler sonoro.

— La ritroverò di nuovo unita al corpo, quando sarò risuscitato — borbotta il Padre Capitano de Soya. Vuole chiudere gli occhi per dire ora una preghiera, ma non ha bisogno di chiudere gli occhi per tagliare fuori la luce… la tenebra intorno a lui è assoluta. Nel rombo e nel ronzio, senza sapere se qualcuno riesce a udirlo né se parla davvero, soggiunge: — Presto, sergente. Subito!

17

Scrivendo queste pagine, dopo tutti quegli anni, pensavo che sarebbe stato difficile ricordare Aenea bambina. Non è difficile. I miei ricordi sono così pieni degli anni seguenti, delle immagini successive (intensa luce del sole sul suo corpo di donna, mentre restiamo librati fra i rami della foresta orbitale, la prima volta che abbiamo fatto l’amore a gravità zero, girellando con lei sui passaggi pedonali sospesi di Hsuank’ung Su, con i dirupi rossorosati di Hua Shan che colgono l’intensa luce sopra di noi) al punto da farmi temere che quei primi ricordi sarebbero stati troppo inconsistenti. Non lo sono. E neppure ho ceduto all’impulso di saltare agli anni più recenti, malgrado il timore che questo resoconto possa essere interrotto a ogni istante dal sibilo quantistico-meccanico del gas venefico nella scatola di Schrödinger. Scriverò ciò che riuscirò a scrivere. Il destino determinerà il punto finale di questo resoconto.

A. Bettik ci precedette su per la scala a chiocciola fino alla sala con il pianoforte, mentre la nave ruggiva nello spazio. Il campo di contenimento manteneva costante la gravità, malgrado la pazzesca accelerazione, ma continuavo a sentirmi follemente esilarato… forse solo per le conseguenze di troppa adrenalina in breve tempo. La bambina era sporca, scarmigliata, ancora sconvolta.

— Voglio vedere dove siamo — disse. — Per favore.

La nave l’accontentò e trasformò in finestra la parete al di là della piazzola olografica. In basso il continente Equus rimpiccioliva e il muso del cavallo era oscurato da una nube di polvere rossastra. A nord, dove le nuvole coprivano il polo, il lembo di Hyperion era una curva netta. Nel giro d’un minuto l’intero pianeta fu un globo; due dei tre continenti erano visibili sotto nuvole sparse; il Grande Mare Meridionale era d’un azzurro da lasciare senza fiato, mentre l’arcipelago Nove Code era circondato dal verde delle secche. Poi Hyperion rimpicciolì, divenne una sfera d’azzurro-e-rosso-e-bianco, rimase indietro. Ce ne andavamo di fretta.

— Dove sono le navi torcia? — domandai all’androide. — Ormai avrebbero dovuto intimarci l’alt. O ridurci a pezzettini.

— La nave e io tenevamo sotto controllo i loro canali a larga banda — rispose A. Bettik. — Avevano… altro a cui pensare.

— Non capisco — dissi, camminando sul bordo della piazzola olografica, troppo agitato per accomodarmi sui soffici cuscini. — La battaglia… chi…