Ci guardammo in silenzio per qualche istante e capii quanto mi fosse estranea quella giovane creatura: gli avvenimenti storici di Hyperion a me noti in gran parte non si erano ancora verificati, quando la bambina era entrata nella Sfinge, "stamattina".
— Comunque — riprese Aenea — non abbiamo progettato tutto fin nei minimi particolari, per esempio il tappeto hawking… non potevamo sapere se la nave del Console sarebbe tornata portandolo con sé… però mamma e io abbiamo progettato di usare il Labirinto, se la Valle delle Tombe fosse stata zona proibita. Questa parte del piano ha funzionato. E ci auguravamo che la nave del Console fosse lì per portarmi via dal pianeta.
— Parlami dei tuoi tempi — dissi.
Aenea scosse la testa. — Te ne parlerò, ma non ora. Conosci già la mia epoca. Per te è storia e leggenda. Invece io ignoro tutto dei tuoi tempi, a parte i sogni, perciò parlami del presente. Quant’è largo? Quant’è profondo? Quant’è mio da tenere?
Non riconobbi l’allusione contenuta nell’ultima domanda, ma cominciai a parlarle della Pax… della grande cattedrale a San Giuseppe e…
— San Giuseppe? — disse Aenea. — Dove si trova?
— Ai tuoi tempi si chiamava Keats — risposi. — La capitale. Un tempo detta anche Jacktown.
— Ah — disse lei, sistemandosi sui cuscini, tenendo in equilibrio fra le dita sottili il bicchiere di succo di frutta — hanno cambiato il nome pagano. Be’, a mio padre non sarebbe importato.
Per la seconda volta aveva citato suo padre… immaginai che parlasse del cìbrido Keats… ma non le domandai spiegazioni.
— Sì — continuai — il nome di molte città e di punti di riferimento è cambiato, quando due secoli fa Hyperion si è unito alla Pax. Si è parlato pure di cambiare nome al pianeta, ma non se n’è fatto niente. In ogni caso, la Pax non governa direttamente Hyperion, ma i militari vi hanno portato l’ordine… — Andai avanti così per un poco, riferendole particolari su tecnologia, cultura, linguaggio e governo attuali. Le descrissi ciò che avevo udito, letto e visto, della vita sui mondi più progrediti della Pax, compresi gli splendori di Pacem.
— Oddio — disse lei, alla prima pausa — le cose non sono poi cambiate moltissimo. Pare che la tecnologia si sia impantanata… ancora non ha raggiunto il livello dei tempi dell’Egemonia.
— Be’, di questo la Pax è in parte responsabile. La Chiesa vieta le macchine pensanti, le vere Intelligenze Artificiali, e pone l’accento sullo sviluppo umano e spirituale, non sul progresso tecnologico.
Aenea annuì. — Certo; ma si penserebbe che in due secoli e mezzo avessero raggiunto di nuovo il livello della Rete dei Mondi. Voglio dire, pare il Medio Evo o qualcosa del genere.
Le sorrisi, perché m’ero accorto d’essermi un po’ risentito: avevo provato fastidio per la critica alla società della Pax, società alla quale tuttavia non avevo voluto unirmi. — In realtà, no — dissi. — Non dimenticare che il cambiamento più importante è stato l’offerta della virtuale immortalità. Grazie a questo, la crescita demografica è regolata accuratamente e c’è minor incentivo a cambiare le cose esteriori. Molti cristiani rinati sono convinti di restare in vita a lungo… parecchi secoli, come minimo, e millenni, con un po’ di fortuna… perciò non hanno nessuna fretta di fare cambiamenti.
Aenea mi scrutò. — Allora la storia del crucimorfo che fa risuscitare è vera?
— Oh, sì!
— E tu perché non hai… accettato la croce?
Per la terza volta negli ultimi giorni non sapevo come spiegarlo. Mi strinsi nelle spalle. — Caparbietà, immagino. Sono testardo di natura. E poi, da giovane, un mucchio di gente come me si tiene lontano dal crucimorfo… tutti progettiamo di vivere in eterno, giusto? Poi si converte, quando l’età comincia a farsi sentire.
— Ti convertirai? — I suoi occhi scuri mi trapassavano.
M’imposi di non scrollare di nuovo le spalle, ma il gesto della mano fu l’equivalente della scrollata. — Non so — risposi. Ancora non le avevo parlato della mia "esecuzione" e della susseguente rinascita grazie a Martin Sileno. — Non so — ripetei.
A. Bettik entrò nel cerchio della piazzola olografica. — M’è venuto in mente che avrei dovuto informarvi d’avere rifornito la nave di una grossa provvista di gelato. Di parecchi gusti. Potrei risvegliare l’interesse dell’una o dell’altro in una porzione?
Formulai una frase per ricordare all’androide che in quel viaggio non era un domestico, ma Aenea mi anticipò. — Sì, cioccolato!
A. Bettik annuì, le sorrise, si rivolse a me. — Signor Endymion?
Era stata una giornata lunghissima: viaggi sul tappeto hawking nel Labirinto, tempeste di sabbia, massacri (opera dello Shrike, aveva detto Aenea!) e il mio primo volo fuori del pianeta. Una giornata da ricordare.
— Cioccolato — dissi. — Sì. Va giusto bene il cioccolato.
20
I sopravvissuti della squadra del sergente Gregorius sono il caporale Bassin Kee e il lanciere Ahranwhal Gaspa K.T. Rettig. Kee è piccolo, tozzo, svelto di riflessi e di mente, mentre Rettig è molto alto, quasi quanto Gregorius, ma tanto magro quanto lui è massiccio. Rettig proviene dai Territori della Fascia di Lambert e ha le cicatrici da radiazioni, la struttura scheletrica e la propensione all’indipendenza tipiche di chi è nato sugli asteroidi. De Soya ha saputo che fino a ventitré anni standard Rettig non ha mai messo piede su di un vero pianeta con gravità normale. Interventi diretti sull’RNA e il pesante addestramento militare della Pax hanno indurito e rafforzato il soldato, tanto da consentirgli di combattere su qualsiasi pianeta. Riservato al punto del mutismo, A.G.K.T. Rettig sa ascoltare, sa eseguire gli ordini e, come ha dimostrato la battaglia su Hyperion, sa sopravvivere.
Il caporale Kee è tanto loquace quanto Rettig è silenzioso. Durante il primo giorno di discussione, con le sue domande e i suoi commenti Kee dimostra intuito e lucidità, malgrado l’annebbiamento mentale dovuto alla risurrezione.
Tutt’e quattro sono scossi dall’esperienza della morte. De Soya tenta di convincere gli altri che con l’esperienza si sopporta meglio il trauma, ma il suo stesso corpo e la sua stessa mente rendono false quelle parole rassicuranti. Sulla nave corriere, senza consigli e terapia e accoglienza dei cappellani addetti alla risurrezione, ciascun soldato della Pax affronta meglio che può il trauma. Durante i primi giorni nel sistema di Parvati, i quattro interrompono di frequente la discussione, sopraffatti dalla stanchezza o dal puro e semplice turbamento. Solo Gregorius dà l’impressione di non essere scosso dall’esperienza.
Il terzo giorno si riuniscono nel piccolo quadrato ufficiali della Raffaele per stabilire la definitiva linea d’azione.
— Fra due mesi e tre settimane la nave traslerà in questo sistema a meno di mille chilometri dal punto dove stazioniamo — dice il Padre Capitano de Soya. — Dobbiamo essere certi di poterla intercettare e di catturare la bambina.
Nessuna delle tre Guardie Svizzere ha domandato perché sia necessario catturare la bambina. Nessuno di loro discuterà la questione, finché l’ufficiale comandante, cioè de Soya, non la solleverà per primo. Ognuno di loro darà la vita, se necessario, per eseguire l’oscuro ordine.
— Non sappiamo chi altri sia a bordo della nave, giusto? — dice il caporale Kee. Ne hanno già discusso, ma nei primi giorni della loro nuova vita hanno ricordi difettosi.
— No — dice de Soya.
— Non sappiamo quale sia l’armamento della nave — continua Kee, come se stia spuntando un elenco mentale.
— Giusto.
— Non sappiamo se Parvati è la destinazione della nave.