Ora, dopo che Meina Gladstone e i suoi maledetti pellegrini su Hyperion hanno individuato il nascondiglio del Nucleo negli interstizi dello spaziotempo, dopo che la sua casa, la rete-nella-Rete, è stata assalita con quel congegno, la neuroverga, costruito dall’uomo con l’aiuto del Nucleo stesso, dopo che i collegamenti astrotel sono stati recisi da poteri provenienti da un imprecisato punto al di là del noto cerchio della megasfera, tutte le sfaccettature dell’unico, onnipresente teleporter sono morte e inutili.
Tranne una. Quella appena usata. Il modulo interfaccia riferisce a Nemes ciò che lei e tutti i Settori già conoscono: la sfaccettatura è stata attivata da un imprecisato Qualcosa… giunto da un imprecisato Luogo.
Nella propria bolla di memoria di neutrini modulati, il portale registra ancora i punti di collegamento nello spaziotempo reale. Nemes accede a questa memoria.
Aenea e gli altri si sono teleportati su Qom-Riyadh. Nemes deve rimuginare un altro enigma. Può riportare la navetta sulla nave Arcangelo Raffaele e giungere nel sistema di Qom-Riyadh nel giro di qualche minuto. Ma in questo modo dovrà interrompere il ciclo di risurrezione di de Soya e degli altri, nonché trovare un motivo plausibile per quel cambiamento di destinazione. Inoltre, Qom-Riyadh è un sistema posto in quarantena dalla Pax: ufficialmente elencato come invaso dagli Ouster, fa parte del precedente progetto Pace e Giustizia. Come nel caso di Hebron, né la Pax né i suoi consiglieri possono permettere che de Soya e i suoi uomini capiscano la verità che quel pianeta rappresenta. Infine, Nemes sa che su Qom-Riyadh il fiume Teti scorre solo per pochi chilometri, attraverso il deserto di rocce rossastre dell’emisfero meridionale e davanti alla Grande Moschea a Mashhad. Se lascia che il ciclo di risurrezione si completi, prima di tre giorni standard de Soya e gli altri non saranno in condizioni normali e così concederanno a Aenea e alla sua zattera di "spostati" il tempo di percorrere tutta quella sezione del Teti. Ancora una volta l’equazione pare richiedere che Nemes elimini de Soya e gli altri e prosegua da sola. Ma lei ha ricevuto l’ordine di escludere questa possibilità, a meno che non sia indispensabile. Il coinvolgimento di de Soya nella cattura finale di Colei Che Insegna, la Minaccia Aenea, è stato registrato in troppe simulazioni totali, in troppe Previsioni Infrasettoriali, per essere trascurato senza rischi. Il tessuto dello spaziotempo, pensa Nemes, assomiglia molto al tessuto dei complessi arazzi del Vaticano… e chi comincia a tirare un filo penzolante rischia di disfare l’intero arazzo.
Nemes impiega diversi secondi a riflettere sul problema. Alla fine estende più a fondo un filamento per rete neurale. Nelle sinapsi del modulo interfaccia c’è tutto l’itinerario d’attivazione del teleporter… passato e presente. Lo schema di memoria di Aenea e dei suoi compiici è una bolla fugace, ma Nemes può vedere con facilità il recente passato e le future diramazioni. Nel futuro prevedibile ci sono solo altre due possibilità di percorso del fiume. L’imprecisato Qualcosa ha predisposto che, dopo Qom-Riyadh, i portali si aprano solo su Boschetto Divino e poi su…
Nemes ansima di sorpresa e ritrae il microfilamento, prima d’essere cauterizzata dal pieno significato dell’ultima attivazione. Questa è ovviamente la meta di Aenea (o, più precisamente, dell’imprecisato Qualcosa che apre per lei la via) ed è inaccessibile sia alla Pax della Chiesa, sia ai Tre Settori.
Ma i tempi previsti saranno quasi giusti. Nemes può tenere in vita de Soya e i suoi uomini e intanto precedere Aenea nel sistema di Boschetto Divino. Ha già trovato una spiegazione plausibile. Calcolando che Aenea impiegherà due giorni per transitare su Qom-Riyadh e un altro giorno nel tratto del Teti su Boschetto Divino, lei potrà ancora intercettare la zattera e compiere la missione prima che de Soya sia risuscitato. Avrà anche un paio d’ore per rassettare tutto; così, quando scenderà con il prete-capitano e le sue Guardie Svizzere su Boschetto Divino, non ci sarà niente da vedere, a parte i segni che la bambina e i suoi amici sono passati di lì e hanno proseguito via teleporter.
Nemes ritrae la sonda, torna di corsa in superficie, riporta sulla Raffaele la navetta, cancella le tracce nella memoria del computer, vi inserisce un falso messaggio e s’infila nella culla di risurrezione per dormire. Nel sistema di Pacem ha già staccato dal sistema di risurrezione la culla e ha modificato le spie luminose per simulare il suo funzionamento; ora si distende nella bara ronzante e chiude gli occhi. I salti al modo temporapido e l’uso della pelle cambiafase, se prolungati, la stancano. Nemes accoglie con piacere la possibilità di riposare, prima che de Soya e gli altri si destino dalla morte.
Con un sorriso ricorda un ultimo particolare; mette in funzione un guanto a variazione di fase, si tocca il torace fra i seni, rende rossa e modifica la carne a somiglianza del crucimorfo. Lei, naturalmente, non porta quel parassita; ma c’è sempre la possibilità che gli altri la vedano nuda e lei non ha intenzione d’insospettirli per una stupida trascuratezza dei particolari.
La Raffaele continua a orbitare intorno all’abbagliante mondo di ghiaccio di Sol Draconis Septem, mentre i tre uomini dell’equipaggio giacciono nella loro bara-culla e le spie luminose dei monitor registrano la loro lenta risalita dalla morte. Il quarto ospite delle culle dorme. E non sogna.
48
Mentre ci lasciavamo trasportare sulla zattera nel pianeta desertico, battendo le palpebre per difendere gli occhi dalla cruda luce del sole tipo G2 e bevendo acqua dalle ghirbe aria/acqua fatte con viscere di spettro artico, i nostri ultimi giorni su Sol Draconis Septem mi parvero un sogno che svanisce rapidamente.
Cuchiat e la sua banda si erano fermati a una cinquantina di metri dalla superficie (avevamo notato che nei tunnel l’aria si faceva sempre più rarefatta) e lì, nel frastagliato cunicolo di ghiaccio, ci eravamo preparati per la spedizione. Con nostro stupore i Chitchatuk si erano spogliati. Anche se per l’imbarazzo guardavamo da un’altra parte, avevamo notato che i Chitchatuk (anche le femmine, non solo i maschi) avevano corpi particolarmente muscolosi e massicci: parevano culturisti di un pianeta a gravità normale, appiattiti e compressi in esemplari più compatti. Cuchiat e la guerriera Chatchia avevano presieduto al nostro denudamento e alla preparazione per la superficie, mentre Chiaku e gli altri estraevano dalle sacche alcuni oggetti.
Osservammo i Chitchatuk e li imitammo nel rivestirci, con l’aiuto di Cuchiat e di Chatchia. Per i pochi secondi in cui fummo effettivamente nudi (usando come tappeto pellicce di spettro artico per non congelarci i piedi) fummo bruciati dal freddo. Poi indossammo una sottile membrana (la pelle interna degli spettri artici, venimmo a sapere più tardi) sagomata per adattarsi alle braccia, alle gambe e alla testa. Ma chiaramente per braccia, gambe e testa più piccole. Infatti era più che attillata: la membrana trasparente mi stringeva da tutte le parti, tanto da farmi sembrare una serie di palle di cannone in un involucro per salsicce. A. Bettik non aveva un aspetto migliore del mio. Dopo qualche istante capii che quelle membrane erano l’equivalente Chitchatuk delle tute spaziali… forse persino delle sofisticate dermotute che un tempo l’esercito dell’Egemonia usava nello spazio. Le membrane lasciavano passare il sudore e fornivano riscaldamento e raffreddamento, impedivano che i polmoni scoppiassero nel vuoto, che la pelle si screpolasse, che il sangue bollisse. Andavano calate sulla fronte e tirate sul mento, come un cappuccio, lasciando scoperti occhi, naso e bocca.