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«Tre minuti alla traslazione» annuncia la voce sintetica della Raffaele. «Tutto il personale dovrebbe essere già nelle culle.»

De Soya non bada all’avvertimento e richiama i dati degli ultimi due giorni e mezzo in orbita intorno a Sol Draconis Septem, prima che lui e gli altri siano tornati in vita. Non sa bene che cosa cerca… non c’è nessuna registrazione dell’uso della navetta, nessun segno di precedente accensione del supporto vita… tutti i monitor delle culle riportano il regolare ciclo, il primo impulso di vita nelle ultime ore del terzo giorno… tutte le registrazioni orbitali della nave sono normali… un momento!

«Due minuti alla traslazione» avvisa la piatta voce della nave.

Lì, il primo giorno, poco dopo il raggiungimento dell’orbita geosincrona standard… e lì di nuovo, circa quattro ore più tardi. Tutto normale, eccetto il particolare nudo e crudo dell’accensione di quattro piccoli reattori a fusione. Per raggiungere e mantenere una perfetta orbita geosincrona, una nave come la Raffaele dovrebbe accendere decine di quei piccoli reattori a fusione. Ma gran parte delle manovre d’aggiustamento, de Soya lo sa benissimo, prevede l’uso dei grossi reattori posti a poppa accanto al motore a fusione e a prua nel braccio del modulo di comando, data la sgraziata struttura della nave corriere. Quelle scariche dei reattori sono analoghe… prima una duplice accensione per stabilizzare la nave durante il rullio in modo che il modulo di comando guardi dalla parte opposta del pianeta… normale durante il "girarrosto" per diffondere uniformemente il calore solare lungo la superficie della nave senza usare il campo di raffreddamento… ma solo otto minuti qui… e qui! E dopo il rullio, quei doppi pizzicotti a reazione. Due e due. Poi la coppia finale di scariche, che potrebbe accompagnare l’accensione dei reattori più grossi per girare la nave in modo che le telecamere del modulo di comando puntino di nuovo verso il pianeta. Poi, dopo quattro ore e otto minuti, ripetizione dell’intera sequenza. Il computer ha registrato altre trentotto analoghe sequenze per mantenere la posizione e nessuna accensione dei reattori principali che indicherebbe la rotazione dell’intera nave; ma quelle quattro duplici scariche saltano subito all’occhio addestrato di de Soya.

«Un minuto alla traslazione» avverte la Raffaele.

De Soya ode il gemito dei giganteschi generatori di campo che annuncia il passaggio al sistema Hawking modificato e sa che resterà vivo ancora per cinquantasei secondi. Non se ne cura. Se non si muove subito, dopo la traslazione la poltroncina di comando porterà nella culla il suo cadavere. La nave è progettata in questo modo… confuso, ma necessario.

Federico de Soya è stato capitano di nave torcia per molti anni. Ha già effettuato più di dieci balzi su navi corriere classe Arcangelo. Conosce quella firma "duplice scarica, rotazione, duplice scarica" sulla registrazione di un reattore. Anche se dalla memoria della nave è stata cancellata l’effettiva rotazione, le impronte digitali di quella manovra sono lì negli elementi essenziali. La rotazione serve a orientare la navetta, agganciata sul lato opposto del modulo comando, verso il pianeta. La seconda duplice scarica, quella ancora in memoria, serve a equilibrare le piccole raffiche di propulsione che sganciano la navetta dalla massa centrale della Raffaele. L’ultima duplice scarica serve per stabilizzare la nave, una volta tornata in posizione normale, ossia con le telecamere del modulo comando puntate di nuovo sul pianeta.

Niente di tutto questo è ovvio come pare, dal momento che per tutto il tempo l’intera nave ruota lentamente nel "girarrosto", con occasionali scariche per modificare l’assetto e avere migliore riscaldamento o raffreddamento. Ma per de Soya la firma è inconfondibile. Il Padre Capitano batte gli ordini per richiamare ancora una volta le altre registrazioni. Nessun segno di utilizzo della navetta. Nessun segno di manovra di rotazione per l’utilizzo della navetta. Conferma che la navetta è sempre stata agganciata. Nessun segno d’accensione del supporto vita prima della risurrezione di tutti, poche ore prima. Nessuna immagine, nelle registrazioni visive, della navetta in movimento verso l’atmosfera del pianeta. Immagine costante della navetta agganciata e vuota.

C’è una sola anomalia: le due sequenze di otto minuti d’accensione dei reattori, a distanza di quattro ore l’una dall’altra. Otto minuti di rotazione della nave rispetto al pianeta permetterebbero a una navetta di scomparire nell’atmosfera senza che ci sia la registrazione video della telecamera principale. O di ricomparire per il riaggancio. Le telecamere del braccio di prua e il radar avrebbero registrato l’evento, a meno che, prima del distacco della navetta, non abbiano ricevuto l’ordine di tralasciarlo. Questa soluzione avrebbe comportato una minore manomissione delle registrazioni dopo il fatto.

Se qualcuno ha ordinato al computer della nave di cancellare tutte le tracce dell’utilizzo della navetta, la limitata Intelligenza Artificiale della Raffaele potrebbe avere alterato la registrazione proprio in questo modo, senza capire che le accensioni dei piccoli reattori durante il "girarrosto" avrebbero lasciato impronte. Ma nessuno se ne sarebbe accorto, se non avesse avuto la decennale esperienza di un comandante di nave torcia. Se de Soya avesse un’ora per richiamare tutti i dati sul combustibile idrogeno, per fare il controllo incrociato con le necessità di rifornimento della navetta e le esigenze d’ingresso nel sistema solare, poi raffrontarli con l’input del collettore Bussard durante la decelerazione, capirebbe meglio se la manovra di rotazione della nave e l’utilizzo della navetta sono davvero avvenuti. Se avesse un’ora tutta per sé.

«Trenta secondi alla traslazione.»

De Soya non ha il tempo di raggiungere la culla. Ha però il tempo di richiamare una speciale sequenza di ordini per manovrare la nave, d’inserire il codice dei comandi ausiliari manuali per soppiantare temporaneamente le funzioni automatiche, di confermarlo, di cambiare i parametri di monitoraggio e di ripetere l’operazione altre due volte. Ha appena udito la conferma del terzo ordine, quando avviene il balzo quantico a velocità C-più.

La traslazione fa letteralmente a brandelli de Soya nella poltroncina di comando. Il Padre Capitano de Soya muore con un ghigno feroce sulle labbra.

50

— Raul!

Mancava almeno un’ora al sorgere del sole di Qom-Riyadh. A. Bettik e io eravamo seduti nella stanza dove Aenea dormiva. A. Bettik era sveglio (pareva che non dormisse mai) ma fui io il primo ad accorrere al capezzale della bambina. L’unica illumuiazione era la luce dei grafici del biomonitor sopra la testiera. Fuori, la tempesta di sabbia ululava da ore.

— Raul… — I grafici dicevano che la febbre era calata, che il dolore era scomparso, che restava solo l’irregolare elettroencefalogramma.

— Sono qui, ragazzina. — Le presi la mano. Le sue dita non scottavano più per la febbre.

— Hai visto lo Shrike?

Rimasi sorpreso, ma capii subito che non si trattava di prescienza né di telepatia. Avevo riferito per radio l’avvistamento. Di sicuro A. Bettik aveva tenuto acceso l’altoparlante e Aenea, pur nel dormiveglia, aveva ascoltato e se n’era ricordata.

— Sì — risposi. — Ma va tutto bene. Non è qui.

— Però l’hai visto.

— Sì.

Aenea si aggrappò alla mia mano e si alzò a sedere sul letto. Vedevo i suoi occhi brillare nella fioca luce. — Dove, Raul? — mi domandò. — Dove l’hai visto?

— Sulla zattera — risposi. Con la mano libera la costrinsi a stare distesa. Federa e camicia da notte erano inzuppate di sudore. — Va tutto bene, ragazzina. Non ha fatto niente. Era sempre lì, quando me ne sono andato.