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Kee annuisce per indicare che ha capito. Anche rivestito e col riscaldamento al massimo, è scosso da violenti brividi.

De Soya lo precede nel nucleo comando. Ora la culla di Gregorius risplende di luci ambra, mentre il ciclo riconsegna alla morte il sergente. La culla del caporale Rhadamanth Nemes mostra le luci verdi del normale ciclo di tre giorni. I monitor indicano che la donna si trova all’interno, priva di vita, e che riceve il sacramento segreto della risurrezione. De Soya batte il codice d’apertura.

Palpita una spia luminosa d’allarme. «Apertura non consentita durante il ciclo di risurrezione» dice la voce priva d’emozioni della Raffaele. «Ogni tentativo di aprire adesso la culla potrebbe provocare la vera morte.»

De Soya non bada alle spie luminose e ai cicalini d’allarme e tira il coperchio. La culla rimane chiusa. — Dammi quella leva — dice de Soya.

Il caporale Kee gli lancia la sbarra, priva di peso in gravità zero. De Soya trova un interstizio per la punta, recita tra sé una preghiera augurandosi di non sbagliarsi e di non essere diventato paranoico, e forza il coperchio. Cicalini d’allarme risuonano in tutta la nave.

La culla è vuota.

— Dov’è il caporale Nemes? — domanda de Soya alla nave.

«Gli strumenti e i sensori indicano che si trova nella sua culla» risponde il computer.

— Già — sbuffa de Soya, gettando via la leva, che rotola in un angolo, con movimento rallentato dall’assenza di gravità. — Cerchiamola — dice a Kee. Tornano nel quadrato ufficiali. Il cubicolo della doccia è vuoto. Nella sala comune non c’è posto dove nascondersi. Con una spinta de Soya si accomoda nella poltroncina di comando, mentre Kee punta al condotto di collegamento.

Le luci di posizione mostrano che la nave è in orbita geosincrona a trentamila chilometri. De Soya guarda dall’oblò e vede un pianeta di turbinanti banchi di nuvole, a parte l’ampia fascia intorno all’equatore, dove squarci tagliano il terreno verde e marrone. Interrogata a voce, la nave conferma che la navetta è al suo posto, che dall’ultima traslazione nessuno ha aperto la camera stagna. «Caporale Kee?» chiama per intercom de Soya. Deve concentrarsi per impedire che i denti gli battano. Soffre davvero: ha l’impressione d’avere la pelle di fuoco. Prova un tremendo impulso di chiudere gli occhi e dormire. «Rapporto» ordina.

«La navetta è sparita, Capitano» comunica Kee dal tunnel d’accesso. «Tutte le spie del connettore sono verdi, ma se aprissi il portello stagno, respirerei il vuoto. Dal boccaporto vedo benissimo che la navetta non è al suo posto.»

— Merde - mormora de Soya tra sé. Poi, nell’intercom: «Va bene. Torna qui». Nell’attesa, esamina gli altri strumenti. Ritrova la traccia delle duplici accensioni dei propulsori… risale a circa tre ore prima. Richiama la mappa della regione equatoriale di Boschetto Divino, ordina alla nave una ricerca con telescopio e con radar di profondità della zona di fiume intorno al ceppo dell’Albero Mondo. — Trova il primo teleporter e mostra ogni tratto del fiume da lì in poi. Riferisci la locazione del radarfaro della navetta.

«La strumentazione mostra che la navetta è ancorata nel braccio del nucleo comando» dice la nave. «Il radarfaro lo conferma.»

— D’accordo — dice de Soya, immaginandosi nell’atto di far saltare a pugni chip di silicio come denti. — Lascia perdere il faro della navetta. Inizia le ricerche radar e telescopiche di quella regione. Riferisci la presenza di qualsiasi forma di vita o di manufatti. Tutti i dati sullo schermo principale.

«Affermativo» dice il computer. De Soya vede lo schermo precipitarsi in avanti per effetto dell’ingrandimento telescopico. Ora guarda un’arcata di teleporter come da un’altezza di qualche centinaio di metri.

— Panoramica lungo il fiume.

«Affermativo.»

Il caporale Kee scivola nella poltroncina del secondo pilota e si aggancia le cinture. — Senza navetta — dice — non possiamo scendere sul pianeta.

— Tute da combattimento — replica de Soya, tra le fitte che lo squassano. — Hanno lo scudo termodispersore… centinaia di microstrati di materiale colorato per disperdere il calore, in caso di scontro a fuoco in luce coerente, giusto?

— Giusto — dice il caporale Kee — ma…

— Il mio piano prevedeva che tu e Gregorius usaste lo scudo termodispersore per il rientro nell’atmosfera — continua de Soya. — Sposterò la Raffaele nell’orbita più bassa possibile. Usa uno zaino di reazione ausiliario per la retropropulsione. Le tute dovrebbero resistere al rientro, no?

— È possibile — dice Kee — ma…

— Allora vai giù su repulsori EM e trova quella… donna — dice de Soya. — La trovi e la blocchi. Dopo, puoi usare la navetta per tornare.

Il caporale Kee si sfrega gli occhi. — Sì, signore. Ma ho controllato le tute. Tutte rivelano carenza d’integrità…

— Carenza… — ripete stupidamente de Soya.

— Qualcuno ha squarciato gli strati termodispersori — dice Kee. — I danni non sono visibili a occhio, ma ho svolto un diagnostico d’integrità di classe Tre. Saremmo morti prima del blackout di ionizzazione.

— Tutte le tute? — domanda debolmente de Soya.

— Tutte, signore.

Il prete-capitano domina l’impulso di imprecare di nuovo. — Comunque, ora porto più in basso la nave, caporale.

— Perché, signore? Qualsiasi cosa accada laggiù, avverrà sempre a parecchie centinaia di chilometri da noi. Non possiamo farci un bel niente.

De Soya annuisce, ma batte ugualmente i parametri per il nucleo di guida. Con la mente intontita, commette diversi errori, almeno uno dei quali li farebbe bruciare nell’atmosfera di Boschetto Divino, ma la nave li rileva. De Soya riformula i parametri.

«Sconsiglio un’orbita così bassa» dice la voce asessuata della nave. «Boschetto Divino ha un’atmosfera superiore volatile e trecento chilometri non soddisfano i margini di sicurezza richiesti dal…»

— Chiudi il becco e ubbidisci — sbotta il Padre Capitano de Soya.

Chiude gli occhi, mentre i propulsori principali si accendono. Il ritorno del peso rende più acuta la sofferenza nella carne e nel corpo. De Soya sente Kee gemere nella poltroncina del secondo pilota.

«L’attivazione del campo di contenimento interno allevierà il disagio dell’accelerazione a 4 g» dice la nave.

— No — dice de Soya. Vuole risparmiare energia.

Il rumore, le vibrazioni e il dolore continuano. Il lembo di Boschetto Divino cresce nello schermo fino a riempire la visuale.

"E se quella… traditrice… avesse programmato la nave per spingerci nell’atmosfera, nel caso che ci fossimo svegliati e avessimo cercato di manovrarla?" pensa all’improvviso de Soya. Ridacchia, malgrado la tortura della trazione gravitazionale. "Se l’avesse fatto, neppure lei tornerebbe a casa!"

La tortura continua.

54

Quando sbucammo dall’altra parte del portale, lo Shrike era sparito.

Dopo un momento abbassai la carabina e mi guardai intorno. Lì il fiume era ampio e poco profondo. Il cielo era di un azzurro più scuro di quello di Hyperion e lontano, verso nord, si vedevano torreggianti stratocumuli. Pareva che le colonne di nubi riflettessero la luce della sera e uno sguardo alle nostre spalle ci mostrò un grosso sole basso all’orizzonte. Avevo l’impressione che il sole stesse per tramontare, non che fosse appena sorto.

Le rive mostravano rocce, erbacce e un terreno coperto dì cenere. L’aria stessa odorava di cenere, come se nella zona da noi attraversata ci fosse stata una foresta distrutta dalle fiamme. La bassa vegetazione confermava questa ipotesi. Alla nostra destra, lontano molti chilometri, a occhio, si alzava un annerito scudo vulcanico.

— Boschetto Divino, ritengo — disse A. Bettik. — Quelli sono i resti dell’Albero Mondo.

Guardai di nuovo il nero cono vulcanico. Nessun albero avrebbe potuto raggiungere quelle dimensioni.

— Dov’è lo Shrike? — dissi.