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Nel vedere la mia espressione, Sileno ridacchiò. — Questo pomeriggio mi hai sorpreso nel momento peggiore, Raul Endymion — gracchiò. La sua voce era ancora roca per l’età, ma molto più energica di prima. — Mi stavo ancora riprendendo dal gelido sonno — proseguì il poeta. Con un gesto m’invitò ad accomodarmi all’altro capo del tavolo.

— Crio-fuga? — dissi scioccamente, mentre aprivo il tovagliolo di lino e me lo sistemavo in grembo. Da anni non cenavo a un tavolo così elegante: il giorno del congedo dalla Guardia Nazionale ero andato dritto al migliore ristorante della città portuale di Gran Chaco, nella parte meridionale dell’Artiglio, e avevo ordinato i più raffinati piatti del menu, spendendo l’intera paga dell’ultimo mese. Ne era valsa la pena.

— La merdosa crio-fuga, certo — disse il vecchio poeta. — Come credi che passo questi decenni? — Ridacchiò di nuovo. — Mi occorrono alcuni giorni per riprendermi dallo scongelamento. Non sono giovane come una volta.

Presi fiato. — Se non sono indiscreto — dissi — quanti anni ha?

Il poeta non badò alla domanda e chiamò l’androide maggiordomo (non A. Bettik), che fece un cenno in direzione della scala. Entrarono altri androidi e iniziarono in silenzio a servire le portate. Mi riempirono il bicchiere per l’acqua. A. Bettik mostrò al poeta una bottiglia di vino, aspettò l’assenso e poi eseguì il rituale, offrendogli il tappo e un assaggio. Martin Sileno rigirò sulla lingua il vino d’annata, deglutì, emise un borbottio. A. Bettik lo ritenne d’approvazione e versò il vino a lui e a me.

Arrivarono gli antipasti, due per ciascuno. Riconobbi lo yakitori di pollo cotto a fuoco vivo e il tenero carpaccio di manzo del Maine con ruchetta. In aggiunta, Sileno si servì di foie gras sauté avvolto in foglie di mandragora, sistemato sul tavolo accanto a lui. Presi lo spiedino di metallo decorato e assaggiai lo yakitori. Era squisito.

Martin Sileno poteva anche avere ottocento o novecento anni, era forse il più vecchio essere umano vivente… ma ne aveva, di appetito, quel vecchio strambo! Vidi luccicare denti bianchi e perfetti, mentre il poeta attaccava il carpaccio, e mi domandai se quelle nuove aggiunte erano protesi dentarie o sostituzioni ARN. Probabilmente queste ultime.

Mi accorsi d’avere una gran fame. Evidentemente la pseudorisurrezione o l’esercizio fisico per arrampicarmi fino alla finestra della torre mi avevano stimolato l’appetito. Per alcuni minuti non ci fu conversazione, solo il lieve fruscio di passi degli androidi che servivano a tavola, lo scoppiettio delle fiamme nei bracieri, un occasionale refolo di brezza notturna dall’alto e il rumore delle nostre mascelle.

Mentre gli androidi portavano via i piatti degli antipasti e servivano scodelle di bisque di cozze, nera e fumante, il poeta disse: — Ho saputo che oggi hai fatto conoscenza della nostra nave.

— Sì — dissi. — Era proprio la nave privata del Console?

— Naturalmente — rispose Sileno. Rivolse un gesto a un androide. Fu messo in tavola pane ancora caldo di forno. Il suo profumo si mescolò con il vapore della bisque e con l’aroma di fogliame autunnale portato dalla brezza.

— E lei si aspetta che usi quella nave per salvare la bambina? — domandai. Pensavo che a quel punto il poeta mi avrebbe domandato quale decisione avessi preso.

Lui disse invece: — Cosa pensi della Pax, signor Endymion?

Sorpreso, rimasi col cucchiaio a mezz’aria. — La Pax? — ripetei.

Sileno attese in silenzio.

Posai il cucchiaio e mi strinsi nelle spalle. — Non mi pare d’averci pensato molto.

— Neppure dopo che un suo tribunale ti ha condannato a morte?

Invece di esporre ciò che avevo pensato poco prima, cioè che non era stata l’influenza della Pax a condannarmi, ma quella sorta di giustizia di frontiera che veniva applicata su Hyperion, risposi: — No. La Pax in pratica non ha influenzato molto la mia vita.

Il vecchio poeta annuì e sorseggiò la bisque. — E la Chiesa?

— In che senso?

— Anche la Chiesa non ha influenzato molto la tua vita?

— No, direi. — Mi accorsi di fare la figura dell’adolescente impacciato, ma le domande parevano meno importanti di quella che in teoria avrebbe dovuto rivolgermi e della risposta che avrei dovuto dargli: la mia decisione.

— Ricordo la prima volta in cui sentimmo parlare della Pax — disse Sileno. — Aenea era scomparsa da qualche mese. Giunsero in orbita navi della Pax e i militari occuparono Keats, Port Romance, Endymion, l’università, tutti gli spazioporti e tutte le città importanti. Poi decollarono su skimmer da guerra e capimmo che cercavano i crucimorfi dell’altopiano Punta d’Ala.

Annuii. Erano cose risapute. L’occupazione dell’altopiano Punta d’Ala e la ricerca dei crucimorfi erano state l’ultima scommessa di una Chiesa moribonda e l’inizio della Pax. Solo dopo quasi un secolo e mezzo le vere truppe della Pax avevano occupato tutto Hyperion e dato l’ordine di sgombrare Endymion e le altre città nelle vicinanze dell’altopiano.

— Ma le navi che scesero qui durante l’espansione della Pax — continuò il poeta — quali storie portarono! L’espansione della Chiesa da Pacem nei mondi della vecchia Rete, poi nelle colonie della Periferia…

Gli androidi portarono via le scodelle di bisque e tornarono con piatti di cacciagione disossata con mostarda e manta del Kans al gratin con mousse di caviale.

— Anatra? — domandai.

Il poeta mostrò i denti ricostituiti. — Pareva appropriata, dopo il tuo… ah… guaio della settimana scorsa.

Sospirai e toccai con la forchetta la porzione d’anatra. Vapori umidi m’arrivarono alle guance e agli occhi. Pensai all’impazienza di Izzy, mentre le anatre si avvicinavano all’acqua aperta. Mi pareva una vita fa. Guardai Martin Sileno e cercai d’immaginare che cosa si provasse ad avere secoli di ricordi con cui vedersela. Come poteva, una persona, non uscire di senno, con ricordi di vite intere immagazzinati in una sola mente? Il poeta mi sorrideva, in quel suo modo folle: ancora una volta mi domandai se non fosse davvero pazzo.

— Così sentimmo parlare della Pax e ci domandammo come sarebbe stata, una volta giunta davvero — proseguì il poeta, continuando a masticare. — Un governo teocratico… impensabile, nei secoli dell’Egemonia. A quel tempo la religione era, ovviamente, una pura scelta personale… ho fatto parte di una decina di religioni e ne ho iniziate più d’una, ai bei tempi, quand’ero una celebrità nel mondo delle lettere. — Mi guardò con occhi accesi. — Ma tu naturalmente lo sai, Raul Endymion. Conosci i Canti,

Assaggiai la manta gratinata e rimasi in silenzio.

— Molti miei conoscenti erano cristiani Zen — riprese Sileno. — Più Zen che cristiani, è logico, ma in realtà poco dell’uno e dell’altro. I pellegrinaggi personali erano divertenti. Luoghi di potere, la ricerca del proprio punto di Baedecker, tutta quell’immondizia… — Ridacchiò. — L’Egemonia non si sarebbe mai sognata di lasciarsi coinvolgere nella religione, naturalmente. La semplice idea di mescolare governo e opinione religiosa era barbara… una cosa che si poteva trovare su Qom-Riyadh o su qualche altro pianeta desertico della Periferia. E poi venne la Pax, col suo guanto di velluto e il suo crucimorfo di speranza…

— La Pax non governa — obiettai. — Consiglia.

— Precisamente — convenne il vecchio poeta, puntando verso di me la forchetta, mentre A. Bettik gli versava un altro bicchiere di vino. — La Pax consiglia. Non governa. Su centinaia di pianeti la Chiesa viene incontro ai fedeli e la Pax consiglia. Ma, naturalmente, se sei un cristiano che desidera rinascere, non trascuri il consiglio della Pax né il velato suggerimento della Chiesa, giusto?